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Dimissioni e preavviso: come funziona?

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Debora Teruggia
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Secondo quanto riporta l’Ispettorato Nazionale del lavoro, nel 2020 ci sono state 1,5 milioni di dimissioni da parte dei lavoratori. In alcuni casi, più che nel desiderio di cambiare vita, la causa delle dimissioni è rintracciabile nella cattiva condotta del datore di lavoro. Basti pensare al datore che smette (o ritardi) di corrispondere lo stipendio. In ogni caso, è sempre indispensabile conoscere le modalità per dimettersi in modo corretto proprio per non rischiare di perdere alcuni diritti fra cui, ad esempio, il diritto alla Naspi.  In questo articolo vi daremo qualche indicazione pratica:

  1. Come si calcola il preavviso?
  2. Quali sono le conseguenze del mancato preavviso?
  3. Quando non si applica il preavviso?
  4. Quali sono i casi di dimissioni per giusta causa?
  5. Il lavoratore può chiedere il risarcimento del danno?
  6. Come rassegnare formalmente le dimissioni?
  7. Il lavoratore che si dimette ha diritto alla Naspi?

* * *

1. Come si calcola il preavviso?

Il lavoratore può recedere dal contratto di lavoro in qualunque momento. In genere, le tempistiche del preavviso sono indicate nel contratto individuale di lavoro (vedi scheda servizio: analisi contratto di lavoro). Comunque, qualora non fossero indicate chiaramente nel contratto individuale, si dovrà fare riferimento al Contratto Collettivo Nazionale (CCNL).

Il preavviso, generalmente, inizia a decorrere dal momento in cui il datore di lavoro viene a conoscenza della volontà del lavoratore di dimettersi. In altri casi, a seconda del contratto, esso si conta dal 1° giorno o dal 15° giorno del mese.

Attenzione anche ai patti di stabilità o alle clausole penali! Infatti, nel contratto di lavoro possono essere inserite delle clausole particolari, attraverso cui una o entrambe le parti si impegnano a non recedere dal rapporto per un certo periodo di tempo, assicurando una durata minima del rapporto di lavoro.

 

La parte che non dovesse rispettare l’impegno assunto dovrà corrispondere all’altra parte una certa somma di denaro a titolo di penale. Il nostro consiglio è, quindi, di analizzare bene il contratto (vedi scheda nostro servizio: analisi contratto di lavoro) così da sapere a cosa si va incontro nel caso di dimissioni anticipate.

2. Quali sono le conseguenze del mancato preavviso?

Si noti che il periodo di preavviso dipende dal tipo di mansione, dalla qualifica ricoperta e dall’anzianità di servizio. Il dipendente neoassunto sarà certamente soggetto a tempi di dimissioni più brevi rispetto a un dipendente con diversi anni di servizio.

Se il lavoratore non rispetta il termine, il datore di lavoro può trattenere un’indennità sostitutiva pari alla retribuzione di tanti giorni di preavviso quanti sono quelli non lavorati.

Diversamente, se il datore rinuncia espressamente al preavviso egli non potrà trattenere alcuna somma e l’ultimo stipendio dovrà essere corrisposto integralmente.

Anche in ipotesi di pacifico accordo tra le parti sulle modalità delle dimissioni è importante conservare una prova scritta di quanto pattuito a futura memoria e, soprattutto, per evitare contestazioni e/o incomprensioni.

3.- Quando non si applica il preavviso?

La Legge prevede che non si applichi il periodo di preavviso e, pertanto, che le dimissioni abbiano effetto immediato in alcuni casi particolari. Si tratta, ad esempio, delle dimissioni avvenute durante il periodo di prova e al termine della prova: il dipendente che intende dimettersi deve darne comunicazione al datore senza rispettare alcun preavviso e senza dover fornire motivazioni.

Anche la madre lavoratrice o il padre lavoratore non sono tenuti al preavviso. La legge, oltre a vietare il licenziamento (della lavoratrice dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino e il licenziamento del lavoratore padre fino al compimento del primo anno d’età) prevede delle tutele anche in sede di dimissioni.

La Legge 92/2012 Riforma del Lavoro Fornero ha previsto che in questi casi non c’è la necessità di rispettare il preavviso. Il Servizio Ispettivo territoriale del ministero del Lavoro deve convalidare le dimissioni, accertando che esse siano state effettivamente volute e consapevolmente desiderate. Gli effetti delle dimissioni inizieranno dunque a decorrere dalla convalida.

Inoltre, è molto rilevante il caso delle dimissioni per giusta causa, che vedremo nel paragrafo successivo.

4. Quali sono i casi di dimissioni per giusta causa?

E’ un obbligo del datore mettere il lavoratore nelle condizioni di poter sempre proseguire serenamente il rapporto di lavoro. A prescindere dal tipo di contratto, il lavoratore può dimettersi “in tronco”, senza l’obbligo di dare preavviso, qualora ricorra una giusta causa. I casi di “giusta causa” più frequenti sono:

  • il mancato/ritardato pagamento dello stipendio (vedi anche servizio “recupero stipendi e TFR“);
  • il mancato versamento dei contributi previdenziali;
  • mobbing e molestie;
  • attività illecite del datore di lavoro;
  • demansionamento pregiudizievole.

Particolarmente rilevante è anche il caso in cui il datore di lavoro non consenta al dipendente di poter lavorare “in sicurezza”.  Ad esempio, quando il datore non rispetta la normativa anti Covid o altra normativa di sicurezza sul lavoro, il lavoratore potrebbe presentare le dimissioni.

La risoluzione, in questi casi, è immediata e il lavoratore ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso. Inoltre, in presenza di giusta causa il lavoratore ha diritto di chiedere l’indennità di disoccupazione (Naspi).

5. Il lavoratore costretto a dimettersi può chiedere il risarcimento del danno?

Ebbene si. Il lavoratore che si dimette per colpa del datore di lavoro (ovvero per giusta causa) può chiedere, ed ottenere, anche il risarcimento del danno.

Lo conferma anche una recente pronuncia della Cassazione (Cassazione civile sez. lav., 17/06/2021, n.17423) che si è espressa a favore della possibilità di risarcimento per il pregiudizio subito dal lavoratore che si è dovuto dimettere per giusta causa, ad esempio, durante il periodo di prova. È stato ritenuto, infatti, che le dimissioni per giusta causa durante la prova sono state determinate da un inadempimento del datore di lavoro che ha impedito al dipendente di portare a termine la prova (n.d.r. si trattava di un caso di comportamento inappropriato del superiore gerarchico, ingiurie etc.).

L’atteggiamento posto in essere dal datore è fonte di responsabilità contrattuale e di uno specifico obbligo di risarcire il danno, secondo i parametri che regolano il recesso dal contratto a termine. La corte ha dunque risarcito il dipendente sia per i danni morali subiti sia per la perdita degli stipendi che avrebbe potuto percepire se il datore si fosse comportato bene.

6. Come rassegnare formalmente le dimissioni?

Iniziamo a dire che, in linea di massima, le dimissioni possono essere rassegnate oralmente o in forma scritta. Qualora il contratto (individuale o collettivo) disponga la forma scritta, tale modalità dovrà essere rispettata.

È sempre bene formalizzare le proprie dimissioni tramite la consegna al datore di una lettera in cui si manifesta espressamente la volontà di recedere dal contratto di lavoro, con anche l’indicazione dell’ultimo giorno  di servizio.

Affinché siano valide ed efficaci, le dimissioni devono essere poi confermate formalmente in modalità telematica e rese conoscibili al datore di lavoro e all’Istituto territoriale del lavoro competente. La modalità telematica non è sempre obbligatoria per Legge ma rappresenta senz’altro uno strumento di garanzia a vantaggio del lavoratore (si v. articolo dell’Avv. Antonella Marmo “Occhio alle dimissioni”).

Il fenomeno da arginare è, ad esempio, quello delle c.d. dimissioni in bianco ovvero quello secondo cui il datore di lavoro pretende di avere a disposizione le dimissioni in bianco sin dal momento dell’assunzione.

7. Il lavoratore che si dimette ha diritto alla Naspi?

Ricordiamo che, normalmente, il lavoratore dimissionario perde il diritto alla Naspi. Tuttavia, quando sussistono ragioni particolari alla base delle dimissioni (basti pensare alle dimissioni per giusta causa) tale diritto viene preservato. Meglio, quindi, predisporre le dimissioni come si deve. Anche se si hanno già rassegnato le dimissioni oralmente o senza trasmissione telematica è possibile comunque arginare il danno agendo rapidamente.

In ogni caso, se il datore di lavoro non ha rispettato i propri doveri sarà possibile agire per ottenere quanto spetta di diritto. Infatti, tutti i diritti acquisiti e le spettanze maturate non vengono meno con le dimissioni. Il datore di lavoro deve sempre:

  • pagare lo stipendio (e gli stipendi arretrati);
  • consegnare al lavoratore copia del CUD e il prospetto di liquidazione del TFR.

Il datore deve erogare il TFR (vedi articolo dedicato) e gli altri compensi che necessariamente vengono corrisposti a fine rapporto, come per esempio l’indennità per ferie non godute e ratei delle mensilità aggiuntive.

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Data di pubblicazione: 1 Ottobre 2021
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.
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