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Nel mondo dei social media, l’“aesthetic” di un profilo rappresenta un potente strumento di comunicazione e identità per influencer e creator. Tuttavia, la tutela legale di uno stile distintivo si scontra con i limiti del diritto d’autore, che protegge solo espressioni creative tangibili. Attraverso un’analisi normativa e un caso di studio reale, questo articolo esplora le difficoltà legate alla protezione dell’estetica sui social e introduce il concetto di parassitismo commerciale e della concorrenza sleale come alternativa per difendere il valore economico e creativo del proprio lavoro. Scopri come costruire e proteggere la tua identità digitale in un panorama sempre più competitivo.
Le piattaforme social rappresentano oggi il principale veicolo di trasmissione di contenuti creativi e il cuore pulsante della comunicazione digitale. Da Instagram a TikTok, non sono più solo spazi di condivisione, ma veri e propri strumenti di lavoro per influencer e creator. Ogni post, ogni storia, ogni reel è il frutto di un impegno creativo che riflette un’estetica, un brand e caratteristiche riconoscibili.
È proprio per questo motivo che, nel contesto dei social media, il termine “aesthetic” assume spesso un ruolo centrale. Esso rappresenta l’insieme di scelte visive, stilistiche e tematiche che caratterizzano un profilo, andando oltre i singoli elementi grafici. Si tratta di una combinazione armoniosa di colori, immagini, font e atmosfere, che trasmettono un’identità forte e coerente. Ad esempio, un feed Instagram dai toni pastello e minimalisti comunica eleganza e semplicità, mentre uno caratterizzato da colori accesi e dinamici evoca energia e creatività.
Tuttavia, proprio questa impalpabile costruzione stilistica rende i creator vulnerabili a fenomeni come l’appropriazione indebita, l’imitazione o l’uso non autorizzato dei loro contenuti. Anche se fotografie, video e grafiche originali possono essere tutelati dal diritto d’autore, l’“aesthetic” nel suo insieme si rivela un concetto fragile (vedi anche: Come tracciare il confine tra ispirazione e plagio? – Canella Camaiora).
In un ambiente sempre più competitivo, quindi, sorge una domanda ricorrente: è davvero possibile per un influencer o un creator tutelare la propria “aesthetic” sui social media?
La recente controversia tra le influencer Sydney Nicole Gifford e Alyssa Sheil ha sollevato interrogativi interessanti sulla possibilità di proteggere legalmente l’aesthetic di un profilo social.
Sydney Nicole Gifford, influencer con oltre 790.000 follower su Instagram e TikTok, ha accusato la collega Alyssa Sheil di aver copiato il suo stile distintivo caratterizzato da tonalità neutre, beige e crema. Le due si erano incontrate nel dicembre 2022 per discutere una possibile collaborazione, ma dopo una sessione fotografica congiunta nel gennaio 2023, Sheil avrebbe iniziato a pubblicare contenuti simili a quelli di Gifford, replicando elementi come l’arredamento dell’appartamento, angolazioni della fotocamera, scelte di font e persino il taglio di capelli (si v. Can You Ever Really Own an Aesthetic? That’s the Question at the Center of This Influencer Lawsuit | Vogue – 10 Dec 2024).
Gifford ha intentato una causa legale, chiedendo fino a 150.000 dollari di risarcimento per “angoscia e perdita di reddito” e la rimozione dei contenuti di Sheil dalle piattaforme online. La causa include accuse di violazione del copyright, appropriazione indebita dell’immagine e concorrenza sleale.
Questo caso, soprannominato “sad beige lawsuit“, evidenzia le sfide nel proteggere legalmente l’estetica sui social media. Mentre elementi specifici come fotografie e video possono essere protetti dal diritto d’autore, l’estetica complessiva di un profilo, spesso basata su tendenze popolari come il “clean girl aesthetic“, potrebbe non soddisfare i criteri di originalità richiesti per la protezione legale (v. anche Who’s the most basic person on the internet? A court will have to decide between these two beige influencers | Arwa Mahdawi | The Guardian 10 Dec 2024).
La difesa di Sheil sostiene che il suo lavoro è sviluppato in modo indipendente e che l’estetica in questione è ampiamente diffusa e non esclusiva di Gifford. Insomma, fino a che punto un’estetica può essere considerata proprietà intellettuale di un individuo?
Il caso Gifford vs. Sheil potrebbe stabilire un precedente significativo nel determinare se e come un’estetica sui social media possa essere protetta legalmente. La decisione finale avrà implicazioni rilevanti per influencer e creator, influenzando il modo in cui costruiscono, caratterizzano e difendono la loro identità digitale sui social.
Il copyright svolge una duplice funzione: tutela i diritti economici degli autori sulle proprie opere e garantisce il riconoscimento del legame tra l’autore e la creazione, valorizzandone la personalità. In Italia, la protezione del copyright è disciplinata dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633 (LDA). Secondo l’art. 1 della LDA, un’opera è tutelabile se frutto di ingegno creativo, indipendentemente dal modo o dalla forma di espressione.
Perché un’opera sia protetta, deve rispondere a due criteri principali:
È importante sottolineare che il diritto d’autore non protegge le idee in sé, ma il loro contenuto espressivo, purché espresso in una forma che renda percepibile il valore creativo.
L’art. 2 della LDA elenca alcune categorie tradizionali di opere tutelabili, come quelle letterarie, musicali, scultoree e grafiche. Tuttavia, l’elenco non è tassativo. La legge si apre anche a forme di espressione più recenti, come le opere multimediali, purché soddisfino i requisiti di originalità, novità e concretezza.
Nel contesto di un profilo Instagram, sono protetti dal copyright:
Non rientrano nella protezione:
Mentre i singoli elementi creativi di un profilo social possono essere efficacemente tutelati, l’aesthetic nel suo insieme si rivela fragile e difficilmente proteggibile.
Ottenere una tutela legale per la mera “aesthetic” di un profilo social è complesso, dato che la legge sul copyright protegge solo le espressioni creative tangibili e non concetti generici come stili o atmosfere. Tuttavia, esistono altre vie legali che possono essere percorse, tra cui il ricorso al concetto di parassitismo commerciale previsto dall’art. 2598 del Codice Civile (approfondisci: Quando l’imitazione di un prodotto è illecita? ll Tribunale di Milano fa il punto. – Canella Camaiora).
Il parassitismo si verifica quando un soggetto sfrutta indebitamente l’immagine o il lavoro creativo altrui per ottenere vantaggi economici, senza un proprio contributo originale. In ambito social, può applicarsi a casi in cui l’imitazione dell’estetica di un creator sia tale da generare confusione, sviare il pubblico o sfruttare la reputazione di chi ha creato l’estetica originale. Questo strumento si concentra sullo sviamento della clientela e sull’appropriazione di valore economico generato da altri (approfondisci: Concorrenza sleale, attività affini e danno all’immagine: la Cassazione fa chiarezza – Canella Camaiora).
Se un soggetto replica l’insieme di elementi distintivi che costituiscono l’aesthetic di un creator, senza limitarsi a trarre ispirazione, ma ricalcando dettagli riconoscibili come combinazioni cromatiche, impostazioni grafiche o scelte stilistiche specifiche, si può ipotizzare una condotta parassitaria. Questo approccio risulta particolarmente utile in casi dove il copyright non offre una protezione diretta, ma il danno economico e reputazionale è evidente (approfondisci: Quando “cavalcare” la reputazione altrui è un atto illecito? – Canella Camaiora).
Sebbene la tutela diretta della “aesthetic” rimanga difficile da ottenere, il concetto di parassitismo commerciale offre una strada percorribile per difendere la propria identità creativa e il valore economico associato. In un panorama digitale sempre più competitivo, sfruttare tutti gli strumenti legali a disposizione diventa cruciale per influencer e creator.
Gianluca Regolo