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Neminem laedere: quando il danno è davvero ingiusto?

Pubblicato in: Contenziosi e Risarcimenti
di Martina Di Molfetta
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Il principio del neminem laedere impone di non arrecare danno agli altri e, qualora ciò accada, è necessario risarcire il danno. In questo articolo esploriamo questo principio fondamentale della responsabilità civile, analizzandone l’evoluzione dal Diritto romano ad oggi. Inoltre, esaminiamo come il Diritto sta affrontando le nuove sfide, come quelle derivanti dai danni causati dall’intelligenza artificiale.

Il principio del “Neminem laedere”

Il principio Neminem laedere, che letteralmente significa “non ledere nessuno”, è uno dei principi cardine del Diritto civile e costituisce il fondamento della responsabilità extracontrattuale. Questo principio è presente nell’art. 2043 c.c., che stabilisce:

“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno.”

Si tratta di una regola di antica tradizione, le cui radici risalgono al Diritto romano. Una delle sue prime formulazioni è contenuta nella celebre massima di Ulpiano:

“Honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere.”
(vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo)

Questa espressione sintetizza i principi fondamentali della giustizia e della convivenza sociale, sottolineando il dovere di evitare di arrecare danno agli altri.

Nel corso del tempo, il neminem laedere ha assunto un ruolo centrale nel diritto della responsabilità civile, che non si limita al riparare il danno, ma ha anche una funzione preventiva e deterrente. Tuttavia, il principio non implica che ogni danno arrecato a un terzo sia automaticamente illecito o risarcibile.

Come si stabilisce, allora, quando il danno subito deve essere effettivamente risarcito?

Quando un danno è risarcibile?

Perché una persona possa essere tenuta a risarcire un danno, non è sufficiente che quest’ultimo si sia verificato. La legge richiede la presenza di quattro elementi:

  1. Il fatto illecito

Il fatto illecito è un comportamento che provoca un danno ingiusto. Può trattarsi di un’azione, come nel caso di un ciclista che passa con il rosso e investe un pedone, provocandogli una frattura. In questo caso, il comportamento è illecito perché viola una norma sulla circolazione stradale e causa un danno.

Il fatto illecito può consistere anche in un’omissione, quando una persona ha il dovere giuridico di agire per prevenire un danno, ma non lo fa. Ad esempio, se il proprietario di un edificio fatiscente non esegue lavori di manutenzione e un pezzo di cornicione cade ferendo un passante, la sua inerzia è equiparabile a un atto illecito.

Tuttavia, non ogni comportamento che causa un danno è illecito. Se l’azione è svolta nell’esercizio di un diritto, non si può parlare di responsabilità civile. Un esempio è quello di un ufficiale giudiziario che esegue un pignoramento: il debitore subisce una perdita patrimoniale, ma l’atto è legittimo e quindi non può dar luogo a un risarcimento.

2. Il danno ingiusto

Affinché vi sia responsabilità civile, il danno subito deve essere ingiusto, ossia deve consistere nella lesione di un diritto riconosciuto dall’ordinamento. Non è sufficiente che qualcuno subisca una perdita economica o un pregiudizio: il danno è risarcibile solo se incide su un interesse giuridicamente protetto, cioè quello che il sistema giuridico considera meritevole di tutela (ad esempio diritto alla salute e la tutela del danno ambientale indiretto).

I danni si distinguono in patrimoniali e non patrimoniali:

I danni patrimoniali sono quelli che comportano una perdita economica concreta e si suddividono in:

  • Danno emergente, cioè la perdita economica subita direttamente, come il costo di riparazione di un bene danneggiato (art. 1223 c.c.).
  • Lucro cessante, ovvero il mancato guadagno che la vittima avrebbe potuto ottenere se il danno non si fosse verificato, come la perdita di entrate di un professionista dopo un incidente (art. 1223 c.c.).
  • Perdita di chance, rappresenta il danno derivante dalla perdita di una possibilità concreta di guadagno, come la perdita di un’opportunità economica che, se non fosse stato per l’evento dannoso, avrebbe potuto concretizzarsi. Questo tipo di danno si distingue dal lucro cessante in quanto non riguarda un guadagno certo, ma una possibilità che non si è potuta realizzare a causa dell’evento dannoso (cfr. Cass. civ., Sez. III, Sent., 11/05/2007, n. 10840).

I danni non patrimoniali (art. 2059 c.c. letto in chiave di lettura costituzionale cfr Cassazione del 2003, Sezione unite del novembre 2008), invece, riguardano la sfera personale della vittima e possono consistere in:

  • Danno morale: è la sofferenza interiore provocata da un illecito, come il dolore per la perdita di un familiare o il trauma derivante da una violenza subita.
  • Danno biologico: consiste nella lesione dell’integrità psicofisica della persona, indipendentemente dalle conseguenze economiche.
  • Danno esistenziale: riguarda la compromissione della qualità della vita della vittima, impedendole di svolgere attività abituali o di realizzarsi personalmente.

Mentre il danno patrimoniale può essere quantificato in base a costi e mancati guadagni, il danno non patrimoniale è più difficile da valutare e spesso richiede un’analisi caso per caso.

3. Nesso di causalità

Affinché vi sia responsabilità civile, il danno deve essere una conseguenza diretta e immediata del comportamento illecito.

Il criterio fondamentale per accertare il nesso causale è quello della condicio sine qua non: un evento è considerato causa di un danno solo se, eliminandolo, il danno non si sarebbe verificato.

Immaginiamo un automobilista che, guidando in modo distratto, sterza bruscamente e va a sbattere contro un’altra auto: in questo caso, il suo comportamento è la causa diretta dell’incidente. Tuttavia, in alcuni casi il rapporto causa-effetto può essere più complesso, ad esempio quando il danno è influenzato da cause concorrenti o interrotto da eventi successivi eccezionali e imprevedibili.

Ad esempio, pensiamo a un automobilista che, mentre guida correttamente, si trova all’improvviso davanti a un pedone che attraversa senza guardare. Per evitare di investirlo, sterza bruscamente e finisce contro un’altra auto. In questo caso, la causa dell’incidente potrebbe non essere la manovra del conducente, ma l’evento eccezionale e imprevedibile provocato dal pedone.

In situazioni simili, il giudice deve stabilire se la condotta dell’automobilista sia ancora collegata al danno oppure se sia stato proprio l’evento successivo (l’attraversamento improvviso) a determinare l’incidente. Se si ritiene che l’imprevisto sia stato così grave da rendere inevitabile lo scontro, il nesso causale si interrompe e l’automobilista non sarà ritenuto responsabile.

Se invece si valuta che, pur in presenza dell’imprevisto, l’automobilista avrebbe potuto evitare il danno con una maggiore attenzione, la responsabilità rimane, perché il suo comportamento resta comunque una causa efficace dell’incidente.

4. Dolo o colpa

Infine, per determinare la responsabilità è necessario valutare l’intenzionalità o la negligenza dell’autore del fatto illecito.

Si parla di dolo quando il danno è stato provocato volontariamente, come nel caso di chi incendia l’auto di un rivale per vendetta.

Si parla invece di colpa quando il danno è stato causato per negligenza, imprudenza o imperizia, come nel caso di un medico dipendente di una struttura sanitaria che somministra un farmaco sbagliato per disattenzione (approfondisci: Responsabilità sanitaria: districarsi tra medici, ATP e ospedali per ottenere il risarcimento – Canella Camaiora).

Esistono anche ipotesi di responsabilità oggettiva, in cui non è necessario dimostrare il dolo o la colpa, come nel caso dei danni provocati da animali o minori sotto la responsabilità di un adulto.

In conclusione, affinché vi sia responsabilità extracontrattuale, il danno deve essere riconducibile a un comportamento intenzionale o colposo del soggetto agente, salvo i casi di responsabilità oggettiva previsti dalla legge.

In sintesi, la responsabilità extracontrattuale non scatta automaticamente: per ottenere un risarcimento, è necessario dimostrare l’esistenza di un fatto illecito, di un danno ingiusto, di un nesso di causalità e della colpa o del dolo dell’autore. Senza la presenza contemporanea di questi elementi, non vi è obbligo di risarcimento.

L’evoluzione della responsabilità extracontrattuale e le nuove sfide

Nel corso del tempo, la responsabilità extracontrattuale ha ampliato i propri confini, adattandosi ai cambiamenti sociali, tecnologici e culturali. Da principio volto principalmente alla riparazione di danni materiali, si è progressivamente estesa a tutelare anche aspetti immateriali della persona, come la sofferenza morale, la lesione dell’identità e la compromissione della qualità della vita.

Un passaggio importante in questa evoluzione è rappresentato dalla sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 5 luglio 2017, n. 16601, che ha aperto alla possibilità di riconoscere i cosiddetti “danni punitivi”. Secondo la Corte, tali forme di risarcimento – già previste in ordinamenti di common law, come quello statunitense – non sono di per sé incompatibili con il sistema italiano, purché siano introdotte da una norma specifica e rispettino i principi costituzionali, come il principio di legalità (art. 25 Cost.) e il divieto di imposizione arbitraria di obblighi (art. 23 Cost.). In questo modo, il tradizionale ruolo riparatorio del risarcimento potrebbe, in casi eccezionali, affiancarsi anche a una funzione sanzionatoria e deterrente.

Oggi, la responsabilità civile si confronta con nuove sfide, in particolare con i rischi legati all’intelligenza artificiale. Per questo, l’Unione europea ha approvato nel 2024 una nuova Product Liability Directive, entrata in vigore nel 2025, che estende la responsabilità oggettiva anche ai danni causati da software, aggiornamenti digitali e sistemi di IA, inclusi quelli non incorporati in hardware fisico. La nuova direttiva prevede inoltre presunzioni di difettosità, un alleggerimento dell’onere probatorio per le vittime e un concetto di danno più ampio, che include anche perdite di dati e danni psicologici o reputazionali.

Parallelamente, era stata proposta anche una AI Liability Directive, finalizzata a introdurre regole specifiche per i danni causati da sistemi di IA ad alto rischio. Tuttavia, questa proposta è stata ritirata nel 2025 per mancanza di consenso politico e timori di un’eccessiva rigidità normativa. La decisione è stata formalizzata nel Commission Work Programme 2025, insieme al ritiro di altre 37 proposte legislative.

È però importante ricordare che, nel frattempo, è stato adottato l’AI Act, il regolamento europeo che disciplina l’uso e lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale. Sebbene l’AI Act non contenga una disciplina diretta della responsabilità civile, introduce obblighi rigorosi per produttori e utilizzatori di IA ad alto rischio: gestione del rischio, tracciabilità, trasparenza, sorveglianza umana e obblighi informativi. La violazione di questi obblighi può assumere un rilievo decisivo nei giudizi di responsabilità, poiché può essere considerata indice di negligenza o colpa da parte dell’operatore.

In assenza di una normativa armonizzata sulla responsabilità da IA, la disciplina resta affidata agli ordinamenti nazionali, con il rischio di frammentazione e incertezza applicativa. Tuttavia, gli strumenti normativi e giurisprudenziali già esistenti dimostrano una progressiva apertura verso una responsabilità civile più flessibile e adeguata alle sfide del presente.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 12 Maggio 2025

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Martina Di Molfetta

Laurenda in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità presso l'Università degli studi di Pavia
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