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Violazione dell’esclusiva nel pubblico impiego e whistleblowing: il verdetto della Cassazione [Ord. 9148/2023]

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Debora Teruggia
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Il caso analizzato riguarda la sanzione inflitta a un’infermiera dipendente pubblico per violazione dell’impegno esclusivo. La lavoratrice sostiene che la penalità sia ritorsiva a seguito delle sue denunce riguardanti colleghi. La pronuncia della Cassazione (Ordinanza n. 9148 del 31 marzo 2023) chiarisce il rapporto tra whistleblowing e responsabilità individuale, offrendo spunti di riflessione sulle tutele previste per i segnalanti e i limiti di tale protezione.

Il caso: violazione dell'esclusiva nel pubblico impiego

L’infermiera coinvolta nel caso aveva svolto attività infermieristica presso un ente privato in contrasto con il suo impegno esclusivo nei confronti dell’Azienda Ospedaliera pubblica in cui era assunta. 

L’infermiera si era difesa, per l’appunto, sostenendo che la sanzione le era stata irrogata, in realtà, per aver denunciato il medesimo comportamento messo in atto da altri colleghi.

Secondo la dipendente, quindi, la sanzione doveva essere considerata ritorsiva e, pertanto, in violazione dell’art 54-bis del D.lgs n. 165 del 2001 che prevede tutele specifiche in favore del segnalante che “segnala al proprio datore di lavoro o ad altro soggetto preposto, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro”. Si tratta del fenomeno del “whistleblowing”, la cui disciplina, peraltro, è stata recentemente aggiornata in Italia in attuazione della normativa europea. Vediamo esattamente di cosa si tratta.

Whistleblowing: definizione e contesto

A seguito di alcuni recenti scandali, il livello di attenzione sulla tematica del “whistleblowing” – non del tutto nuova – è decisamente aumentato. 

Solo per fare qualche esempio, citiamo Edward Snowden e i Panama Papers che hanno fatto notizia negli ultimi anni per le loro rivelazioni, rispettivamente sulla sorveglianza governativa e sulla corruzione finanziaria di politici, celebrità e dirigenti d’azienda di tutto il mondo. 

La denuncia ha portato a indagini e dimissioni e ha suscitato una rinnovata attenzione al problema della riservatezza di soggetti che, rischiando di rimetterci in prima persona, denunciano con coraggio rilevanti atti illeciti per il bene comune.

Oltre a responsabilizzare e a tutelare i cittadini, l’individuazione precoce di condotte illecite commesse all’interno dell’organizzazione, contribuisce a prevenire l’insorgere di problematiche più gravi, che rischiano di pesare economicamente (ed eticamente) sull’azienda.

Il “whistleblowing” si può definire, quindi, come uno strumento di compliance aziendale, tramite il quale il dipendente segnalante (in inglese “whistleblower”) che è a conoscenza di illeciti commessi nell’ambito dell’organizzazione in cui opera, può segnalare tali irregolarità tramite appositi strumenti, in modo anonimo e riservato e, soprattutto, senza subire ritorsioni

Molto spesso le segnalazioni interessano i seguenti ambiti: 

  • Corruzione, frodi fiscali, riciclaggio;
  • Violazione di norme sulla sicurezza;
  • Violazione di norme a tutela dell’ambiente e della salute pubblica;
  • Discriminazione e molestie sul posto di lavoro;
  • Violazioni dei diritti umani, della legge e reati penali;
  • Insider trading;
  • Uso improprio dei dati, in violazione del GDPR e/o dei diritti del consumatore.

È chiaro che di fronte a comportamenti illeciti come quelli sopra citati, se il dipendente volesse portarli all’attenzione dei suoi superiori, avrebbe timore di subire ritorsioni e vessazioni da parte del datore (e, perché no, anche degli altri colleghi). Il legislatore, quindi, ha deciso di introdurre una normativa per incentivare chi fosse a conoscenza di tali illeciti di determinarsi ad agire. Vediamo cosa prevede la normativa al riguardo.

La normativa italiana sul whistleblowing

In Italia, lo strumento del whistleblowing è stato inizialmente introdotto con riferimento al settore pubblico. Infatti, l’art. 54-bis del D.lgs n. 165 del 2001 (introdotto con L. 190/2012) prevede da un lato che il dipendente segnalante non possa subire ritorsioni di alcun tipo e, dall’altro, che la sua identità non possa essere rivelata né nei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria né nell’ambito del procedimento disciplinare verso il soggetto che ha commesso l’illecito. L’articolo citato prevede che “Il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al proprio datore di lavoro o ad altro soggetto preposto, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione”.

In particolare, qualora la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su ulteriori accertamenti conseguenti alla segnalazione, l’identità del segnalante non può mai essere rivelata. Qualora, invece, la contestazione sia fondata sulla sola segnalazione e la conoscenza del segnalante sia indispensabile, la segnalazione sarà utilizzabile solo se il segnalante acconsente alla rilevazione della sua identità.

Nel 2015 l’Autorità Nazionale Anticorruzione è intervenuta sul tema introducendo delle Linee guida a tutela del dipendente pubblico che segnala l’illecito e nel 2018 sono state inserite ulteriori disposizioni per la “protezione della riservatezza dell’identità dell’informatore”, in ottemperanza al GDPR.

Nel 2019 l’Unione Europea ha pubblicato la Direttiva UE n. 1937/2019 sul Whistleblowing con la quale viene definito uno standard minimo di tutela dei segnalanti valido in tutti i Paesi membri, estendendo altresì l’ambito di applicabilità anche ai lavoratori autonomi e al settore privato.

A seguito del via libera del Garante della Privacy, l’Italia ha recentemente recepito la Direttiva UE (D.L. 24 del 9 marzo 2023) e, pertanto:

  • le aziende con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 250 – dovranno conformarsi entro il 31/12/2023 (quelle con un numero di dipendenti superiore a 250 avevano l’obbligo di conformarsi entro il 31/12/2021);
  • le aziende/Comuni fino a 50 dipendenti – dovranno conformarsi entro il 31/12/2025.

La normativa prevede un sistema di segnalazione a tre livelli:

  • segnalazione interna all’organizzazione/azienda;
  • segnalazione all’autorità competente, ovvero all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC);
  • segnalazione pubblica (giornali, etc).

La denuncia deve riguardare illeciti disciplinati dal diritto nazionale o europeo. Tuttavia, le procedure aziendali possono allargare lo spettro di casistiche, arrivando a coprire comportamenti non etici o non conformi al Codice di comportamento.

Pertanto, oltre all’applicazione di sanzioni amministrative in caso di violazione dell’obbligo di anonimato da parte del datore, qualora il dipendente dovesse essere licenziato o sanzionato con provvedimenti disciplinari, tali atti si presumono nulli con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del datore.

Il principio stabilito dall'Ordinanza n. 9148/2023

Nel caso dell’infermiera, la Corte di Cassazione ha espresso un principio di diritto rilevante in materia di whistleblowing: la tutela del dipendente che denuncia illeciti altrui preserva il lavoratore da sanzioni disciplinari o ritorsioni conseguenti alla segnalazione, ma non costituisce un’immunità per gli illeciti commessi autonomamente dal segnalante. Pertanto, se il dipendente ha compiuto violazioni in proprio o con altri responsabili, la normativa non lo esonera dalle conseguenze legali e disciplinari.

In riferimento al caso dell’infermiera, la Corte ha confermato la sanzione irrogata, sottolineando che la normativa sul whistleblowing non può essere invocata per escludere le responsabilità individuali dell’autore della segnalazione per gli illeciti compiuti. Ciò non esclude che la collaborazione del dipendente possa essere valutata nel contesto dell’apprezzamento soggettivo e della proporzionalità della sanzione.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha confermato la decisione assunta dal Giudice di prime cure e dalla Corte d’ Appello, affermando quindi un importante principio di dirittoLa normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette e indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell’apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo”. 

Questo principio stabilisce un equilibrio tra la protezione del dipendente che denuncia illeciti altrui e l’esigenza di garantire la responsabilità individuale di chi compie violazioni.

Lo Studio Legale Canella Camaiora, con la sua esperienza e competenza in materia di diritto del lavoro, è in grado di offrire consulenza e assistenza sia ai datori di lavoro che ai lavoratori in situazioni di whistleblowing. Grazie alla conoscenza delle recenti pronunce giurisprudenziali, lo studio può fornire un approccio mirato e aggiornato per affrontare le complesse dinamiche legate alle segnalazioni di illeciti sul posto di lavoro, garantendo la tutela dei diritti e degli interessi di tutte le parti coinvolte.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 19 Aprile 2023
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.
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