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Imitazione abusiva di divise sportive: il caso “be the stripes”

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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Proteggere un brand significa andare oltre la registrazione del marchio. Colori, design, font ed elementi distintivi possono rappresentare una parte fondamentale dell’identità di un’impresa, e quando questi vengono copiati, il danno può essere enorme. Ma cosa succede quando questi elementi non sono formalmente registrati? La sentenza della Corte d’Appello di Torino del 22 novembre 2024 offre spunti essenziali per rispondere a questa domanda e per fornire alle imprese strumenti per tutelare il proprio patrimonio immateriale.

Il caso ha visto contrapposti una celebre società calcistica e un’impresa accusata di aver realizzato merchandising abusivo, copiando le caratteristiche distintive delle maglie ufficiali del club, sfruttando la sua reputazione e generando confusione tra i consumatori.

Colori e brand identity: il caso delle divise sportive

La vicenda ha origine dalla commercializzazione di maglie sportive contraffatte da parte dell’impresa individuale Alfa. Le maglie riproducevano fedelmente le caratteristiche distintive delle divise ufficiali di una nota società calcistica, tra cui:

  • la combinazione cromatica e il design grafico delle celebri strisce “be the stripes”;
  • il font utilizzato per nomi e numeri sulle maglie;
  • l’imitazione servile del design delle divise originali.

La società calcistica, titolare del marchio e del merchandising ufficiale, ha citato in giudizio l’impresa Alfa, lamentando contraffazione del marchio e concorrenza sleale. La Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado, riconoscendo che la riproduzione delle strisce bianco-nere con banda rosa avesse generato confusione tra i consumatori, inducendoli a credere che i prodotti fossero ufficiali.

Ma quali sono le basi giuridiche su cui si è fondata la decisione dei giudici?

I colori della divisa sono un “marchio di fatto”?

La sentenza della Corte d’Appello di Torino ha ribadito un principio fondamentale del diritto della proprietà industriale: anche una combinazione cromatica non registrata può essere tutelata giuridicamente, se utilizzata in modo sistematico e riconosciuta dai consumatori come distintiva.

L’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale (CPI) permette la registrazione di colori o combinazioni di colori come marchio, ma solo a condizione che abbiano carattere distintivo e vengano percepiti come indicativi della provenienza di un prodotto o servizio, ad es. il viola Milka® o il blu Tiffany® (approfondisci: Quali sono i principali tipi di marchio? – Canella Camaiora)

Tuttavia, anche in assenza di registrazione formale, un colore può essere protetto ai sensi dell’art. 2598 del Codice Civile, se il suo uso sistematico lo ha reso parte integrante dell’identità visiva di un brand, impedendo imitazioni che possano generare confusione nei consumatori (vedi anche: Il fenomeno dei marchi non registrati nel settore delle PMI – Canella Camaiora).

Nel caso specifico, la combinazione bianco-nero con banda rosa centrale, utilizzata sulle maglie ufficiali del club calcistico, è stata riconosciuta dalla Corte come un elemento distintivo del brand. Il suo utilizzo costante nel tempo aveva creato un’associazione immediata con il club, rafforzandone l’identità visiva e la riconoscibilità.

Concorrenza sleale per imitazione servile

La Corte d’Appello di Torino ha riconosciuto la sussistenza di atti di concorrenza sleale per imitazione servile, ai sensi dell’art. 2598, n. 1 del Codice Civile. Questa norma punisce chiunque:

  • utilizzi nomi o segni distintivi idonei a generare confusione con quelli di un concorrente;
  • imiti servilmente i prodotti altrui;
  • compia qualsiasi altro atto che possa ingannare il consumatore, creando confusione con prodotti o attività già esistenti.

Ma cosa si intende esattamente per imitazione servile? La Corte ha chiarito che la condotta illecita non riguarda solo la copia esatta del prodotto, ma si estende anche alla riproduzione di elementi distintivi che, nel loro insieme, creano un’identità di mercato unica e riconoscibile.

Ne abbiamo già parlato anche qui: Quando l’imitazione di un prodotto è illecita? ll Tribunale di Milano fa il punto. – Canella Camaiora

Nel caso in esame, l’impresa Alfa aveva replicato dettagli chiave del club calcistico, tra cui:

  • il design delle maglie e la combinazione cromatica bianco-nero con banda rosa;
  • l’uso del marchio evocativo “CR7 Museu”, che richiamava il celebre Cristiano Ronaldo, simbolo fortemente legato al club.

La Corte ha quindi applicato l’art. 2598 c.c., ribadendo due principi essenziali:

1. La tutela contro l’imitazione servile si estende anche a elementi non registrati, purché abbiano un carattere distintivo e siano riconoscibili dal pubblico.

2. L’uso di questi elementi per scopi commerciali può costituire concorrenza sleale, se genera confusione tra i consumatori o sfrutta indebitamente il prestigio di un brand consolidato.

Chi copia, paga: il principio della “restituzione” degli utili

Uno degli aspetti più rilevanti della sentenza è l’applicazione dell’art. 125 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), che prevede la retroversione degli utili come forma di risarcimento. Questo strumento giuridico è essenziale per tre motivi:

1. Garantisce un risarcimento equo alla parte lesa, tenendo conto non solo delle perdite subite, ma anche dei vantaggi economici illecitamente ottenuti dall’autore della violazione.
2. Rafforza la funzione dissuasiva della legge, scoraggiando comportamenti scorretti che potrebbero apparire economicamente vantaggiosi.
3. Tutela il valore economico del patrimonio immateriale delle imprese, come marchi e design, proteggendo gli investimenti nella costruzione di un’identità di mercato distintiva.

Come è stato applicato l’art. 125 CPI in questo caso? La Corte ha ordinato all’impresa Alfa di restituire i profitti derivanti dalla vendita delle maglie contraffatte, riconoscendo che tali guadagni erano stati ottenuti sfruttando indebitamente il valore e la reputazione del club calcistico.

Il calcolo degli utili si è basato su criteri concreti e verificabili, tra cui:

  • Il numero di maglie vendute dall’impresa appellante;
  • Il prezzo medio di vendita delle maglie sul mercato;
  • Le stime documentate del fatturato, che hanno permesso di determinare l’entità dei profitti generati dalle vendite illecite.

La retroversione degli utili rappresenta un rimedio particolarmente efficace perché permette alla parte lesa di ottenere il trasferimento dei profitti illeciti del contraffattore. Questo meccanismo evita che l’autore della violazione possa trarre vantaggi economici dalla sua condotta, anche nei casi in cui il danno subito dalla vittima risulti difficile da quantificare con precisione.

Il font come elemento distintivo: quali limiti alla protezione?

Un altro aspetto rilevante della sentenza della Corte d’Appello di Torino riguarda la possibilità di tutelare il font come elemento grafico caratterizzante di un prodotto.

Secondo la normativa italiana ed europea, affinché un elemento grafico possa beneficiare di una protezione giuridica, deve possedere il requisito dell’originalità. Questo principio si fonda su diverse norme, tra cui l’art. 1 della Legge sul Diritto d’Autore (LdA) e l’art. 31 del Codice della Proprietà Industriale (approfondisci “Il diritto d’autore in Italia: cosa protegge e come funziona”, vedi anche: Diritto del Design – Canella Camaiora – Proprietà Intellettuale).

Nel caso specifico, la Corte ha escluso la protezione del font utilizzato sulle maglie del club calcistico, ritenendolo privo di elementi sufficientemente innovativi. La sua grafica risultava simile a stili tipografici già ampiamente diffusi nel settore sportivo e della moda, senza possedere le caratteristiche necessarie per essere tutelato come opera dell’ingegno o design registrabile.

Tuttavia, la sentenza conferma che la protezione del brand non si limita alla registrazione del marchio. L’uso costante e distintivo di elementi visivi può offrire una tutela efficace, ma solo se il pubblico li percepisce come identificativi del brand.

  • La legge vieta l’imitazione servile, proteggendo gli elementi distintivi anche se non registrati.
  • La retroversione degli utili impedisce al contraffattore di trarre vantaggio economico dalla violazione.
  • Non tutti gli elementi grafici sono tutelabili: per ottenere protezione legale, è necessario dimostrare originalità e capacità distintiva.

Per le imprese, questo significa adottare una strategia di protezione integrata, combinando registrazioni formali e tutela dinamica del proprio patrimonio immateriale. In un mercato sempre più competitivo, una protezione efficace non è solo una necessità, ma un vantaggio strategico.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 4 Febbraio 2025

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale
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