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L’autenticità: la merce di scambio nell’industria degli influencer

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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L’autenticità è al centro dell’influencer marketing, rappresentando un elemento strategico per il business e toccando aspetti di proprietà intellettuale, diritti d’immagine e concorrenza leale. Questo articolo esplora come gli influencer costruiscano fiducia con il pubblico attraverso dinamiche di trasparenza e coerenza, analizzando l’efficacia dei micro e macro influencer nelle campagne di marketing. Approfondisce, inoltre, i rischi legati a comportamenti non etici o a un eccesso di autenticità – il cosiddetto “guinzaglio lungo” – evidenziando l’importanza di contratti ben strutturati per prevenire criticità legali e reputazionali. Infine, le Linee Guida AGCOM e le migliori prassi in materia di compliance forniscono un quadro essenziale per una gestione responsabile e sostenibile delle collaborazioni con gli influencer.

Quanto vale l’autenticità degli influencer?

Negli ultimi anni, l’autenticità è diventata un concetto centrale nell’industria dell’influencer marketing. Definirla, tuttavia, non è sempre semplice: si tratta di un costrutto che mescola percezioni soggettive, dinamiche di comunicazione e strategie di posizionamento. In parole semplici, l’autenticità rappresenta la capacità di un influencer di essere percepito come genuino, trasparente e vicino al proprio pubblico. Questa caratteristica non è solo un valore estetico o narrativo, ma si traduce in un elemento fondamentale per costruire fiducia e consolidare il legame emotivo tra creatore di contenuti e follower.

Le radici di questo concetto affondano nelle teorie della comunicazione di massa sviluppate da Lazarsfeld e Katz, che, nel modello del two-step flow of communication, descrissero come l’informazione venisse mediata dagli opinion leader prima di raggiungere il grande pubblico.

mass media autenticità influencer

Schema del modello “Two-step flow of communication” – Fonte: Kaihsu Tai, Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)

Katz, in particolare, nel 1955 evidenziò come gli opinion leader non si limitassero a trasmettere informazioni, ma le reinterpretassero, adattandole ai contesti culturali e alle esigenze delle loro reti sociali. Questo processo di mediazione e rielaborazione è alla base della costruzione dell’autenticità anche oggi: gli influencer non comunicano semplicemente, ma plasmano il proprio messaggio per entrare in sintonia con i valori e le aspettative del loro pubblico (Katz & Lazarsfeld, Personal Influence: The Part Played by People in the Flow of Mass Communications, 1955).

Emily Hund, nel suo libro The Influencer Industry: The Quest for Authenticity on Social Media, approfondisce ulteriormente questo tema, descrivendo l’autenticità come una risorsa strategica che gli influencer utilizzano per differenziarsi e consolidare la fiducia del pubblico. Secondo Hund, l’autenticità è spesso una costruzione negoziata tra influencer, brand e follower: un delicato equilibrio tra spontaneità e pianificazione, che determina il successo della relazione con la community (Hund, The Influencer Industry: The Quest for Authenticity on Social Media. Princeton University Press, 2023).

Essere percepiti come autentici oggi significa molto più che raccontare la verità: implica il modo in cui un influencer si presenta, il linguaggio che utilizza e la coerenza tra immagine pubblica e privata. Questo duplice livello – emozionale ed etico – è ciò che permette agli influencer di instaurare un rapporto empatico con il pubblico. In particolare, il livello emozionale crea una connessione diretta e intima, mentre quello etico è legato al rispetto delle promesse e delle aspettative implicite nella relazione tra influencer e follower. Quando un influencer sponsorizza un prodotto, il suo successo dipende dalla capacità di convincere i follower che la promozione rispecchia i propri valori e interessi autentici.

Tuttavia, il concetto di autenticità non è privo di ambiguità. La crescente professionalizzazione del marketing d’influenza ha portato molti creatori a pianificare con cura i propri contenuti, trasformando la spontaneità in un meccanismo studiato. Questo solleva interrogativi importanti: fino a che punto un contenuto sponsorizzato può essere considerato autentico? E come bilanciare trasparenza e strategia senza compromettere il legame con i follower?

Sebbene il concetto di autenticità abbia subito un’evoluzione nel tempo, il suo ruolo centrale rimane invariato: è il vero collante che permette agli influencer di instaurare rapporti di fiducia duraturi con le proprie community. Ma nel mondo degli influencer, chi riesce davvero a convincere di più: i micro o i macro influencer?

Micro e macro influencer: chi convince di più?

L’industria degli influencer si distingue per una grande varietà di figure, differenti non solo per il numero di follower, ma anche per il tipo di impatto che generano. La distinzione tra micro influencer e macro influencer è oggi cruciale per comprendere le dinamiche di autenticità nel marketing digitale. Pur svolgendo entrambi il ruolo di intermediari tra brand e pubblico, rappresentano approcci distinti nella costruzione della fiducia e nella promozione di prodotti edonici e funzionali. Ci torneremo tra poco in maggiore dettaglio.

In Italia, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha delineato specifiche linee guida per distinguere gli influencer professionali da quelli amatoriali. Secondo AGCOM, un influencer professionale deve soddisfare tre criteri:

  • Almeno 1 milione di follower totali su tutte le piattaforme;
  • 24 contenuti pubblicati nell’anno precedente;
  • Un tasso di coinvolgimento medio pari o superiore al 2% negli ultimi sei mesi.

Si v. Le Linee Guida dell’AGCOM: il primo passo verso una regolamentazione completa degli influencer in Italia di M. Manca.

Le condizioni sono cumulative, il che significa che un influencer deve rispettare tutti e tre i requisiti contemporaneamente per essere considerato professionale. Tra questi, il tasso di coinvolgimento rappresenta un parametro fondamentale per valutare il reale impatto di un influencer sul proprio pubblico.

Il tasso di coinvolgimento (o engagement rate) si calcola dividendo il numero totale di interazioni ricevute (ad esempio, like, commenti, condivisioni) per il numero complessivo di follower, e moltiplicando il risultato per 100. Questo dato permette di misurare il livello di interesse e partecipazione degli utenti rispetto ai contenuti pubblicati dall’influencer.

Questo approccio normativo evidenzia come l’engagement e la capacità di interazione siano centrali per misurare l’effettiva influenza, indipendentemente dalla dimensione della base di follower.

A livello internazionale, gli influencer sono comunemente suddivisi in quattro categorie principali:

  • Nano-influencer (1.000-10.000 follower): ideali per raggiungere audience di nicchia con messaggi personalizzati;
  • Micro-influencer (10.000-100.000 follower): noti per un rapporto diretto e fidato con il pubblico;
  • Macro-influencer (100.000-500.000 follower): un compromesso tra portata ampia e interazione personale;
  • Mega-influencer o celebrità (oltre 500.000 follower): figure di grande visibilità globale.

I macro influencer vantano una vasta audience, spesso superiore al milione di follower. Questa ampia visibilità li rende ideali per i brand che mirano a un pubblico eterogeneo e globale. Tuttavia, l’autenticità può essere un punto debole: le loro sponsorizzazioni sono spesso percepite come altamente commercializzate, riducendo il senso di fiducia e vicinanza. Il pubblico tende a considerarli meno “reali” rispetto ai micro influencer, a causa della distanza emotiva e della sovraesposizione a contenuti sponsorizzati.

I micro influencer, al contrario, operano su una scala più contenuta, con una base di follower tra i 10.000 e i 100.000. La loro forza risiede nella capacità di instaurare rapporti diretti e personali con la community. Sono percepiti come persone comuni, autentiche e appassionate, il che li rende ideali per campagne che richiedono un livello di fiducia elevato.

Studi recenti mostrano che il tasso di engagement è spesso inversamente proporzionale alla grandezza della base di follower, favorendo i micro influencer in campagne mirate, specialmente in settori di nicchia o per prodotti che richiedono un grado maggiore di autenticità percepita, come articoli di lifestyle o prodotti funzionali legati al benessere (Aral, Sinan, and Eckles, Dean. “Finding Goldilocks Influencers: How Follower Count Drives Social Media Engagement”,  Journal of Marketing Research, vol. 60, no. 1, 2023, pp. 15-29. L’articolo introduce il concetto di “effetto riccioli d’oro”, sottolineando che esiste idealmente una dimensione ottimale della base di follower che massimizza sia il tasso di engagement sia la portata delle campagne).

Il ruolo dell’autenticità varia anche a seconda della tipologia di prodotto. Per i prodotti edonici, legati al piacere e all’esperienza (es. moda, cosmetici o viaggi), il racconto personale ed emotivo di un micro influencer è particolarmente efficace, poiché stimola il desiderio di aspirare a uno stile di vita simile. Per i prodotti funzionali, invece, i macro influencer possono avere un vantaggio grazie alla loro autorità percepita, che li rende ambasciatori credibili per marchi di rilevanza globale.

Negli ultimi mesi, il mercato ha evidenziato un crescente spostamento verso i micro influencer, non solo per la loro autenticità percepita, ma anche come risposta alle regolamentazioni più stringenti introdotte da AGCOM. Queste linee guida portano molte aziende a prediligere collaborazioni con creator più piccoli, capaci di offrire un engagement autentico e una maggiore flessibilità. Ma cosa succede quando l’autenticità diventa troppa?

Influencer ed eccessiva autenticità: il rischio del “guinzaglio lungo”

L’utilizzo degli influencer come estensione del brand offre vantaggi significativi, ma può trasformarsi in un rischio se il loro comportamento risulta imprevedibile o fuori controllo. Il pubblico è più disposto a tollerare le bizzarrie delle celebrity, ma molto meno quelle di nano o micro influencer, il cui comportamento tende a essere scrutinato con maggiore severità. Contenuti inappropriati spesso diventano virali solo dopo il cosiddetto patatrac, quando i danni reputazionali sono ormai evidenti.

Il rischio del “guinzaglio lungo” consiste in un eccesso di autenticità o in comportamenti poco conformi agli standard etici e legali. Un esempio estremo è rappresentato da reati come:

  • Istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), spesso legata a posizioni ideologiche estreme;
  • Propaganda alla discriminazione (art. 604-bis c.p.), per motivi di razza, etnia o religione;
  • Diffusione di notizie false idonee a turbare l’ordine pubblico (art. 656 c.p.);
  • Truffa (art. 640 c.p.), che si configura quando l’influencer utilizza artifici o raggiri per ottenere profitti illeciti;
  • Manipolazione del mercato (art. 185 D.Lgs. 58/1998), per alterare il prezzo di strumenti finanziari.

Un aspetto altrettanto delicato riguarda i baby influencer e il fenomeno dello sharenting, ovvero la condivisione eccessiva da parte dei genitori di immagini e video dei figli sui social. In assenza di una disciplina specifica per questi casi, la tutela dei minori è demandata a contratti privati, che devono definire limiti precisi sull’uso dell’immagine dei minori e delle loro attività. Questo richiede particolare attenzione e cura nella contrattualizzazione, onde evitare conseguenze etiche e legali.

Al di là delle possibili conseguenze legali, l’aspetto più critico nella gestione degli influencer riguarda il rischio reputazionale e il danno al diritto d’immagine. Per prevenire questi rischi, è fondamentale che i contratti includano clausole specifiche:

  • Clausole risolutive espresse, attivabili in caso di danno reputazionale o di condotte specificamente previste e vietate.
  • Clausole di moralità, che consentano la risoluzione del contratto in caso di comportamenti non etici. A proposito di queste clausole, si veda il mio approfondimento: “Il contratto con gli attori nella produzione cinematografica”.

Un altro aspetto cruciale è rappresentato dalla proprietà intellettuale dei contenuti creati dagli influencer e dalle responsabilità a essi correlate. Questi materiali – immagini, video e testi – possono essere tutelati come opere protette dal diritto d’autore, ma possono anche sollevare problemi di plagio, parassitismo o agganciamento. Nei contratti è necessario chiarire:

  • Chi detiene i diritti di sfruttamento economico dei contenuti;
  • Le responsabilità di supervisione sui contenuti creati;
  • La durata e l’ambito territoriale del loro utilizzo;
  • Le modalità di riutilizzo e l’eventuale concessione di licenze.

Eventuali ambiguità in questo ambito possono portare a contenziosi e limitare la possibilità per l’azienda di utilizzare i contenuti promozionali su altri canali. Il mancato rispetto di queste norme può causare vere e proprie crisi aziendali, che richiedono interventi immediati, tra cui la rimozione dei contenuti problematici e la gestione della comunicazione pubblica, con il supporto di esperti legali e agenzie di PR.

Ma come possono le aziende strutturare una gestione più sicura e regolamentata del fenomeno?

La "quasi-compliance" aziendale nella gestione degli influencer

L’ingaggio di influencer è una strategia di marketing sempre più diffusa, ma comporta una serie di implicazioni giuridiche che richiedono pianificazione e gestione attenta. Le recenti Linee Guida AGCOM, introdotte con la delibera n. 7/24/CONS, rappresentano un importante riferimento per regolamentare questa attività, stabilendo criteri per definire ruolo e responsabilità degli influencer (si v. “Le Linee Guida dell’AGCOM: il primo passo verso una regolamentazione completa degli influencer in Italia” di M. Manca). Tuttavia, molte aziende adottano pratiche di “quasi-compliance”, ossia misure superficiali che possono risultare insufficienti di fronte a problematiche contrattuali, reputazionali o normative.

I contenuti pubblicati dagli influencer devono rispettare requisiti precisi, tra cui:

  • Non incitare o giustificare reati, violenza, odio o discriminazione.
  • Salvaguardare la dignità umana, evitando contenuti lesivi verso individui o gruppi.
  • Evitare messaggi che deresponsabilizzino o legittimino comportamenti lesivi della dignità umana.
  • Proteggere i minori, garantendo contenuti adeguati al loro sviluppo fisico, psichico e morale.
  • Rispettare le norme su comunicazioni commerciali, sponsorizzazioni e product placement, garantendo la trasparenza ed evitando pubblicità occulta.
  • Fornire informazioni corrette e veritiere, contrastando la disinformazione.
  • Tutelare il diritto d’autore e la proprietà intellettuale, indicando chiaramente la provenienza dei contenuti.

Sebbene le Linee Guida AGCOM non si applichino agli influencer sotto soglia (quelli con un seguito inferiore al limite stabilito), il principio di trasparenza, sancito dal Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi (D.lgs. 208/2021), dovrebbe valere per chiunque produca contenuti commerciali, indipendentemente dalla dimensione del pubblico raggiunto (art. 4 co. 1, art. 6 co. 2 lett. A, art. 32, e artt. 30, 37, 38, 39, 43, 46, 47, 48, 67 del TUSMA).

Le violazioni di queste regole comportano sanzioni amministrative – previste dall’art. 67 del TUSMA – che variano in base alla gravità:

  • Violazioni gravi: sanzioni da 100.000 euro a 5.000.000 euro o fino all’1% del fatturato annuo, se tale percentuale supera i 5.000.000 euro.
  • Violazioni meno gravi: sanzioni da 5.165 euro a 258.228 euro, a seconda dell’infrazione specifica.

Oltre alle sanzioni, le aziende devono considerare il rischio reputazionale associato alla “quasi-compliance”, che può esporle a crisi d’immagine e perdita di fiducia del pubblico. Una gestione efficace degli influencer richiede strumenti concreti, tra cui:

  • Controllo rigoroso dei contenuti, per garantirne la conformità normativa;
  • Piani di intervento immediato, come la rimozione di contenuti problematici;
  • Formazione degli influencer sui loro obblighi legali e contrattuali.

La gestione degli influencer non può basarsi su approcci approssimativi. Da ultimo, segnaliamo anche che l’influencer potrebbe essere inquadrato come agente di commercio nel caso in cui il rapporto di lavoro e procacciamento presenti alcune caratteristiche peculiari. Per approfondire, si v. L’influencer va contrattualizzato come un agente di commercio? di D. Teruggia.

Solo una compliance piena, conforme alle norme nazionali e internazionali e alle migliori prassi del settore, può trasformare il rischio dell’autenticità in una vera opportunità, garantendo il ritorno desiderato dalle campagne senza compromettere la reputazione aziendale.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 14 Novembre 2024
Ultimo aggiornamento: 18 Novembre 2024

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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