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Lavoratori, differenze retributive e prescrizione del diritto.

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Debora Teruggia
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 Non sempre il datore di lavoro corrisponde integralmente quanto dovuto al dipendente, generando “differenze retributive” e, a causa del decorso del tempo, nasce il rischio di prescrizione del diritto. In questo articolo:

Cosa sono le “differenze retributive”?

In questo articolo ci focalizzeremo sulle cc.dd. “differenze retributive”, ovverosia su quegli importi dovuti al lavoratore a seguito dell’attività lavorativa prestata, ma che non gli sono stati integralmente corrisposti dal datore di lavoro. 

I crediti da lavoro possono avere natura retributiva o contributiva. Nel caso di rapporto di lavoro dipendente, per prima cosa, è utile comprendere quale sia la differenza tra retribuzione e contribuzione. Innanzitutto, compongono la retribuzione del dipendente:

  1. la paga mensile (dove si intendono compresi le ferie e i permessi maturati);
  2. le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima);
  3. il trattamento di fine rapporto;
  4. bonus e premi (es.: di fedeltà e di risultato, etc.): 
  5. indennità varie (es.: di cassa, di trasferta, etc.);
  6. e, in generale, tutte le altre somme erogate dal datore di lavoro che trovino la loro causa nel rapporto di lavoro.

I contributi, invece, sono una somma che viene periodicamente versata dal datore di lavoro a enti previdenziali (INPS) o assistenziali (INAIL) per garantire al dipendente la copertura pensionistica o per altre finalità assistenziali ritenute meritevoli di tutela dall’ordinamento (maternità, malattia, etc.). 

Alla luce dell’obbligo a carico del datore di lavoro, qualora quest’ultimo dovesse omettere di versare i contributi – in tutto o in parte – potrebbe incorrere in sanzioni civili e penali. 

Bisogna porre particolare attenzione alla propria posizione contributiva poiché i contributi non versati si prescrivono in 5 anni dal giorno di scadenza del pagamento. Tuttavia, se il lavoratore provvede a denunciare tempestivamente agli enti preposti il mancato versamento, il termine di prescrizione passa a 10 anni.

In quanto tempo si prescrivono i crediti da lavoro?

La prescrizione è il meccanismo secondo cui se il creditore non esercita il suo diritto entro un determinato periodo di tempo, il suo diritto cessa di esistere. Il termine ordinario di prescrizione dei diritti è 10 anni, ma vi sono numerosi casi in cui la Legge prescrive un termine inferiore. Vediamo quali sono gli altri termini prescrizionali in relazione ai crediti da lavoro:

  • 1 anno per tutti gli emolumenti da corrispondere per periodi di lavoro inferiori al mese (art. 2955, n. 2);
  • 3 anni per la tredicesima mensilità e in generale per tutte le retribuzioni aggiuntive calcolate su periodi di lavoro superiori al mese ed erogate sempre con cadenza superiore al mese (art. 2956, n.1);
  • 5 anni per gli stipendi arretrati soggetti a pagamento con periodicità annuale o inferiore all’anno (a esempio mensile);
  • 5 anni per il TFR e per le indennità di fine rapporto di lavoro (art. 2948, n. 5); 
  • 10 anni per il risarcimento del danno derivante da altri illeciti contrattuali, quali la dequalificazione professionale, il mancato riconoscimento del proprio corretto inquadramento e via discorrendo.

Omettiamo invece la trattazione di come reagire a un licenziamento ritenuto illegittimo, avendone già parlato in questo articolo a firma della Collega Antonella Marmo.

Quando comincia a decorrere la prescrizione?

Secondo la regola generale dell’art. 2935 c.c., la prescrizione dei crediti di lavoro dovrebbe decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, e quindi anche in costanza di rapporto di lavoro.

Nel 1966 intervenne però una storica decisione della Corte Costituzionale (n. 63/1966) con cui fu dichiarata la parziale incostituzionalità degli artt. 2948 n.4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 nella parte in cui consentivano che la prescrizione decorresse in costanza di rapporto di lavoro. In effetti la Corte – giustamente – considerò che la condizione di “subordinazione” del lavoratore avrebbe potuto indurlo a rinunciare alla pretesa dei suoi diritti per timore di subire ritorsioni e finanche di essere licenziato. La Consulta – di fatto – spostò quindi il termine della decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro al momento della cessazione del rapporto. 

Alla luce delle modifiche introdotte dalla Legge Fornero (Legge n. 92/2012) e del successivo Jobs Act (D.Lgs. 23/2015), alcune Corti sono arrivate a dire che in alcuni casi i termini di prescrizione decorrono dalla cessazione del rapporto di lavoro e in altri, invece, decorrono dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Inutile dire che la mancanza di uniformità di visioni ha creato e crea confusione sul tema.

Posto che auspichiamo un intervento chiarificatore del Legislatore, il dissidio interpretativo e giurisprudenziale sembra essere stato risolto con sentenza n. 26246 pubblicata il 6 settembre 2022 della Corte di Cassazione. La Suprema Corte, infatti, afferma che: «Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa della fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento della entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948 n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro».

In parole povere, ogni qualvolta il rapporto di lavoro non sia tutelato dal diritto alla reintegra, il termine di prescrizione per far valere i propri crediti da lavoro decorrerà dal momento della cessazione del rapporto e avrà prescrizione quinquennale.

Come agire per tutelarsi?

Gli strumenti a tutela del dipendente ci sono: è necessario comprendere quali possano essere applicati al caso concreto, facendo particolare attenzione ai termini entro i quali esercitare i propri diritti. 

Come professionisti attivi nel settore, noi di Canella Camaiora siamo a vostra disposizione anche e soprattutto per gestire situazioni complesse. Il lavoratore che intende ottenere il pagamento dei suoi crediti da lavoro dal datore moroso dovrà manifestare la sua volontà di recuperare il credito. Ciò potrà avvenire tramite un sollecito formale via PEC, una lettera di diffida legale con messa in mora, ma anche – volendo – direttamente con un’azione in giudizio. 

Si pensi, però, al caso di difficoltà economiche del datore che porta alla cessazione definitiva dell’attività o al trasferimento d’azienda. In questi casi, il lavoratore cosa può fare per recuperare il suo credito? Oltre ai tradizionali strumenti di recupero del credito (pignoramenti e via dicendo), per le imprese assoggettabili a fallimento ricordiamo ai lavoratori che è stato istituito presso l’INPS il c.d. Fondo di Garanzia, il quale indennizza il TFR non pagato e le retribuzioni maturate negli ultimi 90 giorni, ovvero le ultime tre mensilità.

A tutela, invece, del lavoratore che si trova nella situazione del c.d. “trasferimento d’azienda”, opera l’art. 2112 del codice civile che recita: «In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento».

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 8 Novembre 2022
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.
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