Scopri come tutelare le tue opere artistiche.
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Lo “stile” nell’ambito delle arti visive e letterarie rappresenta la distintiva modalità di espressione di un artista, che comprende elementi come la tecnica, la forma, la scelta dei colori e il linguaggio. Ernst Gombrich, nel suo saggio “Style” del 1968, definisce lo stile come “Lo stile è il modo unico e riconoscibile con cui viene compiuta un’azione o realizzato un artefatto, o il modo in cui dovrebbero essere compiuti e realizzati“.
Questa definizione sottolinea come lo stile non sia solo una modalità di espressione, ma una scelta intenzionale che riflette l’individualità personale dell’artista. Gombrich evidenzia soprattutto che lo stile diventa evidente solo se, sullo sfondo, ci sono a disposizione scelte alternative, ponendo l’accento sull’intenzione e la scelta individuale come elementi chiave.
A questo punto, viene da domandarsi se lo stile di un’artista – sufficientemente riconoscibile – sia tutelabile di per sé stesso.
Ebbene, il diritto d’autore protegge tutte le opere dell’ingegno di carattere creativo, come specificato dall’articolo 2 della legge italiana sul diritto d’autore. Questo articolo, a titolo meramente esemplificativo elenca una serie di opere protette tra cui:
Nonostante questa ampia protezione, lo stile di un artista di per sé non viene espressamente richiamato e la sua tutelabilità, quindi, può essere messa in dubbio. Il diritto d’autore protegge l’espressione concreta di un’idea, non l’idea o il metodo stesso. Pertanto, mentre un’opera d’arte specifica può essere protetta, il particolare stile che la caratterizza non lo è automaticamente.
Questo significa che altri possono ispirarsi allo stile di un autore chiaramente identificabile, senza violarne i relativi diritti? Alcuni artisti, in effetti, hanno sviluppato stili così distintivi che le loro opere sono immediatamente riconoscibili.
La difficoltà di tutelare lo stile risiede nel fatto che esso è un “concetto astratto” che riflette l’approccio personale dell’artista alla creazione, piuttosto che un elemento tangibile e specifico.
In linea di massima, ad esempio, lo stile di Tim Burton può essere ritenuto molto riconoscibile grazie all’estetica gotica, fatta di meraviglia e terrore, palette di colore ben definite, toni cupi in contrasto con colori vivaci e saturi, temi ricorrenti, personaggi eccentrici, ma queste caratteristiche in sé non possono essere protette dal diritto d’autore. Solo le opere specifiche create da Tim Burton possono essere tutelate.
Questo, in effetti, rende lo stile di un autore vulnerabile all’imitazione, poiché altri artisti possono ispirarsi a esso senza violare la legge, ma vi sono ovviamente alcune eccezioni.
Ormai più di sei anni fa, Emilio Isgrò, uno degli artisti italiani più noti a livello globale, soprattutto per le sue “cancellature“, ha accusato Roger Waters, ex membro dei Pink Floyd, di averlo plagiato, riproducendo lo stile delle sue opere per la copertina dell’album “Is This the Life We Really Want?“. Il Tribunale di Milano aveva inizialmente sospeso le vendite del disco a causa della presunta violazione del copyright ma successivamente i due artisti sono riusciti a trovare un accordo (per approfondire: “L’artista Emilio Isgrò e Roger Waters hanno trovato un accordo sulla questione della copertina di quel disco”).
Il caso di Isgrò e Roger Waters è particolarmente significativo perché l’arte concettuale di Isgrò consiste nel cancellare parti di una pagina scritta, riga dopo riga, lasciando visibili solo alcune parole per creare un nuovo messaggio. Ciò solleva la domanda: è legittimo vietare l’uso quasi di una “tecnica” in nome del diritto d’autore?
Gombrich conclude il suo saggio “Style” del 1969 con queste parole: “al momento, in ogni caso, la comprensione intuitiva delle forme sottostanti che caratterizza il conoscitore è ancora molto più avanzata dell’analisi morfologica degli stili in termini di caratteristiche enumerabili.” In altre parole, l’intuizione e l’esperienza del conoscitore d’arte permettono una comprensione più profonda e immediata dello stile rispetto a un’analisi puramente tecnica e dettagliata. Anche se quest’ultima è utile, non è ancora in grado di sostituire completamente l’intuizione e la percezione globale che un esperto d’arte possiede.
A mio parere, comunque, prima di tutelare un puro concetto o uno stile, occorre riflettere a fondo sull’impatto che questa scelta potrebbe avere sulla libertà di espressione di tutti noi. La difesa dello stile rimane un’area complessa e sfumata del diritto, che richiede equilibrio tra la tutela della creatività individuale, il rispetto del sentimento artistico altrui e la libertà di ispirazione ed espressione.
Utilizzare immagini di riferimento è una pratica comune e legittima nel mondo dell’arte, del design e della pubblicità. Queste immagini, spesso raccolte in un c.d. “moodboard”, servono come ispirazione per un determinato progetto creativo. Una moodboard, in sostanza, è una raccolta di immagini, testi e altri elementi visivi che aiutano a definire il tono, lo stile e il mood di un determinato progetto creativo. Le immagini di riferimento, o reference, vengono selezionate con cura per guidare l’artista nella creazione di qualcosa di nuovo, mantenendo coerenza con un certo stile o atmosfera che è stato definito dal principio.
Tuttavia, utilizzare un’immagine di riferimento in un’opera vera e propria, senza sufficiente trasformazione può infrangere il diritto d’autore altrui. L’uso di immagini protette, senza autorizzazione, può portare a gravi conseguenze legali (per approfondire “collage di immagini e diritto d’autore, ecco come funziona”).
Un esempio molto famoso è il caso di Shepard Fairey e il suo poster “Hope” di Barack Obama.
Fairey ha utilizzato una fotografia di Associated Press per creare l’iconico poster che ha accompagnato Barack Obama nella corsa alla Casa Bianca del 2009. Tuttavia, la fotografia era stata scattata da Mannie Garcia per AP. La trasformazione dello scatto fotografico nella realizzazione del poster non è stata considerata sufficientemente originale o trasformativa da escludere le accuse di plagio.
Fairey, in effetti, non aveva ottenuto il consenso per utilizzare la fotografia e, anzi, aveva tentato di negare che quella fosse effettivamente la foto utilizzata per la creazione del poster. Le parti, comunque, hanno poi trovato un accordo bonario. Secondo un articolo del New York Times, Fairey avrebbe accettato di non utilizzare più foto di Associated Press senza licenza e di condividere i profitti derivanti dalla vendita dei poster e di altri gadget. In ogni caso, il New York Times riporta che oggi il poster è parte della collezione della National Portrait Gallery di Washington, parte dello Smithsonian Institute.
Anche se nel caso di Fairey vi è stato un lieto fine, occorre tenere a mente che le conseguenze dell’utilizzo di scatti senza autorizzazione possono portare a dover risarcire il danno, ordini di inibitoria, sequestro e danni reputazionali. Gli artisti devono quindi essere consapevoli dei rischi associati all’uso diretto delle immagini altrui al fine di adottare misure cautelative, prima di violare i diritti altrui.
Mentre utilizzare immagini di riferimento è sempre un valido punto di partenza per la creazione artistica, è comunque essenziale rispettare il diritto d’autore e assicurarsi che le opere derivanti siano frutto di una significativa trasformazione creativa. In caso di dubbio, la soluzione migliore è sempre quella di consultare un legale esperto della materia.
Le opere generate da intelligenza artificiale (AI) sollevano molti interrogativi sulla tutelabilità e titolarità delle stesse. Il dibattito si concentra sul se e come riconoscere i diritti d’autore per opere dove l’input creativo umano è minimo o assente.
Attualmente, le leggi sul diritto d’autore in quasi tutte le giurisdizioni richiedono che l’opera, per essere protetta, sia il risultato di uno sforzo dell’elaborazione umana. Questo significa che, secondo le leggi in vigore, le opere generate – in modo casuale e per intero – da un’intelligenza artificiale siano sprovviste di tutela proprio perché manca l’elemento umano.
Il contributo umano, che nel caso dei software di AI avviene attraverso l’immissione di un comando “prompt”, è sempre al centro delle riflessioni dei giudici e della dottrina.
Questo è evidente soprattutto nel caso della sentenza del Tribunale Internet di Pechino, discussa nel mio precedente articolo “Intelligenza Artificiale: una ‘sentenza esemplare’ arriva dal Tribunale di Pechino“. La sentenza riguarda la riproduzione, non autorizzata, di un’immagine generata tramite AI. Il Tribunale ha riconosciuto i diritti d’autore al creator umano che, per generare l’opera, aveva utilizzato il software Stable Diffusion. La Corte ha sottolineato che l’intelligenza artificiale funziona come uno strumento nelle mani di un artista, non diversamente da un pennello o una fotocamera, e che è il livello di apporto umano a fare la differenza.
Anche l’Italia sta affrontando queste tematiche con il recente Disegno Di Legge (DDL) sull’IA, illustrato nell’articolo di Pablo Lo Monaco, “Il DDL italiano sull’IA e la tutelabilità della ‘creatività artificiale’“. Il DDL interviene per disciplinare l’intelligenza artificiale in vari ambiti, compreso il diritto d’autore, mira a promuovere l’innovazione e regolamentare l’IA senza sovrapporsi al Regolamento Europeo sull’Intelligenza Artificiale (AI Act). Il Consiglio dell’UE ha approvato il 21 maggio 2024 l’AI Act, la cosiddetta legge sull’intelligenza artificiale, volta ad armonizzare le norme sull’IA con un approccio “basato sul rischio“: questo significa che maggiore è il rischio di causare danni alla società, più stringenti le regole e più severe le sanzioni.
Per quanto riguarda le opere dell’ingegno, l’articolo 24 del Disegno Di Legge italiano propone importanti modifiche alla Legge sul Diritto d’Autore (L. 633/1941). La modifica più rilevante riguarda l’articolo 1 della Legge, ampliando la tutela anche alle opere create con l’ausilio dell’IA, purché il contributo umano sia creativo, rilevante e dimostrabile.
Un altro esempio di approccio alla questione è la recente decisione dello United States Copyright Office, analizzata nell’articolo comparso su Agendadigitale.eu “Verso un copyright ‘ibrido’ per le opere create dall’IA?”. Tale decisione risale circa ad un anno fa e riguarda il fumetto “Zarya of the Dawn” di Kristina Kashtanova, generato tramite l’app di Intelligenza Artificiale Midjourney. Lo US Copyright Office ha stabilito che, sebbene il coordinamento e l’organizzazione del lavoro testuale e degli elementi visivi siano protetti, le immagini generate da Midjourney non lo sono, in quanto non sono frutto di rielaborazione umana. La decisione introduce quindi il concetto di un “copyright ibrido”, che protegge l’intero scheletro dell’opera, ma non le singole parti costitutive o l’output meccanico finale.
Un altro caso significativo trattato dall’US Copyright Office è quello di Elisa Shupe che ha tentato di ottenere il copyright per un libro scritto con l’aiuto di ChatGPT. Ne ha parlato Wired lo scorso aprile 2024: “How One Author Pushed the Limits of AI Copyright”. In seguito al suo appello, l’US Copyright Office ha cambiato rotta, concedendo la registrazione per “AI Machinations: Tangled Webs and Typed Words”. Tuttavia, l’USCO non la riconosce come autrice dell’intero testo ma solo della “selezione, coordinamento e disposizione del testo generato dall’intelligenza artificiale”. Il caso di Shupe è un po’ particolare perché la decisione dell’USCO è stata influenzata dalle condizioni di disabilità dell’autrice. Shupe, veterana dell’esercito con varie disabilità cognitive e fisiche, ha usato ChatGPT come strumento assistivo per superare i suoi limiti. In sostanza, quindi, l’ufficio americano non muta la sua posizione: risulta meritevole di tutela l’aspetto creativo dell’opera complessiva, per ciò che concerne elementi come l’organizzazione, l’ideazione e il concept generale, ma non l’output finale per le porzioni generate dalla macchina.
Anche se non esistono ancora leggi in vigore che regolano esplicitamente l’uso di AI, occorre ricordare che sono applicabili quelle sul diritto d’autore e d’immagine, oltre che quelle contro la concorrenza sleale.
Le principali preoccupazioni dei creator riguardano la proprietà intellettuale da una parte, e la trasparenza dall’altra.
Particolare attenzione è necessaria se il contenuto generato da AI imita lo stile di esseri umani, la loro voce o più in generale la loro immagine. Le implicazioni legali sono complesse e in evoluzione.
Ad esempio, se un podcast utilizza una voce generata da AI che imita un attore famoso, potrebbe sorgere una questione di violazione del diritto d’immagine e di agganciamento alla reputazione di quella persona.
Analogamente, se un video utilizza immagini o clip create da AI che riproducono lo stile di un artista vivente senza autorizzazione, ciò potrebbe configurarsi come una violazione del right of publicity (diritto di immagine) di quel personaggio o un atto di concorrenza sleale e appropriazione di pregi illecita, a mio avviso, secondo l’art. 2598 del Codice Civile italiano, se tale clip viene utilizzata commercialmente e in ambito pubblicitario.
Un caso recente ha coinvolto OpenAI e l’attrice Scarlett Johansson. Come riportato da ABC News, la Johansson ha dichiarato che una delle voci del sistema ChatGPT di OpenAI era “inquietantemente simile” alla sua. OpenAI ha accettato di sospendere l’uso di quella voce dopo che Johansson ha espresso le sue preoccupazioni.
Questo caso evidenzia la necessità di essere molto cauti nell’uso di tecnologie AI che potrebbero imitare voci o stili riconoscibili senza il loro consenso.
Inoltre, l’uso di contenuti AI solleva questioni etiche e di trasparenza. Gli artisti e i creatori di contenuti dovrebbero dichiarare l’origine artificiale dei contenuti creativi. Meta ha recentemente introdotto nuove misure di trasparenza sui contenuti generati da AI su Facebook e Instagram.
Come riporta un articolo di Sky TG24, Meta ha deciso di etichettare i contenuti generati o modificati con AI con l’etichetta “Made with AI” già a partire da maggio 2024. Questa etichetta verrà applicata a una vasta gamma di video, immagini e audio. Questa decisione è stata presa per anticipare la normativa che presto entrerà in vigore e per garantire maggiore trasparenza, soprattutto in vista delle elezioni europee e presidenziali statunitensi, cercando di circoscrivere i casi di deepfake.
Insomma, l’uso di contenuti generati da AI per video o podcast è lecito, purché siano rispettate le leggi sul diritto d’autore, sul diritto d’immagine e siano affrontate le questioni di trasparenza ed etica, anticipando l’entrata in vigore della normativa pertinente.
Avvocato Arlo Canella