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Barbie è molto più di un semplice giocattolo protetto da marchi, brevetti e copyright. Barbie, è una donna adulta, indipendente e, finalmente, protagonista. Negli anni ’60, grazie a Barbie, la sua inventrice Ruth Handler ha consentito a sua figlia di abbandonare i bambolotti e, quindi, di smettere di immaginarsi semplicemente moglie o madre (dopotutto, Ken è sempre rimasto poco più di un accessorio). In questo articolo, vi racconterò qualche aneddoto su quella che è a tutti gli effetti un’icona globale e, soprattutto, di come la proprietà intellettuale a volte consenta di proteggere anche i sogni.
Ogni idea trae ispirazione da altre idee e l’innovazione spesso nasce dall’osservazione della realtà circostante. Nel caso di Barbie, il personaggio che ha definito un’epoca, la realtà ha preso forma osservando le necessità di una bambina e il desiderio di proporre un modello adulto nel mondo dei giocattoli. La creatrice, Ruth Handler, osservando l’insoddisfazione della figlia nel giocare con i bambolotti, trovò l’ispirazione che le mancava in Germania, in una bambola chiamata Bild Lilli. L’idea rivoluzionaria fu quella di proporre una figura adulta, elegante e ambiziosa, che potesse stimolare la fantasia delle bambine.
Il 9 marzo 1959 rappresenta una data chiave nella storia dei giocattoli, segnando il lancio della prima Barbie, o meglio, Barbara Millicent Roberts. La sua presentazione all’American International Toy Fair di New York, con un costo iniziale di soli tre dollari, fu un successo immediato e assoluto, nonostante le ritrosie iniziali degli amministratori di Mattel, incluso lo stesso marito di Ruth, Elliot. Da quel momento, Barbie è diventata molto più di una semplice bambola, incarnando per generazioni sogni, aspirazioni e modelli sociali.
Ma non fu solo una questione di intuizione e marketing; il brevetto US3009284A, depositato da Ruth Handler nel 1959, divenne il sigillo di un design unico e inconfondibile, proteggendo ogni aspetto della bambola, dalla forma del corpo alla posizione degli arti. Questo brevetto ha rappresentato l’atto di nascita ufficiale della Barbie, sancendo il suo ingresso nell’Olimpo delle icone culturali moderne, e costituendo la base per una storia lunga oltre 60 anni, ora arricchita dal film (che vede come protagonista Margot Robbie), che celebra un immaginario che ha cavalcato trend e modelli sociali, rimanendo sempre fedele alla sua essenza.
La storia di Bild Lilli, la “sorella segreta” di Barbie, è un affascinante capitolo nell’evoluzione del gioco che ha incantato generazioni di bambini. Lilli fu creata nel 1955 come rappresentazione di un personaggio popolare del tabloid tedesco Bild. Disegnata da Reinhard Beuthein come simbolo del sesso e rappresentata con un corpo esageratamente prosperoso, divenne rapidamente un scherzo tra gli uomini e fu venduta nei negozi di tabacco e nei negozi per adulti nel mondo di lingua tedesca.
Ruth Handler, la creatrice di Barbie, fu affascinata dalla forma femminile di Lilli e dalla sua capacità di essere vestita con diversi costumi. Vide in quella bambola la realizzazione del suo sogno: un giocattolo tridimensionale e adulto che potesse essere modellato e vestito come una bambola di carta. Le vicende legali che seguirono l’ispirazione di Handler da Lilli furono altrettanto intricate quanto la storia della bambola stessa.
Dopo aver notato le somiglianze tra Barbie e Lilli, la società Greiner & Hausser, che aveva creato e venduto Lilli, stipulò un accordo di licenza con un rivale di Mattel, Louis Marx, per creare una concorrente di Barbie chiamata “Miss Seventeen“, utilizzando gli stampi originali di Lilli. Successivamente, Marx e Hausser citarono in giudizio Mattel per violazione del copyright su Lilli, ma la causa non sortì l’effetto sperato. Hausser vendette i diritti d’autore e i brevetti a Mattel nel 1964 per una somma irrisoria, e la sua azienda fallì poco dopo.
La connessione tra Barbie e Lilli è stata oggetto di dibattito e controversia per decenni. Nel 2001, Greiner & Hausser intentò addirittura un’altra causa contro Mattel, affermando di essere stata costretta a transigere la controversia e rivendicando i diritti d’autore su ogni Barbie venduta dal 1964. Anche questo tentativo fu un buco nell’acqua. Oggi, si sminuisce il legame, sostenendo che Ruth si fosse semplicemente ispirata a guardare sua figlia giocare con le bambole di carta e che Lilli avesse dimostrato solo come fosse possibile produrre e vendere una bambola di 11 pollici e mezzo.
Il 1997 vide la nascita di un fenomeno musicale che avrebbe travolto il mondo: “Barbie Girl” degli Aqua. Questo tormentone non solo raggiunse le vette delle classifiche internazionali, ma scatenò anche un’importante controversia legale.
Sei mesi dopo l’uscita del brano, Mattel, fece causa alla MCA Records, l’etichetta discografica degli Aqua. La ragione? Mattel riteneva che la canzone avesse trasformato Barbie in un oggetto sessuale, violando il loro marchio e danneggiando l’immagine e la reputazione di lunga data della bambola. Aqua e MCA Records contrattaccarono, dando vita a una vera e propria epopea legale.
La vicenda attraversò diverse fasi, diventando un caso emblematico nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale. Nel 2002, una Corte d’Appello degli Stati Uniti sentenziò che “Barbie Girl” fosse una semplice “parodia” e, quindi, protetta dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Il giudice respinse sia la causa di Mattel che quella di diffamazione intentata dagli Aqua.
In una svolta ironica, Mattel decise nel 2009 di abbracciare la canzone come parte di una nuova strategia di marketing, modificando i testi e utilizzandola in una serie di annunci pubblicitari. La controversia legale con gli Aqua era ormai archiviata, e “Barbie Girl” aveva guadagnato un posto nell’immaginario culturale, diventando un classico senza tempo.
La storia della canzone e della relativa battaglia legale rappresenta un esempio importante dell’intersezione tra diritti di marchio, interpretazioni legali e cultura pop, spiegando come un singolo brano possa addirittura trasformare, sfidare e, alla fine, rafforzare un prodotto commerciale come Barbie.
La pellicola uscita in Italia il 20 luglio scorso, che vede Margot Robbie nei panni di Barbie, non è soltanto un ulteriore passaggio nell’evoluzione di un’icona globale, ma una dimostrazione di come un personaggio possa trasformarsi e adattarsi ai cambiamenti culturali.
Questo film si è già rivelato un blockbuster e non può non evocare nello spettatore riflessioni profonde. Personalmente, durante la visione e soprattutto verso la fine del film, ho desiderato che “Barbie stereotipo”, in una sorta di metamorfosi definitiva, decidesse di afferrare un mazza da baseball, come è solita fare Harley Quinn (anch’ella interpretata da Margot Robbie), per fracassare quel mondo rosa che – seppur divertente – cominciava ad apparire eccessivamente cervellotico (ma queste restano valutazioni personali, indubbio riflesso della complessità del personaggio).
Il caso di Barbie, a ogni modo, ci mostra invece come la proprietà intellettuale sia suo malgrado protagonista fondamentale nella storia di ogni progetto di valore. Il marchio, il brevetto, il copyright non sono meri dettagli legali, ma elementi chiave che possono determinare il successo e la longevità di un prodotto o di un’idea. Nel caso di Barbie, questi strumenti hanno permesso alla bambola di rimanere rilevante per oltre 60 anni, attraversando generazioni, tendenze e controversie, diventando così molto più di un semplice giocattolo.
Concludendo, la storia di Barbie ci insegna che la proprietà intellettuale non è solo un argomento accademico, bensì qualcosa di molto concreto che incide sulla cultura popolare e sulle potenzialità di sviluppo delle imprese che ne sono titolari. Cinema, licenze, marchi e brevetti sono strumenti attraverso i quali le idee prendono forma e diventano parte del tessuto sociale. Barbie, con la sua evoluzione da giocattolo a icona culturale, testimonia come la creatività e l’innovazione, quando protette e valorizzate, possano generare un impatto duraturo, significativo e redditizio, che può spingersi ben oltre la semplice idea iniziale.
Avvocato Arlo Canella