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Il business dell’influencer marketing è spesso considerato una terra di nessuno, ma è davvero così? L’articolo esplora la cosiddetta “crisi delle fonti giuridiche”, mostrando come la Digital Chart dello IAP stia colmando incertezze normative con regole più chiare per garantire la trasparenza nei contenuti sponsorizzati. La guida aggiornata si adatta ai nuovi formati digitali come TikTok e YouTube Shorts, sottolineando l’importanza di dichiarare con immediatezza la natura commerciale dei contenuti. Ma basta questa riconoscibilità dello sponsor nel mondo degli influencer? L’articolo analizza inoltre le forme di pubblicità vietate o regolamentate in Italia, inclusi divieti assoluti sul tabacco e il gioco d’azzardo, norme stringenti sulla pubblicità rivolta ai minori, e regolamentazioni specifiche per il greenwashing e i prodotti finanziari.
Non è corretto parlare di un vero e proprio “vuoto normativo” nell’influencer marketing, ma piuttosto di una crisi delle fonti giuridiche. Questo fenomeno mette in luce l’incapacità delle normative tradizionali di rispondere rapidamente ai cambiamenti imposti dalla rivoluzione digitale.
Durante l’Incontro Annuale dello IAP (7 novembre 2024, Università Cattolica di Milano), la professoressa Maria Cristina Reale ha evidenziato come la moltiplicazione e la frammentazione delle regole generino incertezza applicativa, favorendo sovrapposizioni e zone grigie. In questo contesto, la nuova digital chart dello IAP, viene accolta con favore proprio grazie alla sua chiarezza (si v. Influencer Marketing, IAP e Agcom impegnati per la trasparenza, su Primanonline).
La crisi delle fonti in Italia si manifesta con la coesistenza di strumenti normativi cogenti e di autoregolamentazione (si v. anche “Criticità legali in tema di concorrenza e pubblicità online” di Arlo Canella). Tra le principali fonti cogenti troviamo:
Questo approccio è allineato con l’art. 4-bis della Direttiva SMAV, che invita gli Stati membri a promuovere codici di condotta nazionali condivisi dal settore. Tali codici devono includere monitoraggio, trasparenza e sanzioni efficaci, creando un quadro normativo flessibile ma robusto. La Digital Chart dello IAP, già riconosciuta dall’AGCOM, rappresenta un modello concreto di questo sistema, integrando norme autodisciplinari in un contesto normativo più ampio e coeso.
Il ruolo della Digital Chart è cruciale: rappresenta uno degli strumenti di autoregolamentazione più avanzati e specifici per il settore. Sebbene l’AGCOM ne abbia già riconosciuto il valore, la sua futura integrazione nel Codice di Condotta per gli influencer (prevista per il 2025) rafforzerà il legame tra normativa pubblica e regole private. Questo Codice, frutto di una co-regolamentazione, mira a creare un sistema adattabile alle esigenze del mercato digitale.
Ma quali sono i contenuti principali della nuova Digital Chart dello IAP? Scopriamolo nel prossimo paragrafo.
La Digital Chart dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) è un regolamento essenziale per l’influencer marketing, concepito per garantire trasparenza e riconoscibilità nei contenuti sponsorizzati. La nuova versione – online dal 30 ottobre 2024 offre regole più chiare e dettagliate, eliminando ambiguità interpretative e adattandosi ai nuovi formati digitali come TikTok, YouTube Shorts e contenuti live. L’obiettivo principale rimane quello di assicurare che il pubblico riconosca immediatamente la natura commerciale di un contenuto.
Il regolamento stabilisce che la comunicazione commerciale diffusa attraverso Internet deve rendere evidente la finalità promozionale con accorgimenti di immediata visibilità, senza richiedere ulteriori azioni da parte dell’utente e mantenere la trasparenza anche in caso di condivisioni o repost, indipendentemente dalla piattaforma utilizzata.
In caso di rapporto di committenza tra brand e influencer, la natura pubblicitaria deve essere segnalata con diciture ben visibili, come:
Per ogni tipo di contenuto, il regolamento specifica modalità precise.
Per i Post, la dicitura deve essere inserita come prima informazione e, se sono usati hashtag, deve comparire entro i primi tre.
Per i Video, la dicitura deve essere visibile sia nella descrizione che in sovrimpressione all’inizio del video, e ripetuta nei contenuti live.
Per le Stories, Reel e contenuti “a scadenza” la dicitura deve essere sovrapposta agli elementi visivi e chiaramente leggibile per tutta la durata.
L’uso di codici sconto o link di affiliazione richiede che l’influencer dichiari esplicitamente la natura promozionale del contenuto, ad esempio con diciture come:
Anche in assenza di pagamento diretto, in caso di regali, l’influencer deve dichiarare la natura del legame con il brand. Ad esempio:
Quando gli influencer esortano gli utenti a creare contenuti promozionali (UGC), questi devono includere le stesse avvertenze richieste per gli endorsement.
Rispetto alla versione precedente, la Digital Chart aggiornata introduce indicazioni operative più precise, eliminando ambiguità interpretative ed estende la regolamentazione a nuovi formati, come live streaming e contenuti temporanei, rendendo il regolamento più adatto alle dinamiche dei social media moderni.
La nuova Digital Chart pone maggiore enfasi sulla responsabilità condivisa tra influencer, aziende e piattaforme. Ad esempio, l’inserzionista deve informare l’influencer, in modo chiaro e inequivoco, al momento dell’invio del prodotto.
Gli strumenti tecnici offerti dai social media, come i tool per le partnership promozionali, sono ritenuti idonei solo se conformi alle indicazioni del regolamento.
Per consultare il regolamento integrale: Regolamento Digital Chart IAP sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso internet
La Digital Chart dello IAP pone al centro il principio della riconoscibilità della comunicazione promozionale, stabilendo che ogni contenuto sponsorizzato debba essere dichiarato come tale. Tuttavia, la semplice indicazione di “pubblicità” o “sponsorizzazione” non risolve tutte le complessità legate all’autenticità e alla percezione del pubblico. Come discusso nel nostro precedente articolo sull’autenticità nell’influencer marketing, la trasparenza è un prerequisito, ma non garantisce necessariamente che il messaggio venga percepito come genuino.
La questione si complica ulteriormente con i livelli diversi di sponsorizzazione. Non tutte le collaborazioni tra brand e influencer si equivalgono: un post sponsorizzato può derivare da un regalo occasionale, da una partnership continuativa o da una collaborazione a fronte di un compenso significativo. I recenti casi di cronaca, come il Pandoro gate, hanno evidenziato che, sebbene la trasparenza sia rispettata formalmente, il pubblico tende a valutare i contenuti in base al grado percepito di influenza economica. Più alto è il compenso economico, minore è l’autenticità attribuita al messaggio.
La Digital Chart, pur offrendo regole precise per dichiarare i contenuti sponsorizzati, non affronta ancora i diversi gradi di intensità del rapporto economico tra brand e influencer. Un prodotto inviato gratuitamente senza obbligo di promozione non è percepito allo stesso modo di una sponsorizzazione diretta, così come una collaborazione esclusiva e continuativa sui c.d. new media incide più profondamente sulla libertà editoriale dell’influencer rispetto a un singolo contenuto sponsorizzato.
De iure condendo, si potrebbe immaginare un sistema che evidenzi l’intensità della sponsorizzazione, ad esempio attraverso un “semaforo” che indichi in modo chiaro e discreto il livello di influenza economica: verde per rapporti occasionali o senza obblighi, giallo per sponsorizzazioni medie e rosso per contributi economici rilevanti. Questo approccio potrebbe aiutare il pubblico a comprendere meglio il contesto del messaggio senza compromettere la privacy degli influencer.
Un aspetto particolarmente delicato riguarda le iniziative benefiche, che spesso sfruttano il forte impatto emotivo per promuovere donazioni o sensibilizzare il pubblico. La Digital Chart accenna al tema nel quadro generale della trasparenza, ma non dedica una regolamentazione specifica a questo ambito. Sarebbe opportuno prevedere che il meccanismo della donazione sia dichiarato chiaramente e tracciabile, specificando quanto delle somme raccolte venga effettivamente destinato alla causa rispetto ai costi di gestione. Inoltre, potrebbe essere introdotto un divieto esplicito di finalità speculative o profit, per garantire che tali iniziative rimangano autentiche e non tradiscano la fiducia del pubblico.
Tuttavia, è chiaro che per affrontare queste sfide l’autoregolamentazione non basta. Al tavolo della negoziazione manca uno stakeholder essenziale: il consumatore. Limitarsi a regole definite tra brand e influencer rischia di trascurare le esigenze e le aspettative di chi fruisce i contenuti. Una normativa pubblica o l’intervento di un soggetto super partes potrebbe garantire una maggiore equità e salvaguardare l’interesse collettivo.
La normativa italiana prevede divieti tassativi per alcune tipologie di pubblicità, con l’obiettivo di tutelare i consumatori, la dignità umana e la concorrenza leale. Questi divieti, che interessano anche gli influencer, si affiancano alle disposizioni del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria dello IAP, creando un sistema complesso di regole da rispettare. Analizziamo le principali tipologie di pubblicità vietata.
La pubblicità ingannevole è regolata dagli artt. 21-23 del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) e proibisce qualsiasi messaggio che possa indurre in errore i destinatari, influenzandone le decisioni economiche o danneggiando un concorrente. Questo principio è ribadito anche dal Codice IAP all’art. 2 secondo cui: “La comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l’identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti. Nel valutare l’ingannevolezza della comunicazione commerciale si assume come parametro il consumatore medio del gruppo di riferimento”.
La pubblicità occulta rappresenta un’altra area critica. Gli artt. 22 del Codice del Consumo e 43 del TUSMA stabiliscono che la natura commerciale dei contenuti deve essere chiaramente riconoscibile, evitando qualsiasi ambiguità che possa confondere il pubblico. Lo IAP, all’art. 7, sottolinea l’importanza di rendere evidente la finalità pubblicitaria, un principio centrale anche nella Digital Chart.
La pubblicità comparativa illecita è vietata dagli artt. 4-5 del D.Lgs. 145/2007 e dalla Direttiva 2006/114/CE, quando risulta ingannevole, denigratoria o genera confusione tra marchi concorrenti. Secondo il Codice IAP, all’art. 15: “È consentita la comparazione quando sia utile ad illustrare, sotto l’aspetto tecnico o economico, caratteristiche e vantaggi dei beni e servizi oggetto della comunicazione commerciale, ponendo a confronto obiettivamente caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili tecnicamente e rappresentative di beni e servizi concorrenti, che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi”. Questo significa che, per gli influencer, confrontare prodotti richiede cautela e rispetto delle regole.
Un divieto assoluto riguarda la pubblicità di prodotti del tabacco, stabilito dal D.Lgs. 300/2004 (attuazione della Direttiva 2003/33/CE) e dalla Legge 165/1962. È vietata ogni forma di promozione, diretta o indiretta, incluso il product placement.
Anche la pubblicità di bevande alcoliche è regolamentata. La Legge del 30 marzo 2001, n.125 e la Direttiva 2010/13/UE, vietano messaggi che si rivolgano ai minori o che associno il consumo di alcol al successo sociale o personale. L’art. 22 della IAP prevede che: “La comunicazione commerciale relativa alle bevande alcoliche non deve contrastare con l’esigenza di favorire l’affermazione di modelli di consumo ispirati a misura, correttezza e responsabilità. Ciò a tutela dell’interesse primario delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze connesse all’abuso di bevande alcoliche”. Per gli influencer, è essenziale rispettare un approccio sobrio e responsabile.
Con il Decreto Dignità (D.L. 87/2018, art. 9), è stata vietata ogni forma di pubblicità legata al gioco d’azzardo, incluse sponsorizzazioni e promozioni digitali (si v. “Agcom: multe per 2 milioni di euro a 21 creator per promozione gioco d’azzardo”). I provvedimenti sono stati adottati contro i creator nelle sedute del 24 settembre e del 23 ottobre 2024.
La pubblicità discriminatoria o offensiva è vietata dall’art.43 del TUSMA. Sono proibiti messaggi che incitino all’odio, offendano la dignità umana o promuovano stereotipi discriminatori. Lo IAP, all’art. 10, si allinea a queste norme, prevedendo che “la comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose”.
Un ambito particolarmente sensibile è la pubblicità di farmaci e dispositivi medici. La normativa cogente, in particolare il D.Lgs. 219/2006, vieta la pubblicità al pubblico di farmaci soggetti a prescrizione medica, consentendo la promozione diretta solo per farmaci da banco e prodotti di automedicazione. Inoltre, il D.Lgs. 46/1997 disciplina la pubblicità dei dispositivi medici, stabilendo che le informazioni comunicate debbano essere chiare, veritiere e non ingannevoli. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria dello IAP, con l’Articolo 25 – Pubblicità sanitaria, integra queste disposizioni, richiedendo che ogni comunicazione commerciale in ambito sanitario rispetti rigorosamente i limiti imposti dalla normativa. In particolare, lo IAP sottolinea l’importanza di evitare messaggi che possano ingenerare false aspettative o banalizzare i rischi legati all’uso di farmaci o dispositivi medici. Gli influencer che operano in questo settore devono prestare particolare attenzione a rispettare queste regole, soprattutto per contenuti che promuovono dispositivi come test diagnostici, integratori o prodotti sanitari.
Particolare attenzione è rivolta alla pubblicità rivolta ai minori, La pubblicità rivolta ai minori è attentamente regolamentata in Italia, con l’obiettivo di proteggere il loro sviluppo psicologico e fisico e di evitare che messaggi pubblicitari possano influenzare negativamente la loro crescita. Ecco le principali norme e principi applicabili. Il Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) vieta qualsiasi pratica commerciale che sfrutti la credulità o la mancanza di esperienza dei minori. Questo divieto include messaggi che possano indurre comportamenti inappropriati, pericolosi o lesivi, oltre a pubblicità che incoraggino i minori a sollecitare ripetutamente i genitori per l’acquisto di prodotti. Il Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi (TUSMA, D.Lgs. 177/2005), nell’articolo 43, stabilisce che i contenuti pubblicitari non devono arrecare alcun pregiudizio morale o fisico ai minori. Viene proibita la trasmissione di messaggi che incitino comportamenti antisociali, pericolosi o contrari ai valori educativi e sociali generalmente riconosciuti. Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (IAP) approfondisce queste regole nell’articolo 11 – Tutela dei minori, che richiede particolare cautela nella creazione di messaggi rivolti ai bambini e agli adolescenti. La comunicazione commerciale non deve contenere nulla che possa danneggiarli fisicamente, mentalmente o moralmente.
Il Codice di Autoregolamentazione Media e Minori introduce restrizioni aggiuntive, come la definizione di fasce orarie protette, durante le quali non è possibile trasmettere contenuti pubblicitari potenzialmente dannosi per i minori. Questo codice si applica in particolare alle trasmissioni televisive, ma estende il principio generale di protezione anche ai nuovi media. Infine, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR, Regolamento UE 2016/679), all’articolo 8, stabilisce che qualsiasi attività di trattamento dei dati personali di minori di 16 anni – inclusa la pubblicità diretta – è consentita solo se il consenso è fornito da chi esercita la responsabilità genitoriale.
La pubblicità di prodotti finanziari, bancari, assicurativi e delle operazioni di investimento, inclusi i beni mobili, immobili e le cripto-attività, è disciplinata in Italia da normative cogenti e da principi di autodisciplina particolarmente severi. Lo IAP, all’articolo 27 del Codice di Autodisciplina, stabilisce regole precise affinché la comunicazione commerciale in questo ambito sia chiara, completa e non fuorviante, consentendo ai consumatori, anche a quelli privi di specifica preparazione, di prendere decisioni consapevoli.
In particolare, la pubblicità deve fornire informazioni esaurienti sul soggetto proponente, sulla natura della proposta, sulle caratteristiche del prodotto o servizio, sulle condizioni dell’operazione e sui rischi connessi. Gli annunci devono evitare termini ambigui, come “rendita” o “resa”, se non utilizzati in modo rigorosamente appropriato, e non possono incitare a versamenti anticipati senza offrire idonee garanzie.
Questo è fondamentale, soprattutto per strumenti finanziari soggetti a elevata volatilità, come le cripto-attività e altri strumenti innovativi, che richiedono una particolare trasparenza sui rischi associati.
La pubblicità di prodotti finanziari deve rispettare anche le disposizioni del Testo Unico della Finanza (TUF, art. 101) e del Regolamento Emittenti Consob, che vietano comunicazioni ingannevoli e impongono che i rischi associati all’investimento siano evidenziati chiaramente.
Per la pubblicità dei prodotti energetici (luce e gas), il richiamo del Codice del Consumo è essenziale (D.Lgs. 206/2005). Tuttavia, le modalità di fornitura, di distribuzione del prodotto energetico, e della trasparenza informativa sono state oggetto di una specifica delibera dell’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente).
La delibera 104/10 dell’Autorità ha istituito il “Codice di condotta commerciale per la vendita di energia elettrica e di gas naturale ai clienti finali“. Questo documento, che ha poi subito modifiche e successive approvazioni, fino al testo rinnovato del 1° luglio 2024, definisce gli standard con cui gli operatori di settore devono agire per mantenere una sana competizione nel mercato, ma anche e soprattutto, la trasparenza a beneficio dei clienti (cfr. art. 7.1).
Infine, la normativa italiana vieta il greenwashing, ovvero la pubblicità che attribuisce benefici ambientali non dimostrabili a prodotti o servizi. Gli artt. 20-26 del Codice del Consumo e la Direttiva UE 2005/29/CE stabiliscono che le affermazioni di sostenibilità devono essere verificabili. Il Codice IAP all’art. 12 richiede che: “La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono”. Per approfondire: “La direttiva EmpCo sui “green claims” cambierà il marketing?” e “Greenwashing: la “black list” delle condotte vietate in UE”.
Avvocato Arlo Canella