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Il Tribunale di Milano ha respinto le accuse di imitazione servile mosse contro la guida vinicola “Vitae” dell’Associazione Italiana Sommelier da parte del titolare di guida precedente. Il caso riveste una notevole importanza perché ha consentito al Tribunale di Milano di fare il punto, stabilendo più chiaramente i confini tra ispirazione e imitazione servile tra prodotti, soprattutto nel peculiare settore delle “guide” e dei “prodotti editoriali”.
In un caso che ha tenuto banco nel panorama editoriale vinicolo, l’Associazione Italiana Sommelier (A.I.S.) si è trovata al centro di un contenzioso riguardante l’accusa – rivelatasi infondata – di imitazione servile. La controversia ha avuto origine dalla pubblicazione e distribuzione della guida vini “Vitae“, prodotta da AIS, accusata di essere identica ad un altro prodotto editoriale preesistente, la guida “B.”.
La società editrice della guida precedente, attiva nel settore dal 1999, aveva precedentemente intrattenuto rapporti commerciali con l’A.I.S., fornendo all’associazione un elevato numero di copie delle proprie guide nell’ottica di renderle disponibili agli associati. Tuttavia, il rapporto è stato interrotto da AIS in concomitanza con il lancio della sua propria guida vini “Vitae”. Il caso aveva suscitato perplessità per le notevoli similitudini con la guida “B.” in termini di formato, dimensioni, rilegatura, materiale della copertina, contenuti e sequenza degli argomenti trattati.
Nonostante un iter giudiziario articolato che, tra l’altro, ha visto lo spostamento della competenza territoriale dal Tribunale di Roma a quello di Milano, l’imitazione si è poi rivelata inconsistente. Almeno, questo è quanto è stato deciso dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 2775 del 05/04/2023. Vediamo perché.
Il Tribunale di Milano ha deciso che le accuse di concorrenza sleale, imitazione servile e parassitismo commerciale mosse da un ex fornitore di AIS contro la guida enologica “Vitae” fossero infondate. I Giudici meneghini, infatti, non hanno ravvisato alcun rischio di confusione tra le due guide, escludendo l’imitazione servile da parte dell’AIS.
Le ragioni addotte, in estrema sintesi, sono state le seguenti:
Inoltre, il Tribunale di Milano ha osservato che le somiglianze tra le guide non sono così marcate come sostenuto dall’editore della guida “B.”.
Le copertine, pur avendo simili dimensioni e materiali, presentano notevoli differenze in termini di titoli, sottotitoli, illustrazioni e altri dettagli. Riguardo al contenuto, entrambe le guide forniscono informazioni sui produttori vinicoli, ma questa pratica non è esclusiva di alcuna delle due guide in questione. Ad avviso dei Magistrati, anche le descrizioni dei vini – benché presenti in entrambe – seguono approcci differenti.
Infine, alcune affermazioni fatte dal Presidente dell’associazione AIS, circa la volontà di creare una guida simile a “B.”, non sono state considerate decisive per stabilire la presenza di concorrenza sleale e, in particolare, di imitazione servile.
Inoltre, respingendo le lamentele di concorrenza sleale, il Tribunale di Milano ha ribadito alcuni principi cardine della materia. Vediamo dunque quali sono le regole fissate dalla legge italiana.
Il Codice Civile italiano, nel suo art. 2598, tratta la questione della concorrenza sleale, un argomento delicato nel mondo degli affari.
Il n. 1 dell’articolo citato, in particolare, tratta il caso dell’imitazione servile. Secondo la legge italiana:
Qual è l’obiettivo della legge? Fare in modo che le aziende competano in modo leale e corretto, senza cercare scorciatoie o vantaggi attraverso metodi eticamente discutibili.
La concorrenza, per sua natura, permette di sfidare le imprese avversarie anche in modo aggressivo, ma sempre nel rispetto delle regole. Quello che la legge vuole prevenire sono le azioni che rischiano di confondere i consumatori e, conseguentemente, di falsare il gioco della concorrenza. Del resto, l’art. 2598 sugli atti di concorrenza sleale è collocato proprio all’interno del libro quinto del Codice Civile “sul lavoro” e in particolare all’interno del titolo X, sezione II “sulla disciplina della concorrenza”. L’art. 2598 n. 1 del Codice Civile italiano prevede testualmente che “compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”.
La recente decisione del Tribunale di Milano ha fatto luce su un argomento delicato e complesso come l’imitazione servile. In particolare, il Tribunale ha elencato una serie di principi da utilizzare come bussola in caso di imitazione. Andiamo ad analizzare questi criteri.
Cosa si intende con “imitazione servile”? Quando si replica l’estetica di un prodotto di un’impresa concorrente in maniera così accurata da indurre in errore i consumatori, si deve parlare di imitazione servile. Pensate, ad esempio, a due smartphone talmente simili che, a un primo sguardo, diventi arduo riconoscere il rispettivo brand.
Ma non tutte le imitazioni sono proibite.
Insomma, copiare non è sempre scorretto. Solo perché qualcuno ha copiato l’aspetto di un prodotto non significa che il suo comportamento sia di per sé illecito!
A questo punto, i principi riepilogati dal Tribunale di Milano risulteranno più chiari. Ecco le parole testuali utilizzate dai Giudici nella loro decisione dello scorso aprile. L’imitazione servile, secondo l’interpretazione del Tribunale di Milano, sentenza 05/04/2023, n. 2775, “consiste nella pedissequa riproduzione della forma esteriore del prodotto del concorrente tale da ingenerare confusione, intendendosi per forma esteriore l’apparenza individuante il bene imitato.
Va rimarcato, peraltro, alla luce di quanto evidenziato dalla Cassazione, che:
La sentenza del Tribunale di Milano sancisce con chiarezza come non tutte le imitazioni siano illecite, il che dovrebbe spingere all’approfondimento e fare riflettere sia gli avvocati che le imprese.
Il caso della guida vini “Vitae” di AIS ci ricorda un concetto che dovrebbe rincuorare tutti coloro che vengono accusati di aver copiato: non ogni accusa di imitazione servile si traduce automaticamente nell’accertamento di una violazione effettiva. Nel panorama legale, è fondamentale distinguere i meri sospetti dalle effettive violazioni, e ciò richiede una competenza approfondita. Ogni caso ha le sue specificità, ed è per questo che la consulenza di un esperto può rivelarsi indispensabile.
D’altro canto, se un’impresa si rende colpevole di queste pratiche, può essere citata in giudizio e potrebbe essere obbligata a risarcire i danni, fermare la produzione o la vendita dei prodotti imitanti, o prendere altre misure per rimediare al torto.
Solo un avvocato attivo nel settore della proprietà intellettuale e della concorrenza può fornire una valutazione accurata, analizzando le peculiarità del caso e interpretando le tendenze giurisprudenziali, per decidere quale risulti la strategia migliore, sia che si tratti di difendersi da un’accusa oppure di intraprendere azioni legali.
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Avvocato Arlo Canella