Analizziamo la tua campagna per prevenire illeciti e sanzioni
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Può un brand sembrare sponsor di un grande evento sportivo senza esserlo davvero? E soprattutto: può farlo senza incorrere in sanzioni? A queste domande ha risposto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3118 dell’11 aprile 2025, confermando la multa inflitta a Zalando SE per una campagna pubblicitaria apparsa a ridosso degli Europei di calcio UEFA Euro 2020. La decisione si muove in un territorio dove diritto e marketing si sfiorano, talvolta urtano, e rappresenta il primo riferimento a livello italiano per l’interpretazione del fenomeno noto come ambush marketing.
L’ambush marketing consiste in una pratica con cui un’impresa cerca di trarre vantaggio dalla visibilità di un evento – sportivo, culturale, istituzionale – senza essere sponsor ufficiale né avere alcuna autorizzazione. È una forma di comunicazione opportunistica che sfrutta il traino simbolico e mediatico dell’evento, dando l’impressione al pubblico di un coinvolgimento formale inesistente.
Per contrastare tali fenomeni, il legislatore italiano è intervenuto in modo organico con l’art. 10 del D.L. 16/2020, norma introdotta nel contesto dei Giochi Olimpici e Paralimpici Milano-Cortina 2026 e delle Finali ATP Torino. La disposizione vieta esplicitamente quattro tipologie di condotte, tra cui quella rilevante nel caso Zalando: la creazione di un collegamento anche solo indiretto tra un marchio e un evento, purché tale collegamento sia idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali.
È importante sottolineare che la violazione non richiede l’uso di loghi registrati, denominazioni protette o simboli ufficiali. È sufficiente che il messaggio, nel suo complesso, sia tale da alterare la percezione del consumatore medio, inducendolo a ritenere esistente un rapporto di sponsorizzazione mai formalizzato. La norma, infatti, introduce una fattispecie di illecito amministrativo di pericolo concreto, punibile con sanzioni che possono arrivare fino a 2,5 milioni di euro, e che ricade nella competenza sanzionatoria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Nel giugno 2021, in una Piazza del Popolo già animata dai preparativi UEFA Euro 2020, Zalando SE affigge un manifesto con il proprio lo go, una maglietta bianca e le ventiquattro bandiere delle nazioni partecipanti al torneo, accompagnato dal claim “Chi sarà il vincitore?”.
L’AGCM non ha avuto dubbi: questa comunicazione, pur in assenza di riferimenti espliciti all’evento, era idonea a generare nel pubblico un’associazione ingannevole tra Zalando e il torneo. Un classico esempio di ambush marketing per collegamento indiretto. Nessun marchio UEFA, ma un’ambientazione e una combinazione di simboli capaci di sfruttare indebitamente l’impatto visivo e la percezione dell’evento. Per questi motivi, l’AGCM sanzionava Zalando per 100.000 euro.
Zalando impugnava la decisione, sostenendo che:
Né il TAR del Lazio né il Consiglio di Stato, tuttavia accoglievano queste difese.
Chiamato a pronunciarsi dopo il rigetto del ricorso da parte del TAR Lazio, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità della sanzione. Secondo il Consiglio, il messaggio di Zalando integrava la fattispecie vietata dall’art. 10, comma 2, lett. a) del D.L. 16/2020: collegamento indiretto tra marchio ed evento e l’idoneità a generare confusione sullo status di sponsor.
Anche in assenza di simboli ufficiali, la combinazione degli elementi visivi (maglia e bandiere), del posizionamento fisico (vicinanza al Football Village) e dello slogan era sufficiente – per l’avventore medio – a ritenere plausibile un rapporto di sponsorizzazione. Il Consiglio di Stato ha valorizzato il concetto di framing comunicativo, chiarendo che il messaggio pubblicitario va letto nella sua forma complessiva, tenendo conto del luogo, del tempo e degli elementi simbolici impiegati. In altre parole, ciò che conta è l’effetto che produce, non solo ciò che letteralmente dichiara.
Il pubblico non è composto da giuristi, ma da consumatori esposti a messaggi sintetici, veloci, visivi. È in questo contesto che una maglietta, una bandiera, uno slogan e un luogo specifico possono bastare a trasmettere l’idea – anche falsa – di una sponsorizzazione esistente.
Rilevante anche il passaggio dedicato finalità sociale della campagna. Il Consiglio ha riconosciuto che un messaggio inclusivo può legittimamente orientare una strategia di comunicazione, ma ha sottolineato come tale intento sia risultato chiaro solo a posteriori, in una versione successiva del cartellone, non sufficiente a neutralizzare l’effetto decettivo originario.
Il punto fondamentale della decisione è che l’illiceità nasce dall’idoneità a ingannare, e tale idoneità si misura sulla base della realtà comunicativa, non delle intenzioni dichiarate o delle omissioni formali.
Con questa sentenza, il Consiglio di Stato offre una guida interpretativa netta, che mette in guardia imprese, agenzie e creativi pubblicitari. Il principio di fondo è chiaro: non conta solo ciò che si dice, ma come e dove lo si comunica. Il rischio di commettere un illecito non si misura sulla presenza di parole o loghi proibiti, ma sulla percezione complessiva che il messaggio genera nel consumatore medio.
Evocare un evento sportivo non può essere – di per sé – neutro. Quando quell’evento è protetto da un sistema di diritti esclusivi – diritti che gli sponsor ufficiali hanno acquistato a caro prezzo – ogni associazione indebita può configurare una forma di concorrenza sleale, anche se non intenzionale.
È lecito parlare di sport. È legittimo costruire narrazioni inclusive. Ma non è ammissibile insinuare – anche solo visivamente – una sponsorizzazione che non esiste, soprattutto quando si è in prossimità fisica e simbolica dell’evento.
In altre parole, l’ambush marketing può configurarsi anche in modo subdolo, implicito o solo allusivo, se il contesto rende l’equivoco plausibile. E non è sufficiente – né tantomeno efficace – appellarsi a libertà costituzionalmente garantite, se il messaggio compromette la trasparenza del mercato e il valore contrattuale della sponsorship ufficiale.
Margherita Manca