Obblighi e rischi per chi etichetta: consulenza legale per aziende alimentari.
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Chi pensa che l’etichetta di un alimento serva solo a sapere cosa c’è dentro, si sbaglia di grosso. Ogni prodotto sugli scaffali compete per la nostra attenzione, quindi l’etichetta è molto più di una lista ingredienti: è uno strumento di garanzia, trasparenza e responsabilità. Un’alleata invisibile che può aiutarci a scegliere consapevolmente, tutelare la nostra salute e riconoscere la qualità vera dietro le promesse del marketing.
I numerosi richiami di prodotti per errori di etichettatura, in particolare la mancata segnalazione di allergeni, dimostrano quanto un dettaglio possa fare la differenza. Ma quanti sanno davvero distinguere tra data di scadenza e TMC? Quanti riconoscono il significato delle sigle come E300? E quanti sanno che, per certi ingredienti enfatizzati sulla confezione, deve essere indicata la quantità precisa?
In questo approfondimento esploriamo, con esempi pratici e riferimenti normativi, cosa deve contenere un’etichetta per essere a norma, come interpretarla correttamente e quali sono le responsabilità legali per chi la redige. Perché conoscere è il primo passo per scegliere bene.
Quando si parla di etichettatura alimentare, non si tratta solo di un foglietto informativo incollato sulla confezione. L’etichetta è il primo strumento di tutela per il consumatore, ma anche un presidio legale per chi produce e commercializza alimenti. Oggi più che mai, in un mercato affollato e globalizzato, la chiarezza dell’etichetta rappresenta un obbligo normativo e un’opportunità di trasparenza.
Spesso acquistiamo in modo automatico, guidati da abitudini o strategie di marketing. Tuttavia, saper leggere correttamente un’etichetta può fare la differenza tra un acquisto consapevole e uno potenzialmente rischioso. Basti pensare ai recenti casi di ritiro di prodotti per allergeni non dichiarati, o alla confusione ricorrente tra “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro”.
Comprendere le informazioni obbligatorie, distinguere tra ingredienti e additivi, riconoscere gli allergeni e conoscere l’origine del prodotto non è solo un esercizio di attenzione: è un diritto fondamentale del consumatore. Un diritto che trova fondamento giuridico in una normativa europea ben strutturata, integrata da disposizioni nazionali, e che impone obblighi precisi a produttori e distributori.
Ma quali sono, nel dettaglio, le norme che disciplinano le informazioni alimentari e cosa rischia chi non le rispetta? È proprio da questo punto che iniziamo a fare chiarezza…
Alla base della disciplina sull’etichettatura alimentare c’è il Regolamento (UE) n. 1169/2011, noto anche come “FIC” Food Information to Consumers. È il testo normativo che ha uniformato le regole in tutta l’Unione Europea, garantendo che i consumatori possano accedere a informazioni chiare, leggibili e comprensibili su ogni alimento, prima dell’acquisto.
Il regolamento si applica a tutti gli alimenti commercializzati nello Spazio Economico Europeo (SEE), siano essi preimballati o sfusi, venduti al dettaglio o destinati alla ristorazione collettiva. Ogni operatore del settore alimentare è responsabile delle informazioni fornite, inclusi produttori, distributori e importatori.
Tra gli elementi obbligatori da riportare in etichetta (art. 9 del Regolamento), troviamo:
Il Regolamento adotta un approccio orizzontale, valido per la maggior parte dei prodotti, ma affiancato da disposizioni verticali per categorie specifiche (come vino, miele, olio, latte). Inoltre, ogni Stato membro può emanare norme integrative, come avviene in Italia.
Nel nostro Paese, il D.lgs. 231/2017 stabilisce le sanzioni per le violazioni al regolamento europeo, introducendo multe e, in alcuni casi, sanzioni penali. Le violazioni vengono differenziate per gravità: si va dalla mancata indicazione di un allergene fino alla falsa indicazione dell’origine del prodotto.
Esistono anche normative settoriali italiane tuttora in vigore, come il D.P.R. 187/2001 per la pasta o specifici decreti per prodotti a denominazione protetta (DOP, IGP).
Ora che conosciamo il quadro giuridico, entriamo nel dettaglio: quali sono le informazioni obbligatorie che ogni etichetta deve riportare? E come devono essere presentate per risultare valide?
Un’etichetta alimentare conforme non è solo una questione di contenuti, ma anche di chiarezza, leggibilità e ordine logico. Il Reg. (UE) 1169/2011 stabilisce con precisione quali informazioni devono essere sempre presenti e in che modo devono essere rese accessibili al consumatore.
Denominazione dell’alimento
È il nome legale del prodotto o, in mancanza, quello comunemente accettato (es. pasta di semola di grano duro, formaggio fresco spalmabile). Deve essere inequivocabile e non indurre in errore, specie in presenza di norme tecniche settoriali (es. per vini DOP o marmellate).
Elenco degli ingredienti
Gli ingredienti devono essere elencati in ordine decrescente di peso al momento della preparazione. Gli allergeni obbligatori (come latte, uova, frutta a guscio, glutine, soia, pesce, ecc.) devono essere evidenziati graficamente: grassetto, MAIUSCOLO o colore diverso. Alcuni componenti, come aromi o additivi in tracce, seguono regole di dichiarazione specifiche.
Date: TMC o scadenza?
Il TMC, Termine Minimo di Conservazione, si esprime con “da consumarsi preferibilmente entro”: il prodotto può perdere qualità ma resta sicuro anche dopo tale data.
La data di scadenza (“da consumarsi entro”) indica un limite oltre il quale il prodotto può risultare pericoloso per la salute, come nel caso di alimenti freschi o facilmente deperibili.
Produttore e responsabile
Devono essere indicati nome e indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni: può essere il produttore, ma anche un importatore o un distributore.
Lotto, quantità e volume
Il lotto di produzione consente di tracciare rapidamente eventuali problemi lungo la filiera. La quantità netta è sempre obbligatoria nei prodotti preimballati; per quelli conservati in liquido, si indica anche il peso sgocciolato.
Preimballati vs. sfusi
I prodotti preimballati sono confezionati prima della vendita e a libero servizio: su di essi si applicano tutte le informazioni obbligatorie.
I prodotti sfusi o venduti su richiesta, come pane, formaggi o carne al banco, richiedono informazioni ridotte (denominazione, allergeni, provenienza), spesso fornite tramite cartellini o pannelli informativi.
Sapere cosa cercare su un’etichetta è fondamentale, ma altrettanto importante è saperla interpretare correttamente nella pratica quotidiana. Vediamo quindi alcuni esempi reali e risposte alle domande più comuni…
Comprendere un’etichetta alimentare significa saper leggere tra le righe: non basta sapere dove cercare le informazioni obbligatorie, ma occorre anche saperle interpretare. E proprio su questo punto sorgono i dubbi più frequenti, sia per i consumatori attenti sia per chi opera nel settore agroalimentare.
Una delle domande più comuni riguarda la differenza tra TMC e scadenza. Il Termine Minimo di Conservazione (TMC), espresso con la formula “da consumarsi preferibilmente entro”, non è una data di pericolo, ma un limite di qualità. Oltre questa soglia, il prodotto potrebbe non mantenere intatte le sue caratteristiche organolettiche, ma può essere ancora consumato senza rischi per la salute. Al contrario, la data di scadenza, indicata con “da consumarsi entro”, riguarda la sicurezza microbiologica del prodotto: superata tale data, l’alimento potrebbe essere nocivo, ed è perciò vietata la vendita.
Altro tema fondamentale è la corretta evidenziazione degli allergeni, uno degli obblighi più rigorosamente sanzionati dalla normativa. Gli allergeni devono essere sempre messi in evidenza all’interno dell’elenco degli ingredienti, tramite grassetto, MAIUSCOLO o colore differenziato, per garantire immediata riconoscibilità. L’inosservanza di questo requisito non è un dettaglio formale, ma una violazione che può mettere in serio pericolo la salute dei consumatori allergici.
Molta attenzione va prestata anche alla presenza di additivi, spesso indicati con sigle alfanumeriche come E300, E202, ecc. La loro funzione varia: possono essere conservanti, coloranti, stabilizzanti, correttori di acidità. Anche se approvati a livello europeo, alcuni consumatori preferiscono evitarli, per cui è importante riconoscerli e comprendere il loro ruolo nella composizione del prodotto.
Infine, una nota particolare riguarda le diciture come “peso netto” o “peso sgocciolato”, spesso fonte di confusione. Quando un alimento è conservato in liquido, il peso effettivo del prodotto alimentare (escluso il liquido di governo) deve essere chiaramente indicato: una misura di trasparenza per garantire che il consumatore non venga tratto in inganno da confezioni apparentemente più abbondanti (per approfondire, “Dicitura obbligatoria o pratica commerciale? L’etichettatura tra trasparenza e responsabilità legale”).
In definitiva, un’etichetta ben redatta non è solo una questione di conformità normativa, ma anche di comunicazione efficace e rispetto per il consumatore. È il punto d’incontro tra responsabilità del produttore e diritto all’informazione. E in questo articolo approfondiamo un aspetto poco noto ma strategico dell’etichettatura “Oltre il QUID: come un’etichetta alimentare precisa protegge l’azienda e ispira fiducia”.
E mentre il legislatore europeo si prepara a riscrivere le regole con l’introduzione dell’etichettatura digitale e dei QR code intelligenti, una nuova domanda si affaccia con forza: l’etichetta del futuro sarà davvero più trasparente o rischierà di diventare ancora più opaca?