Reagisci a furti informativi con prove solide e strategie d’urgenza.
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Quando è il cliente a violare la riservatezza, la tutela legale è tutt’altro che banale. In questo contributo analizziamo cosa fare in caso di sottrazione di progetti, file e materiali riservati da parte di un cliente sleale. Dalla raccolta delle prove alla reazione giudiziaria, passando per diffide, sequestri e risarcimenti, vedremo come impostare una strategia efficace. Non solo: spieghiamo anche come costruire NDA realmente applicabili e introdurre strumenti di prevenzione, controllo e cultura aziendale della riservatezza.
Quando si offrono servizi di valore ai clienti – consulenze strategiche, metodologie proprietarie, formule riservate, modelli tecnici o soluzioni progettuali – la regola d’oro è una sola: non condividere ciò che non si può permettere di perdere. La riservatezza assoluta è la tutela più efficace. Ma in molte situazioni professionali, la condivisione diventa necessaria: per proporre una soluzione su misura, partecipare a una selezione o sviluppare un progetto condiviso (vedi anche Guida al Memorandum of Understanding (MoU): uno strumento chiave per startup e collaborazioni – Canella Camaiora ).
In questi casi, è indispensabile regolare l’accesso alle informazioni tramite un accordo di riservatezza – il classico NDA (Non Disclosure Agreement) – che vincola formalmente il destinatario a non divulgarle né utilizzarle per scopi diversi da quelli pattuiti.
Solitamente, l’NDA viene usato dai clienti per tutelarsi nei confronti dei fornitori. Ma esiste anche lo scenario opposto: è il professionista o il fornitore a essere danneggiato. Succede quando un cliente, dopo aver ricevuto documenti, idee o materiali riservati, decide di usarli in autonomia, magari coinvolgendo un altro partner o replicandoli senza autorizzazione.
In queste situazioni, l’NDA rappresenta uno strumento essenziale per chi ha condiviso contenuti sensibili (approfondisci: Accordi di riservatezza (NDA): come proteggere il valore delle informazioni – Canella Camaiora). Ma il rispetto del patto non è mai scontato. I segnali di una possibile violazione possono essere sottili: domande tecniche fuori contesto, calo improvviso della comunicazione, oppure esclusione dalle fasi operative più rilevanti. In altri casi, si scopre che un prodotto “troppo simile” è stato annunciato da un altro soggetto [interessante sul punto: Prodotti copiati: il caso dell’ex rivenditore diventato competitor (Trib. Brescia, 5 dicembre 2024) – Canella Camaiora].
Quando si arriva a sospettare una violazione, la tempestività è decisiva. Perché non basta avere ragione: occorre poterla dimostrare con elementi probatori concreti. Vediamo come documentare la sottrazione di informazioni e impostare correttamente una strategia di attacco legale.
Quando emergono i primi segnali di una possibile violazione – un calo improvviso nella comunicazione, richieste tecniche poco chiare, o l’esclusione dalle fasi operative – è fondamentale non perdere tempo. La priorità non è affrontare subito il cliente, ma costruire un impianto probatorio solido.
Il primo passo è salvare ogni comunicazione rilevante: email, messaggi, note condivise. Anche dettagli apparentemente marginali – come l’orario di invio di un file o la cronologia di modifica di un documento – possono assumere valore centrale in sede giudiziaria. È altrettanto utile recuperare le versioni successive dei materiali condivisi, confrontandole per rilevare modifiche sospette o riutilizzi indebiti.
Parallelamente, è opportuno verificare gli accessi alle piattaforme collaborative: chi ha scaricato cosa, e quando. In un contesto digitale, monitorare le informazioni non solo è possibile: è doveroso. Le imprese che lavorano con contenuti riservati devono strutturarsi per tracciare, archiviare e conservare ogni interazione, così da poter ricostruire con precisione la catena degli eventi in caso di abuso.
In alcuni casi, la sottrazione delle informazioni è agevolata dall’interno della struttura del fornitore stesso, ad esempio da collaboratori o dipendenti infedeli che favoriscono il passaggio indebito di documenti sensibili al cliente o a terzi (approfondisci: Il caso del dipendente infedele che sottrae informazioni aziendali riservate – Canella Camaiora). Anche in queste ipotesi, la raccolta delle prove deve essere tempestiva e orientata alla tracciabilità.
Un altro passaggio essenziale è consolidare la prova della titolarità: chi ha creato quel contenuto? Quando? Con quali strumenti? Spesso le aziende sottovalutano l’importanza della paternità documentale, lasciando spazio a contestazioni che si sarebbero potute evitare.
Infine, è consigliabile coinvolgere tempestivamente un legale specializzato: non solo per predisporre una diffida, ma per valutare quale strategia cautelare attivare, se necessario anche in via d’urgenza, anche a sorpresa. Perché quando la violazione diventa manifesta, potrebbe essere già tardi per reagire.
Quando si scopre che un cliente – o un partner commerciale – ha utilizzato indebitamente informazioni riservate, la reazione legale va pianificata con attenzione. Spesso si pensa che il primo passo sia inviare una diffida, ma questo approccio può essere sopravvalutato: se non si è prima consolidato il quadro probatorio, l’allarme può compromettere la raccolta delle prove.
In presenza di un furto di informazioni, è fondamentale mappare la situazione, raccogliere ogni elemento utile e agire con sorpresa, spesso con l’ausilio di un consulente tecnico o un ufficiale giudiziario, per garantire la conservazione delle prove. Solo dopo questa fase si può procedere con efficacia.
La diffida, se utilizzata correttamente, resta uno strumento utile: ha valore legale, serve a formalizzare la contestazione e, se ben strutturata, può portare a una composizione stragiudiziale o preparare il terreno per l’azione giudiziaria.
Quando il danno è attuale o si teme un aggravamento imminente, si può ricorrere a un provvedimento d’urgenza (ricorso cautelare), che consente di ottenere rapidamente una tutela giudiziaria. Il giudice può ordinare:
Si tratta di misure rapide e potenti, ma devono essere richieste su basi solide. Se le prove sono deboli o contraddittorie, l’azione può trasformarsi in un pericoloso boomerang, con costi processuali e danni reputazionali.
Dopo l’eventuale fase cautelare, è possibile procedere con un’azione di merito per ottenere il risarcimento. I parametri principali per la quantificazione del danno includono:
Spesso, alla violazione dell’NDA si affiancano ulteriori illeciti – come concorrenza sleale o violazione di proprietà industriale – che consentono di rafforzare il fronte giudiziario.
La tutela della riservatezza non inizia con la violazione, ma molto prima: con la redazione dell’accordo. È in questa fase che si gioca buona parte della solidità difensiva. Per questo, è fondamentale che imprese, startup e team di sviluppo siano affiancati da professionisti esperti fin dalle prime interlocuzioni, per costruire NDA concreti, personalizzati e davvero applicabili.
Un accordo di riservatezza non può essere un modello generico copiato online. Deve essere adattato a più livelli: al tipo di informazioni condivise, alle tecnologie utilizzate, alle modalità operative del progetto e al rischio concreto di uso improprio.
Un NDA efficace stabilisce con precisione:
In alcuni casi, è utile includere una clausola penale: una previsione contrattuale che stabilisce in anticipo una somma dovuta in caso di violazione, evitando la necessità di dover dimostrare l’entità del danno. Ad esempio, si può prevedere che, in caso di diffusione non autorizzata delle informazioni, la parte inadempiente sia tenuta a corrispondere una penale di 50.000 euro. Questa clausola ha un forte effetto deterrente e semplifica eventuali azioni giudiziarie.
Ma non basta il documento: serve una cultura della riservatezza strutturata e attiva. Le aziende devono dotarsi di sistemi interni per:
Molte realtà già adottano soluzioni professionali per la gestione documentale, la conservazione legale e il monitoraggio delle attività, come Google Vault, Microsoft Purview, Mimecast Archive o Proofpoint, a conferma che questo approccio non è fantascienza ma buona prassi gestionale.
In un contesto in cui la conoscenza ha un valore economico e la condivisione è parte integrante della strategia, saper proteggere ciò che si costruisce non è un lusso: è una scelta di responsabilità imprenditoriale.
Un buon NDA non è un formalismo, ma il primo presidio legale del valore che ogni impresa genera ogni giorno.
Margherita Manca