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Quel “valore artistico” che l’Unione Europea non chiede (ma l’Italia sì)

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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Il 30 aprile 2025, il Tribunale di Venezia ha vietato la vendita di un puzzle tridimensionale chiamato “Cubo Teorema”, giudicato troppo simile al celebre Cubo di Rubik. L’ordinanza ha riconosciuto la protezione del Cubo di Rubik come opera del disegno industriale ai sensi della Legge sul diritto d’autore. Ma ciò che merita attenzione non è il risultato del giudizio – difficilmente contestabile – bensì il criterio adottato per arrivarci. Secondo il Tribunale, la tutela autoriale non dipenderebbe solo dall’originalità del prodotto ma anche dal suo presunto “valore artistico”. Ed è qui che si apre un problema sistemico.

Il “valore artistico”: un criterio tutto italiano

In Italia, la legge sul diritto d’autore (L. 633/1941 – LdA) dice che un prodotto di design – come una sedia, una lampada o un rompicapo come il Cubo di Rubik – può essere protetto con il diritto d’autore solo se ha due qualità fondamentali: deve essere creativo, cioè frutto dell’inventiva di chi lo ha ideato, e deve avere anche il cosiddetto valore artistico.
Ma cosa si intende per “valore artistico”? Significa che l’oggetto non deve essere solo utile o originale, ma deve anche essere apprezzato come se fosse un’opera d’arte. I giudici italiani lo verificano cercando prove esterne come, ad esempio, se l’oggetto è stato esposto in musei, premiato da critici d’arte, citato in libri specializzati o ammirato in ambienti culturali (approfondisci: Design e “schizofrenia normativa”: quando il vero significato dell’arte si perde tra le maglie della legge – Canella Camaiora).

Insomma, non basta che sia bello o interessante: deve essere riconosciuto pubblicamente come qualcosa di “alto livello”.

Nel caso del Cubo di Rubik, questo requisito è stato considerato soddisfatto in quanto esposto al MoMA di New York, celebrato in pubblicazioni famose e riconosciuto come simbolo degli anni Ottanta. Quindi, per il Tribunale di Venezia, il valore artistico c’era, e questo ha giustificato la protezione autoriale.

La domanda che, tuttavia, sorge spontanea è se tutto ciò fosse realmente necessario. Il criterio del “valore artistico” è una caratteristica tutta italiana, non prevista dalla normativa comunitaria. Oggi, rischia di essere un ostacolo, più che una garanzia. Non tutti gli oggetti creativi finiscono nei musei e non tutti i designer hanno dietro una grande macchina pubblicitaria o storica. In questo modo, chi è nuovo o meno famoso rischia di restare escluso dalla protezione, anche se ha davvero ideato qualcosa di originale, meritevole di tutela autoriale.

La posizione dell’Unione Europea: bastano originalità e identificabilità

Quando si parla di diritto d’autore in Unione Europea, le regole non vengono decise solo dai singoli Paesi: esistono norme comuni, pensate per garantire la parità di trattamento tra tutti i creativi dell’Unione Europea.

La norma chiave è l’articolo 2, lett. a), della Direttiva 2001/29/CE, che riconosce agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione delle loro opere.

Ma che cosa si intende per “opera”? A rispondere a questa domanda è la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), nella nota sentenza Cofemel – C-683/17 (approfondisci qui: Progetti di design: come presentarli “in sicurezza” alle aziende – Canella Camaiora).

In quella decisione, la Corte ha chiarito che un’opera è tutelata dal diritto d’autore quando possiede due requisiti:

  1. originalità, in quanto deve essere una creazione intellettuale propria dell’autore, frutto di scelte libere e creative;
  2. identificabilità oggettiva, vale a dire che deve essere possibile riconoscerla chiaramente e in modo preciso, senza ambiguità.

Nient’altro è richiesto. La Corte ha detto in modo molto netto che gli Stati Membri non possono prevedere ulteriori criteri, come ad esempio il “valore artistico” previsto dalla normativa italiana. Questo perché introdurre filtri soggettivi – come valutazioni sul pregio artistico – metterebbe a rischio l’armonizzazione del diritto e creerebbe trattamenti diseguali tra artisti di Paesi diversi. L’originalità è un concetto giuridico, non un giudizio soggettivo né tantomeno estetico.

Per questo motivo, la posizione italiana – che per proteggere un’opera di design richiede anche il “valore artistico” – non è coerente con il diritto europeo. E ogni volta che un tribunale italiano applica questo criterio, come nel caso della sentenza sul Cubo di Rubik, rischia di disapplicare il diritto comunitario.

In sintesi, secondo la CGUE, se un’opera è creativa e chiaramente identificabile, merita tutela. Nessun’altra valutazione si rende necessaria.

Un criterio selettivo che penalizza chi innova

Il fatto che un tribunale italiano, come quello di Venezia, applichi ancora oggi il “valore artistico” come condizione per proteggere un’opera di design è preoccupante. Non solo perché ignora le regole comunitarie, ma perché genera incertezza giuridica.

Significa che un designer italiano, per ottenere la stessa tutela riconosciuta automaticamente a un designer tedesco o francese, deve dimostrare che il suo oggetto è “quasi un’opera d’arte”. Un traguardo che spesso dipende da riconoscimenti esterni – come l’esposizione in un museo o la citazione su riviste specializzate – e non dalla reale inventiva dell’autore.

In questo modo, si rischia di escludere dalla tutela proprio chi dovrebbe essere tutelato: giovani creativi, piccole imprese, designer indipendenti. Al contrario, si premiano solo i “soliti noti”, cioè i prodotti già famosi, celebrati e distribuiti su larga scala. È il caso del Cubo di Rubik, che grazie al suo passato iconico ha potuto ottenere la tutela autoriale.

Questa impostazione sembra ostacolare l’innovazione, perché manda il messaggio che non basta avere un’idea originale e utile, ma è necessario piacere anche alla critica.

Ma il design non è solo arte: è funzione, intuizione, oggetti quotidiani ben pensati. E per questo, merita una tutela giuridica chiara, accessibile e non elitaria.

Verso una tutela più equa e moderna

La sentenza del Tribunale di Venezia ci ricorda che, in Italia, il diritto d’autore nel design è ancora legato a una visione superata e restrittiva, che guarda al passato più che al futuro. Chiedere che un oggetto sia “artistico” non è richiesto dal diritto europeo, e spesso diventa un filtro ingiustificato.

Si badi che nessuno mette in dubbio che il Cubo di Rubik meriti la protezione del diritto d’autore: è un’idea brillante, originale e universalmente riconoscibile. Ma – ed è questo il punto – lo sarebbe anche senza bisogno di passare per il criterio del cosiddetto “valore artistico”. Aggiungere requisiti non richiesti, come fa la legge italiana, significa allontanarsi dalle regole comunitarie e rendere più difficile l’accesso alla tutela per tanti altri oggetti di design.

Il diritto d’autore dovrebbe servire a promuovere la creatività, non a costruire barriere di ingresso. L’Europa ha scelto una strada chiara: contano l’originalità e la chiarezza dell’opera, non i giudizi estetici o la fama.

È tempo che anche la legge e la giurisprudenza italiana facciano un passo avanti. Non per abbandonare la tutela del design, ma per renderla più equa, moderna e coerente con la realtà di chi progetta nel mondo di oggi.

Il design appartiene a tutti. E merita un diritto che lo sappia riconoscere, senza filtri inutili.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 3 Giugno 2025

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale
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