Scopri come tutelare le tue creazioni.
Calcola il preventivo
Nel complesso panorama della proprietà intellettuale e del diritto del design, grazie alla recente sentenza n. 5551/2024 del Tribunale di Napoli sui prodotti ‘simil Thun’, sovvengono una serie di interrogativi in merito ad una scorretta interpretazione del significato di valore artistico cui tutti sembrano ormai aver fatto il callo.
Il caso in esame riguarda la commercializzazione – non autorizzata – di vari prodotti “simil Thun”, cioè imitazioni dei celebri articoli di design dell’azienda Thun. Fondata nel 1950 a Bolzano dal conte Otmar Thun e sua moglie Lene, Thun è diventata sinonimo di qualità e innovazione nel settore della ceramica e della decorazione per la casa. I suoi prodotti, come angioletti, animali e vari oggetti decorativi, sono facilmente riconoscibili per il loro design distintivo e, ormai, iconico.
La sentenza n. 5551/2024 del Tribunale di Napoli ha dichiarato colpevoli diversi soggetti per l’imitazione indebita dei prodotti Thun, qualificandola come contraffazione. In particolare, il tribunale ha riconosciuto la contraffazione del marchio (ai sensi dell’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale), la violazione del design registrato (art. 41 del Codice della Proprietà Industriale) e la concorrenza sleale per imitazione servile (art. 2598, n. 1 c.c.). Tuttavia, il tribunale non ha riscontrato alcuna violazione del diritto d’autore (ai sensi dell’art. 2, comma 1, n. 10, della Legge sul Diritto d’Autore) delle creazioni Thun, sollevando una questione che ritengo di notevole importanza: i prodotti Thun non hanno forse diritto alla tutela del diritto d’autore?
A mio avviso, questa decisione del Tribunale di Napoli, pur basata su un ragionamento giuridico rigoroso, mette in luce ancora una volta la “schizofrenia normativa“ che caratterizza la protezione del design in Italia. Sebbene l’Unione Europea abbia compiuto significativi sforzi per armonizzare la disciplina del design, le regole restano molto diverse tra i vari paesi membri. Questo costringe i giudici italiani a intervenire con interpretazioni “creative” durante l’enforcement, cercando di dare coerenza e ragionevolezza a un quadro normativo che, in Italia, appare intrinsecamente frammentato e incoerente.
È quindi opportuno riflettere su una riforma giurisprudenziale e normativa che possa risolvere queste incongruenze e fornire una tutela più completa e omogenea per il design, andando oltre la semplice protezione dei marchi e del design registrato, includendo anche il diritto d’autore quando appropriato. Ma è davvero così semplice? La sentenza del Tribunale di Napoli sembra tracciare una linea chiara tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, ma la realtà giuridica è ben più sfumata. E se plagiare il design altrui, in Italia, non fosse sempre vietato?
Thun S.p.A. ha presentato un ricorso al Tribunale di Napoli contro diversi soggetti, accusandoli di aver prodotto e commercializzato imitazioni non autorizzate dei propri prodotti. Questi prodotti venivano venduti utilizzando diciture come “Simil Thun” e “Modello Thun”, sfruttando il prestigio e la notorietà del marchio Thun. Il Tribunale ha inizialmente adottato un provvedimento d’urgenza che ha portato alla descrizione e al sequestro dei prodotti contestati. Successivamente, nel giudizio di merito, alcune delle parti coinvolte hanno partecipato attivamente, mentre altre sono rimaste contumaci. La sentenza n. 5551/2024, pubblicata il 28 maggio 2024, ha infine riconosciuto la violazione dei modelli di design registrati e del marchio Thun, accertando altresì la concorrenza sleale.
Il Tribunale di Napoli ha applicato l’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), che consente al titolare del marchio di vietare l’uso di segni identici o simili per prodotti affini, quando tale uso possa generare confusione tra i consumatori. In questo caso, le denominazioni “Simil Thun” e “Modello Thun” sono state considerate una chiara violazione del marchio Thun, poiché sfruttavano indebitamente la reputazione del marchio, facendo si che i consumatori associassero i prodotti imitati al brand originale.
Per quanto riguarda la protezione del design registrato, il Tribunale ha applicato l’art. 41 del Codice della Proprietà Industriale (CPI). Questa norma conferisce al titolare di un disegno o modello registrato il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi l’uso non autorizzato. Il tribunale ha accertato che i modelli contestati riproducevano in modo quasi identico i dettagli dei prodotti Thun. Pertanto, i modelli imitati non riuscivano a produrre nell’utilizzatore informato una diversa “impressione generale”, configurando così una violazione dei modelli industriali registrati.
Infine, il Tribunale ha affrontato la questione della protezione del diritto d’autore, valutando se i modelli contestati potessero essere tutelati ai sensi dell’art. 2, comma 1, n. 10, della Legge sul Diritto d’Autore. Tuttavia, il tribunale ha concluso che non tutti i prodotti Thun possiedono quel “valore artistico” tale da giustificare la protezione del diritto d’autore. In particolare, la protezione autorale è stata negata per la linea “Pattern New Country”, ritenuta priva di un sufficiente gradiente artistico. Il tribunale ha quindi seguito la giurisprudenza prevalente, che richiede un quid pluris per estendere la tutela del diritto d’autore alle opere di design industriale.
Ma cosa significa davvero questo per i creatori di design in Italia? È possibile proteggere pienamente la propria creatività dalle imitazioni anche senza registrazione? E quali sono le lacune nella normativa che consentono ad alcune imitazioni di risultare lecite? Tra poco vedremo più a fondo quali sono le ambiguità del sistema giuridico italiano e le sue implicazioni pratiche per le aziende e i professionisti attivi nel settore del design.
La sentenza n. 5551/2024 del Tribunale di Napoli rappresenta un esempio di rigore giuridico nell’applicazione delle norme del Codice della Proprietà Industriale e della Legge sul Diritto d’Autore. I giudici hanno riconosciuto la violazione dei modelli industriali registrati e del marchio Thun, condannando i convenuti anche per concorrenza sleale. Tuttavia, la decisione di negare la protezione del diritto d’autore per la linea “Pattern New Country” di Thun è stata motivata dall’assenza di un “valore artistico” sufficiente, come richiesto dall’art. 2, comma 1, n. 10 della Legge sul Diritto d’Autore.
L’articolo 2 della Legge sul Diritto d’Autore, introdotto dal D.Lgs. n. 95/2001 in attuazione della Direttiva n. 98/71/CE, rappresenta un compromesso fondamentale nel diritto del design. La norma stabilisce che le opere del disegno industriale possono godere della protezione del diritto d’autore solo se presentano “di per sé carattere creativo e valore artistico“. Questo compromesso è stato introdotto per evitare che ogni oggetto di design industriale goda automaticamente di una protezione ampia come quella offerta dal diritto d’autore, che è generalmente riservata alle opere dell’ingegno che si distinguono per la loro originalità e creatività.
Il legislatore ha voluto così evitare la sovrapposizione totale tra la protezione conferita dai disegni e modelli registrati e quella del diritto d’autore, riservando quest’ultima solo a quelle opere che, oltre alla funzione pratica, possiedono un valore intrinseco come opere d’arte. Questo approccio richiede, però, una valutazione spesso soggettiva e complessa da parte dei giudici, che devono determinare se un’opera industriale possieda davvero quel quid pluris necessario per ottenere la protezione più ampia del diritto d’autore.
Nel caso esaminato, il Tribunale di Napoli ha ritenuto che i modelli “Pattern New Country” non soddisfacessero i criteri di “valore artistico” necessari per la tutela del diritto d’autore ovvero:
Nel caso del modello “Pattern New Country“, il Tribunale ha riscontrato che questi parametri non erano soddisfatti. Non vi erano prove di esposizioni in mostre o musei, né di pubblicazioni su riviste specializzate, né di un prezzo di vendita che indicasse un pregio artistico. Inoltre, il modello è stato ritenuto prevalentemente funzionale, mancando di un gradiente estetico o di innovazione sufficiente per elevarlo al rango di “opera d’arte” meritevole di tutela autorale.
Questo rigore interpretativo, sebbene coerente con la giurisprudenza prevalente, solleva importanti questioni. È giunto il momento di superare il concetto di un “valore artistico” così restrittivo? La protezione dovrebbe includere anche le creazioni contemporanee che, pur non soddisfacendo i criteri tradizionali di riconoscimento museale, rappresentano importanti contributi culturali e creativi. Se si continua a privilegiare solo i classici del design e le opere con ampi riconoscimenti istituzionali, si rischia di escludere la freschezza delle idee più giovani e interessanti.
Il rischio di mantenere tale barriera è quello di favorire solo chi possiede le risorse per ottenere una registrazione formale o ha un riconoscimento “artistico” già consolidato. Ma se il contesto fosse diverso? Se si trattasse delle creazioni di un giovane artigiano, non registrate e prive di esposizioni in musei? Questo caso evidenzia l’urgenza di un coraggio interpretativo che allinei la protezione del design alle reali caratteristiche del mercato e della creatività contemporanea, offrendo una tutela equa e accessibile anche per chi non si colloca nella “fascia alta” del design tradizionale.
Il sistema normativo italiano sulla protezione del design è caratterizzato da un criterio rigido di “valore artistico” che esclude molta creatività dalla tutela del diritto d’autore. Secondo l’attuale interpretazione giurisprudenziale, un’opera di design può godere della protezione autorale solo quando esiste un riconoscimento collettivo del suo valore artistico, come l’esposizione in mostre o musei, pubblicazioni su riviste specializzate, o un prezzo di mercato elevato che rispecchi il pregio artistico. Ma davvero è necessario fissare un’opera su una tela, esporla e ottenere il plauso della collettività per poterla tutelare?
Molti critici d’arte, come Harold Rosenberg, hanno definito l’arte come un “atto di espressione individuale”, non come un prodotto che necessita di approvazione istituzionale. Rosenberg descrisse l’artista come un “uomo d’azione” che mette in gioco la sua visione del mondo sulla tela, indipendentemente dal riconoscimento della società. Clement Greenberg, un altro influente critico, sosteneva che l’arte è valida quando è un’espressione genuina dell’artista e non perché ottiene l’applauso del pubblico o delle istituzioni. Dobbiamo davvero aspettare che una tovaglia con i girasoli di un giovane Van Gogh venga esposta in un museo per riconoscerne il valore?
Molti artisti che oggi consideriamo pilastri della storia dell’arte non avrebbero mai ricevuto protezione e riconoscimento in vita. Vincent Van Gogh, Paul Gauguin, e molti altri sono stati riconosciuti solo dopo la loro morte. Forse che le loro opere non meritassero tutela mentre erano in vita, solo perché non avevano ricevuto ancora il plauso della collettività?
Forse è giunto il momento di riconoscere che è il plagio stesso ad attestare il valore di un’opera. Se un’opera viene copiata, riprodotta e sfruttata, vuol dire che ha un impatto, che ha valore. Un designer che vede i propri modelli riprodotti senza autorizzazione, dovrebbe poter godere di una protezione giuridica non perché il suo lavoro è stato esposto in una mostra, ma perché la sua creazione è frutto di un’espressione artistica che merita tutela. L’arte, come sosteneva Jean Dubuffet, può essere anche “l’arte dei folli“, dei non riconosciuti, dei marginali; è lì che risiede spesso la vera essenza del sentimento artistico.
Una riflessione aggiornata dovrebbe portarci a comprendere che un’opera è un’opera, anche se nessuno la considera o la osserva, perché ciò che conta è l’intenzione creativa e il sentimento artistico che vi sono dietro. Se un’illustrazione, un pattern o una scultura sono il frutto di un processo creativo originale e genuino, questa è già di per sé un’opera d’arte, e come tale dovrebbe essere tutelata. L’arte non è un concorso di popolarità; è un atto di creazione che richiede protezione per il solo fatto di esistere.
Superare il criterio del “valore artistico” per la protezione delle opere di design è essenziale per riconoscere il contributo di coloro che innovano al di fuori dei canali tradizionali. In un’epoca in cui l’innovazione si muove alla velocità della luce e le nuove idee possono nascere su una tavoletta digitale tanto quanto su una tela, è cruciale che la legge protegga l’espressione creativa in tutte le sue forme. È tempo di comprendere che la creatività non ha bisogno del consenso della collettività per esistere e per essere meritevole di tutela, design incluso.
Avvocato Arlo Canella