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Marchi e pianificazione fiscale: gli errori da evitare

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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La gestione dei marchi aziendali, oltre a tutelare la proprietà intellettuale, può avere profonde ripercussioni fiscali. In un contesto come quello italiano, dove la pressione fiscale è elevata, molti imprenditori cercano di sfruttare la “pianificazione fiscale”. Tuttavia, prima di intraprendere questa strada, è essenziale comprendere a fondo cosa siano realmente i marchi e come evitare pratiche illecite o elusive

Quando i marchi diventano “trappole fiscali”

Nel vivace tessuto imprenditoriale italiano, l’alta domanda di ottimizzazione fiscale ha spinto molti consulenti a proporre modelli di business che sfruttano i marchi come strumenti di pianificazione. Sebbene queste attività siano generalmente lecite, spesso i consulenti spingono gli imprenditori ad adottare strategie fiscali borderline, sfruttando l’insipienza e la disattenzione dell’Agenzia delle Entrate in ambito legale specializzato. Di conseguenza, alcuni imprenditori, seguendo questi consigli senza essere pienamente consapevoli dei rischi, finiscono per utilizzare i marchi in modo discutibile per ridurre il carico fiscale.

Un caso paradigmatico e molto frequente è quello di un imprenditore che decide di registrare il marchio della propria azienda a nome personale, anziché a nome della società. Successivamente, concede in licenza l’uso del marchio alla sua stessa impresa, percependo royalties per tale concessione. Dal punto di vista fiscale, la società deduce i costi delle royalties, riducendo il proprio reddito imponibile, mentre l’imprenditore beneficia di un flusso di entrate personali.

Ma l’imprenditore, come persona fisica, ha davvero il diritto di registrare il marchio della società a nome proprio?

Cosa succede se l’imprenditore registra il marchio aziendale a titolo personale?

Quando un marchio aziendale “di fatto” esiste già come bene della società, la scelta di un imprenditore di registrarlo a titolo personale può configurare un’attività abusiva. A prima vista, questa pratica potrebbe sembrare un’operazione “astuta”. Tuttavia, nasconde insidie legali significative (si v. “Il fenomeno dei marchi non registrati nel settore delle PMI” oppure “Basta un ‘marchio di fatto’ oppure è obbligatorio registrarlo?”).

Secondo l’Articolo 10-bis dello Statuto dei Diritti del Contribuente (Legge n. 212/2000), qualsiasi operazione che manca di sostanza economica e ha come unico obiettivo quello di ottenere un vantaggio fiscale indebito è considerata un abuso del diritto. In tali situazioni, l’Agenzia delle Entrate ha il potere di disconoscere i benefici fiscali ottenuti e di recuperare le imposte non versate, applicando anche sanzioni

Pertanto, se state considerando o avete già messo in atto questa strategia, è il momento di riflettere attentamente. Evitate di prendere come oro colato ogni suggerimento da parte di consulenti ignoti, di cui non conoscete né le qualifiche né la credibilità.

Oltre ai rischi fiscali, vi sono anche potenziali ripercussioni legali all’interno della società stessa. Gli altri soci dell’azienda potrebbero contestare la legittimità di un’operazione del genere, considerandola una violazione dei doveri fiduciari dell’amministratore. L’Articolo 2475-ter del Codice Civile impone agli amministratori di agire nell’interesse della società e di evitare conflitti di interesse. Registrare un bene aziendale, come un marchio, a nome personale può essere interpretato come un tentativo di appropriarsi di un asset aziendale per scopi privati, configurando così il reato di infedeltà patrimoniale ai sensi dell’Articolo 2634 del Codice Civile.

Queste strategie di “pianificazione fiscale” non solo mettono a rischio le operazioni aziendali, ma possono anche compromettere gravemente la reputazione e la valutazione dell’impresa. In un’epoca in cui la trasparenza e l’etica sono sempre più apprezzate dal mercato, simili pratiche possono allontanare clienti e investitori, danneggiando la credibilità e la solidità dell’azienda.

Ma quali sono le conseguenze concrete per chi decide comunque di intraprendere questa strada? Le sanzioni fiscali, la perdita di fiducia tra i soci, e la compromissione della reputazione aziendale sono solo alcuni dei rischi che si profilano all’orizzonte.

Le possibili conseguenze di una “pianificazione fiscale” spregiudicata

Quando i marchi aziendali vengono utilizzati come strumenti per una pianificazione fiscale aggressiva, le conseguenze possono essere gravissime. L’Agenzia delle Entrate ha il potere di considerare queste operazioni come elusione fiscale, agendo per recuperare le imposte evase e applicando sanzioni che possono raggiungere il 200% dell’imposta non versata, in conformità con il D.Lgs. n. 471/1997.

In merito a questa pratica, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito più di dieci anni fa che ai contribuenti è proibito ottenere vantaggi fiscali – come la deduzione delle royalties – quando questi derivano da un uso distorto di strumenti giuridici. Nella sentenza Cass. civ., Sez. VI – 5, 20/05/2013, n. 12282, la Corte ha stabilito che: 

La cessione dei marchi a un corrispettivo ritenuto esageratamente basso rispetto al costo sopportato per le royalties pagate immediatamente dopo è un comportamento manifestamente contrario ai canoni dell’economia, che rende la società passibile di accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973. In definitiva, è precluso ai contribuenti il conseguimento di vantaggi fiscali (nel caso di specie, deduzione delle royalties) se questi si originano dall’uso distorto di negozi giuridici come, per esempio, la cessione del marchio a prezzo ridotto e l’immediato ‘riacquisto’ dei diritti di utilizzazione verso corrispettivi di gran lunga superiori, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di risparmi d’imposta.

Questa sentenza chiarisce come operazioni apparentemente “astute“, come la cessione di un marchio a prezzo ridotto seguita da un riacquisto immediato a un costo significativamente più elevato, possano configurarsi come elusione fiscale.

Dal punto di vista legale, un imprenditore che registra un marchio aziendale a nome personale potrebbe essere accusato di appropriazione indebita ai sensi dell’Articolo 646 del Codice Penale, se si dimostra che ha sottratto un bene aziendale per fini personali. Inoltre, abbiamo già visto che l’infedeltà patrimoniale prevista dall’Articolo 2634 del Codice Civile potrebbe comportare responsabilità civili e penali, con pene che includono la reclusione.

Gli altri soci, sentendosi danneggiati, possono intraprendere azioni di responsabilità contro l’amministratore sulla base dell’Articolo 2476 del Codice Civile, chiedendo risarcimenti danni che potrebbero incidere significativamente sul patrimonio personale dell’imprenditore. Inoltre, i creditori sociali potrebbero contestare la diminuzione delle garanzie patrimoniali della società, esercitando l’azione revocatoria prevista dall’Articolo 2901 del Codice Civile o altre azioni legali per tutelare i propri interessi (ad esempio, l’azione surrogatoria o contestando la registrazione in mala fede del marchio).

Data la gravità dei rischi, diventa evidente l’importanza di una gestione trasparente e conforme alle norme per proteggere i propri asset immateriali. Tuttavia, esistono strategie più che legittime che permettono di valorizzare i marchi senza incorrere in problemi legali e fiscali.

Marchi e royalties: come impiegarli in modo lecito e strategico

Dopo aver analizzato i rischi legali e fiscali di una gestione impropria dei marchi aziendali, è fondamentale comprendere come questi asset possano essere utilizzati correttamente e in maniera vantaggiosa per l’impresa.

La chiave risiede in una gestione oculata e conforme alle normative vigenti. Registrare il marchio a nome della società è il primo passo. Questo non solo tutela la proprietà intellettuale dell’azienda, ma garantisce anche una corretta valorizzazione del marchio nel bilancio, in linea con gli Articoli 2424 e 2426 del Codice Civile.

Se il marchio è stato originariamente registrato a nome dell’imprenditore, è possibile trasferirlo alla società attraverso un atto formale. L’Articolo 2573 del Codice Civile consente la cessione dei marchi, ma è essenziale che il prezzo del trasferimento sia genuinamente negoziato o che avvenga a condizioni di mercato. Qui entra in gioco il ruolo fondamentale dei consulenti specializzati e delle perizie indipendenti, che aiutano a stabilire un valore equo in conformità con l’Articolo 9 del TUIR.

Un esempio pratico potrebbe riguardare l’imprenditore che, avendo storicamente registrato il marchio a suo nome, decide di cederlo alla società per favorire la crescita aziendale (ad esempio, per la costruzione di una rete di franchising). Con l’assistenza di professionisti competenti, il trasferimento avviene in modo trasparente e nel rispetto delle normative, evitando possibili contestazioni fiscali e legali. Altrettanto lecita potrebbe risultare la stipulazione di un contratto di licenza del marchio, con royalties in favore della persona dell’imprenditore, ancorché però risulti legittima, motivata e non meramente elusiva.

È importante sottolineare che non esiste un “mantra” indiscutibile su queste questioni. Ogni situazione è unica e richiede un’analisi accurata delle norme e la loro corretta applicazione. I consulenti non hanno la macchina del tempo per modificare le scelte passate; pertanto, la competenza e la serietà professionale sono indispensabili per guidare l’azienda attraverso decisioni complesse.

Per le imprese che operano in un contesto internazionale o fanno parte di gruppi multinazionali, un’attenzione particolare va posta alle politiche di transfer pricing. Le transazioni infragruppo devono avvenire a valori di mercato, in conformità con l’Articolo 110, comma 7, del TUIR e le Linee Guida OCSE. Una corretta documentazione e il supporto di esperti possono prevenire contestazioni fiscali e sanzioni.

In conclusione, gestire i marchi aziendali in modo etico e conforme alle leggi non solo evita rischi legali e fiscali, ma rappresenta anche un’opportunità per valorizzare l’identità dell’azienda e rafforzare il legame con il mercato. Con un approccio integrato che combina professionalità dei consulenti, analisi normativa e pianificazione strategica, le imprese possono trasformare i propri marchi in potenti strumenti di crescita.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 4 Ottobre 2024

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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