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Quando fare riferimento ad altri sfocia in un atto di concorrenza sleale? Esploriamo il concetto di “appropriazione di pregi”, illustrando il fenomeno con esempi giurisprudenziali e analizzando la normativa italiana in merito.
Per spiegare il concetto di “appropriazione di pregi”, ovvero di concorrenza sleale per riferimento, trovo particolarmente chiara e significativa un’ordinanza di oltre un decennio fa del Tribunale di Bologna. Una società bolognese, operante nel settore cosmetico, era stata accusata di aver deliberatamente imitato celebri fragranze, offrendo ai consumatori prodotti simili a quelli altrui, a prezzi ridotti, e sfruttandone la notorietà.
Nel 2007, infatti, L’Oréal aveva deciso di agire contro la società bolognese che, ad avviso della multinazionale, si era spinta decisamente troppo oltre. Il cuore del contendere era l’uso, da parte dell’impresa italiana, della dicitura “simile a” accanto ai marchi dei profumi originali, un chiaro tentativo di agganciarsi alla notorietà dei marchi in modo da attrarre la clientela. Denominazioni come “Aqua di Bella“, “Oà” e “Promesse“, oltretutto, evocavano i prodotti originali, creando forte suggestione nei consumatori.
Il Tribunale di Bologna, con un’ordinanza ormai risalente datata 01/03/2008, prese una posizione chiara sulla questione. Benché la società bolognese avesse tentato di difendersi sottolineando le differenze tra i marchi utilizzati e quelli originali, il Giudice aveva ritenuto che sfruttare la fama di marchi celebri attraverso diciture ingannevoli configurasse un atto di concorrenza sleale perché, per l’impresa che li sfrutta, determina un risparmio di costo in termini di marketing e un vantaggio indebito. Allo stesso tempo, c’è un danno evidente per i marchi originali che si vedono offuscati, con annacquamento del loro valore.
Ecco le parole esatte del Tribunale di Bologna: “Nel caso in cui un’impresa concorrente abbia vantato la somiglianza dei propri prodotti (nella specie: profumi) con quelli di note case produttrici, traendo così vantaggio dalla rinomanza dei relativi marchi delle case più famose, si integra concorrenza sleale per appropriazione di pregi, prevista dall’art. 2598, n. 2, c.c.. Nel caso di marchi ampiamente noti, il vantaggio del terzo può infatti consistere sia nei risparmi che il detto utilizzo consente di ottenere a vantaggio dell’utilizzatore per l’affermazione del suo prodotto, sia, più specificamente, nell’agganciamento parassitario che si verifica sfruttando la fama raggiunta dal titolare del marchio noto; il pregiudizio, per contro, potrà invece derivare sia dall’offuscamento dell’immagine del marchio noto in conseguenza dell’adozione di prodotti non affini o di natura vile o di qualità scadente, sia dall’indebolimento del carattere distintivo del marchio a causa del venir meno della sua unicità sul mercato; vantaggio e pregiudizio che risultano tanto maggiori in quanto i prodotti sono tra loro più vicini.” (Tribunale Bologna, Sez. spec. propr. industr. ed intell., Ordinanza, 01/03/2008).
Ma vediamo esattamente cosa dice la legge italiana riguardo all’appropriazione di pregi.
L’art. 2598 n. 2 del Codice Civile è uno dei “pezzi forti” della concorrenza sleale per come la conosciamo noi addetti ai lavori. L’illecito riguarda non solo chi diffonde notizie e valutazioni in grado di screditare un concorrente, ma anche chi si “appropria di pregi” dei prodotti o dell’impresa di un concorrente.
Nella mia esperienza come avvocato attivo nel settore della proprietà industriale, posso dire che questo tipo di illecito è particolarmente diffuso e odioso. Il motivo risiede nella sua apparente semplicità: per molte imprese, è più agevole vendere agganciandosi illecitamente alla buona reputazione costruita da altri, piuttosto che investire direttamente in innovazione e qualità.
L’art. 2598 sugli atti di concorrenza a sleale è collocato all’interno del libro quinto del Codice Civile (“Del lavoro”) e in particolare all’interno del titolo X, sezione II sulla disciplina della concorrenza: “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque […] 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente“.
La norma è chiara nel condannare chi, in un contesto competitivo, sfrutta in modo indebito le virtù o la notorietà dei prodotti o delle attività di un altro imprenditore. Ciò si traduce nel tentativo di usurpare il prestigio e la fiducia acquisita da altre imprese, senza aver contribuito con tempo, risorse o creatività al raggiungimento di tali standard. La pronuncia del Tribunale di Bologna citata nel paragrafo precedente rende molto bene l’idea, ma esistono molti altri esempi di appropriazione di pregi che possiamo citare. Eccone alcuni.
Il caso trattato nella Cass. civ., Sez. I, ordinanza 13/07/2021, n. 19954 (rv. 661820-01) offre uno scenario particolare, ma molto diffuso. Se un’agenzia pubblicitaria vanta impropriamente – attraverso il proprio sito internet – il carnet di clienti di un’altra impresa, lasciando intendere di avere curato essa stessa le campagne pubblicitarie curate da altri, potrebbe trattarsi di appropriazione di pregi ai sensi del 2598, n.2 Codice Civile.
I clienti, soprattutto se prestigiosi, possono essere un motivo di vanto per un’agenzia pubblicitaria (un pregio, in effetti). Pertanto, se un’altra agenzia li rivendica falsamente come propri e senza merito, potrebbe trattarsi di concorrenza sleale per appropriazione di pregi (ne abbiamo parlato qui: “concorrenza sleale per falsa attribuzione di clienti”).
Un’altra tipologia di agganciamento piuttosto diffusa è stata trattata dalla sentenza del Tribunale di Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 14/06/2017. Un’impresa aveva imitato un’opera di design industriale altrui, seppur con alcune differenze, riprendendo le caratteristiche esteriori individualizzanti dell’opera originale. L’illecito, in questi casi, può configurarsi come violazione del diritto d’autore, ma anche come atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi altrui. La pubblicità del prodotto, oltretutto, presentato come prodotto “d’autore”, ma senza licenza, ha ulteriormente intensificato l’agganciamento indebito.
Infine, la Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza 07/01/2016, n. 100 (rv. 638572) delinea il diverso, ma sempre assai diffuso caso in cui un imprenditore millanti pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, non posseduti dai suoi prodotti, ma appartenenti ai prodotti o all’impresa di un concorrente. Di norma in questi casi si finisce per citare detti premi senza ragione, facendo sorgere il dubbio in chi osserva di essere di fronte all’azienda premiata. Questo comportamento perturba la libera scelta dei consumatori, accreditando i propri prodotti presso la clientela senza significativi sforzi di investimento
Questi casi vogliono soltanto evidenziare la varietà e la complessità delle forme di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, e sottolineano l’importanza di un approccio sempre informato e molto attento in materia di diritti di proprietà industriale e concorrenza. Quindi, come muoversi in caso di condotte dubbie?
La valutazione dell’illecito di appropriazione di pregi (delineato dall’art. 2598, n. 2, c.c.) necessita di un’analisi attenta dei fatti e delle prove, in quanto la problematica sottesa è ad ampio raggio, interessando non solo il rapporto tra imprese, ma spaziando sino all’immagine e alla reputazione di personalità collegate come, ad esempio, nei casi dell’ambush marketing.
La pronuncia del Tribunale di Bologna citata nel primo paragrafo, sebbene abbastanza risalente, sottolinea con enfasi l’importanza della salvaguardia della reputazione e degli investimenti che le imprese sostengono per raggiungerla. L’interrogativo che sorge però è se l’utilizzo non autorizzato dell’immagine altrui costituisca sempre un depauperamento del valore del marchio, o se, in certi frangenti, possa contribuire piuttosto a esaltarne l’aura e il valore.
Come legali, è nostro dovere procedere con una rigorosa analisi delle decisioni giurisprudenziali e delle evoluzioni interpretative, muovendoci con precisione e responsabilità strategica, valutando i benefici e i rischi di ogni azione.
Le imprese si trovano spesso di fronte alla “tentazione” del marketing per riferimento, una pratica che, pur portando potenziali risparmi sugli investimenti promozionali, è generalmente illecita e ricca di insidie.
L’illecito comporta, per il legittimo titolare del marchio illecitamente richiamato, una diluizione del suo valore e un calo della fiducia dei clienti, ed è pertanto imperativo per le aziende operare con la dovuta diligenza per evitare ripercussioni dannose.
In questa complessa realtà, lo Studio Legale Canella Camaiora preferisce sempre adottare un approccio attento e pienamente condiviso con il cliente. Essendo specializzato in marchi, brevetti, diritti d’autore, ma anche in diritto di immagine, lo Studio – forte di un team di professionisti esperti – affronta le sfide più articolate sforzandosi di prevedere le ripercussioni dell’azione legale anche in termini commerciali e di reputazione.
Avvocato Arlo Canella