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Licenziamento per “commenti online”: il punto di vista della Cassazione.

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Antonella Marmo
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In un mondo sempre più interconnesso, il confine tra la libertà di espressione dei dipendenti e la tutela della reputazione aziendale è un tema giuslavoristico molto dibattuto. La Corte di Cassazione, con la sua recente decisione n. 35922/2023, coglie l’occasione per fare il punto.

Il caso: licenziamento per “commenti online”

Un lavoratore, si è trovato al centro di una tempesta giuridica a causa dei suoi commenti digitali nei confronti del datore di lavoro. La sua bacheca Facebook è diventata il palcoscenico di una protesta apparentemente innocua che, tuttavia, ha provocato la furia dell’azienda.

Il lavoratore parlando male della propria azienda aveva dato adito a  commenti gravemente lesivi dell’immagine e del prestigio dell’azienda nonchè dell’onorabilità e dignità dei suoi responsabili e di persone notoriamente legate alla azienda medesima affermando che i dipendenti venivano trattati “come stracci”.

Successivamente, il lavoratore riceve una lettera di contestazione disciplinare che accusa il dipendente di aver oltrepassato i confini della critica accettabile. Le parole utilizzate sono state considerate non solo offensive, ma potenzialmente dannose per l’armonia aziendale, creando un clima di tensione.

L’azienda pertanto decide di porre fine al rapporto lavorativo con il lavoratore, affermando che la sua “libertà di critica” aveva superato ogni limite. La sentenza della Corte d’appello di Bari ha successivamente confermato questa mossa estrema, sostenendo che la giusta causa era giustificata dal danno reputazionale subito dall’azienda.

Quali sono limiti alla libertà di espressione del dipendente?

Questo caso solleva interrogativi cruciali sul delicato equilibrio tra libertà di critica e le legittime esigenze delle aziende di proteggere la propria reputazione. La domanda fondamentale è se il lavoratore abbia il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni anche quando queste possono danneggiare l’immagine aziendale.

La libertà di espressione è un diritto fondamentale, ma nel contesto lavorativo è spesso soggetta a limitazioni. Le aziende possono legittimamente regolare il comportamento online dei dipendenti quando questo può avere un impatto sulla reputazione o sul clima aziendale. Il caso in questione solleva dubbi sulla sostenibilità di queste limitazioni e sulla necessità di trovare un terreno comune.

La Corte di Cassazione (Cass. Civ. n. 35922/2023) ha recentemente affrontato questa tematica, delineando alcune linee guida importanti. Secondo la Cassazione, la critica espressa da un dipendente sui social media può essere considerata lecita, a patto che rispetti alcuni parametri fondamentali. La Corte ha sottolineato che la critica deve essere collegata a questioni di interesse pubblico o comunque rilevanti per la collettività.

Il ruolo della “consapevolezza digitale” secondo la Suprema Corte

Nel caso in esame, la Cassazione ha escluso il diritto di critica se le frasi utilizzate dal lavoratore sono finalizzate a ledere la reputazione dell’azienda. 

La Corte ha infatti affermato che: «sebbene garantito dagli artt. 21 e 39 della Costituzione, il diritto di critica incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti  dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.) di tutela della persona umana, (con la conseguenza) che, ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi dirigenti di qualità  apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del  lavoratore possa essere legittimamente sanzionato in via disciplinare»

La decisione della Cassazione suggerisce un necessario bilanciamento tra il diritto del lavoratore alla libertà di espressione e l’interesse legittimo dell’azienda a preservare la propria reputazione. La libertà di esprimere opinioni critiche è riconosciuta, ma con l’importante avvertenza che tale libertà non può essere assoluta e illimitata.

La Cassazione indica la necessità di una discussione aperta su questioni di rilevanza sociale, anche se poste in modo critico. L’elemento chiave è l’associazione della critica a temi di interesse pubblico, fornendo così un terreno solido per la legittimità dell’espressione del dipendente.

Questa decisione sottolinea anche l’importanza della consapevolezza digitale, incoraggiando i dipendenti a riflettere attentamente sulle implicazioni delle proprie parole online. La Cassazione sostiene che la critica costruttiva legata a questioni di interesse pubblico può contribuire al dibattito sociale, ma è necessario farlo con responsabilità.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 11 Febbraio 2024

Antonella Marmo

Avvocato dello studio legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine di Milano, si occupa di Diritto Commerciale e del Lavoro.
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