Esperti in tutela e valorizzazione delle invenzioni.
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La recente riforma del Codice della Proprietà Intellettuale (CPI) ha introdotto significative modifiche al regime di titolarità delle invenzioni brevettabili nel contesto universitario e della ricerca pubblica, ponendo fine al cosiddetto “Professor’s Privilege“.
Prima della riforma, in Italia, la disciplina dei brevetti in ambito universitario si presentava in modo alquanto peculiare, differenziandosi sia dalla disciplina europea che da quella in ambito privato (si v. l’approfondimento: “A chi appartiene l’invenzione del lavoratore dipendente?”).
Secondo il c.d. “Professor’s Privilege“, vigente fino al 22 agosto 2023, i ricercatori universitari e i dipendenti degli enti pubblici di ricerca erano titolari esclusivi dei diritti derivanti dalle loro invenzioni brevettabili.
Questo significava che, indipendentemente dalla collaborazione con l’università o enti pubblici nell’ambito del loro lavoro, i ricercatori potevano rivendicare la piena proprietà dei brevetti ottenuti dalle loro scoperte.
La logica sottostante era di motivare maggiormente i professori e i ricercatori, garantendo loro il controllo e i benefici economici delle loro invenzioni.
Tale regime, tuttavia, è stato rivisto con l’introduzione della legge 102 del 24 luglio 2023, che ha modificato l’articolo 65 del Codice della Proprietà Intellettuale (CPI). Vediamo cosa è cambiato.
La riforma ha abolito il “Professor’s Privilege“, stabilendo che i diritti patrimoniali derivanti da un’invenzione brevettabile realizzata da ricercatori nell’ambito del loro rapporto di lavoro con università, enti pubblici di ricerca o IRCCS spettano ora alla struttura di appartenenza dell’inventore, e non più all’inventore stesso.
L’art. 65 del CPI prevede espressamente che: “l’inventore deve comunicare l’oggetto dell’invenzione alla struttura di appartenenza con onere a carico di entrambe le parti di salvaguardare la novità della stessa. Qualora non effettui detta comunicazione, l’inventore non può depositare a proprio nome la domanda di brevetto…”
Questo cambio di paradigma mira a favorire un maggiore coinvolgimento delle istituzioni nella gestione delle invenzioni, dal processo di brevettazione fino alla commercializzazione, al fine di potenziare il trasferimento tecnologico dall’ambito accademico a quello imprenditoriale privato.
Come abbiamo visto, quindi, la nuova normativa prevede che l’inventore debba comunicare l’invenzione alla propria struttura, che avrà sei mesi (prorogabili di ulteriori tre) per decidere se procedere con il deposito della domanda di brevetto.
Ecco il dettato normativo: “la struttura di appartenenza, entro sei mesi decorrenti dalla ricezione della comunicazione [ndr dell’inventore], deposita la domanda di brevetto o comunica all’inventore l’assenza di interesse a procedervi. Il termine di sei mesi di cui al primo periodo è prorogato per un massimo di tre mesi, previa comunicazione all’inventore, a condizione che la proroga sia necessaria per completare le valutazioni tecniche avviate dalla struttura di appartenenza immediatamente dopo la ricezione della comunicazione di cui al comma 2 [ndr dell’inventore].
Qualora la struttura di appartenenza non provveda entro il predetto termine a depositare la domanda di brevetto, l’inventore può procedere autonomamente al deposito a proprio nome della domanda di brevetto. L’inventore può altresì procedere autonomamente al deposito qualora la struttura di appartenenza abbia comunicato, in pendenza del predetto termine, l’assenza di interesse a procedervi.”
Se la struttura quindi non manifesta interesse o non agisce entro i termini stabiliti, l’inventore ha la possibilità di procedere autonomamente con la brevettazione, mantenendo per sé la titolarità dell’invenzione.
In estrema sintesi, la nuova norma conferisce all’università e agli istituti di ricerca un ruolo centrale. Ne abbiamo già parlato nell’articolo: “Il ponte tra università e imprese: il ruolo strategico del trasferimento tecnologico”. Vediamo però cosa ci si deve aspettare in termini economici e contrattuali.
La riforma introduce quindi maggiore potere alle università e alle istituzioni nella regolamentazione dei rapporti tra ricercatori, strutture di appartenenza e finanziatori della ricerca, affidando alle stesse strutture il compito di definire le modalità di valorizzazione delle invenzioni e le premialità connesse all’attività inventiva.
Ciò include anche la gestione delle invenzioni realizzate nell’ambito di ricerche finanziate da soggetti privati o nell’ambito di specifici progetti di ricerca, la cui disciplina è affidata agli accordi contrattuali tra le parti, redatti seguendo linee guida stabilite dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy con Decreto del 28/09/2023.
Ecco, in estrema sintesi, qual è il contenuto delle linee guida derivanti dal nuovo articolo 65, comma 5, del CPI con riferimento alla regolamentazione dei rapporti contrattuali tra le istituzioni e gli enti privati.
Soggetti coinvolti e principi:
Tipi di ricerca commissionata:
Aspetti del contratto:
Punti focali:
Questa trasformazione normativa segna un passo importante nella gestione della proprietà intellettuale nel settore della ricerca pubblica, orientandosi verso un modello che privilegia le istituzioni come fulcro del processo di innovazione e valorizzazione delle invenzioni, nel tentativo di stimolare una più efficace collaborazione tra mondo accademico e industria.
La recente riforma del Codice della Proprietà Industriale ha suscitato un vivace dibattito sulla questione del giusto riconoscimento economico per i ricercatori-inventori nell’ambito universitario e della ricerca pubblica. La modifica normativa, abolendo il cosiddetto “Professor’s Privilege“, ha trasferito la titolarità delle invenzioni dall’inventore alla struttura di appartenenza, ponendo l’accento sull’importanza di un adeguato sistema di incentivazione per i ricercatori. La questione centrale ora si sposta su “quale compenso” debba essere riconosciuto a questi ricercatori-inventori.
La risposta a questa domanda è complessa e non univoca, data la diversità delle situazioni e il valore variabile delle invenzioni. Tuttavia, il principio guida dovrebbe essere quello di garantire un equo riconoscimento del contributo individuale alla ricerca e all’innovazione, tenendo conto del valore economico che l’invenzione è in grado di generare.
Nell’ambito del lavoro privato, già esisteva una prassi per la determinazione dell'”equo premio” per le invenzioni del dipendente, basata su criteri definiti che tengono conto del valore economico dell’invenzione e del contributo personale del ricercatore al suo sviluppo. Questi principi potrebbero essere estesi anche al contesto universitario, adattandoli alle specificità del settore della ricerca pubblica, dove l’attività inventiva è parte integrante delle mansioni del ricercatore.
Avvocato Arlo Canella