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Esploriamo insieme le complesse dinamiche in materia di proprietà intellettuale e, in particolare, della riproduzione dei beni culturali, sfruttando il caso dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci e della faida tra Ravensburger e il Ministero della Cultura.
L’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, è un’opera che, sebbene giuridicamente nel pubblico dominio, è soggetta ad alcune limitazioni. Le leggi italiane, in particolare il Codice dei Beni Culturali (decreto Legislativo n. 42/2004) stabiliscono che i beni culturali di proprietà dello Stato non possono essere riprodotti per scopi commerciali senza autorizzazione preventiva e il pagamento di specifici oneri dovuti all’ente che li ha in custodia. Il Codice italiano dei beni culturali mira a proteggere e preservare il patrimonio culturale italiano, assicurando che lo sfruttamento commerciale delle opere tutelate rispetti il loro valore storico e culturale (per approfondire si v. “E’ lecito approfondire l’immagine di celebri opere d’arte italiane per fini commercali?”)
Il Codice dei Beni Culturali italiano, all’articolo 107 e seguenti, impone che qualsiasi riproduzione di opere culturali di proprietà dello Stato deve essere autorizzata dall’istituzione che le detiene. Questo include anche le opere nel pubblico dominio, come l’Uomo Vitruviano, la cui immagine può essere utilizzata solo previo consenso e pagamento di un canone. Questo sistema è concepito per evitare lo sfruttamento improprio e garantire che i proventi derivanti dall’uso commerciale contribuiscano alla conservazione delle opere stesse (avevamo già approfondito la ratio della normativa italiana in questo articolo: “Il Tribunale di Firenze riconosce il diritto di immagine delle opere d’arte”).
Le Gallerie dell’Accademia di Venezia sono l’ente responsabile della gestione dell’Uomo Vitruviano. Le Gallerie, peraltro, precisano che “le ragioni di tutela impongono di conservare il disegno in un ambiente protetto dalla luce e con un costante controllo dei valori microclimatici. Per tali ragioni, i disegni e le stampe non sono esposti in modo permanente” (per informazioni sull’opera e su quando è possibile ammirarla si rinvia alla pagina dedicata del sito delle Gallerie). L’istituzione ha il compito di valutare le richieste di riproduzione commerciale e di stabilire i canoni di concessione. Questo approccio rigoroso riflette l’importanza attribuita alla protezione del patrimonio culturale in Italia. L’intento è di assicurare che l’uso delle immagini delle opere d’arte rispetti il loro significato storico e culturale, prevenendo utilizzi che potrebbero danneggiare la loro integrità o pregiudicare il loro impatto culturale.
Ravensburger AG è la società tedesca fondata nel 1883, nota a livello mondiale per la produzione di puzzle, giochi da tavolo e prodotti educativi. L’azienda ha costruito la sua reputazione su qualità, innovazione e divulgazione culturale, guadagnandosi un posto di rilievo nel settore dei giocattoli.
Nel 2022, Ravensburger ha deciso di produrre e commerciare un puzzle che raffigurava l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci nell’ambito di una linea di prodotti denominata “Art Collection”, che includeva anche altre opere di rilievo internazionale come La Gioconda, Il Bacio di Gustav Klimt, La Notte Stellata di Vincent Van Gogh, La Creazione di Adamo di Michelangelo (parte della Volta della Cappella Sistina), La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix, La Ragazza con l’orecchino di perla di Johannes Vermeer.
Tuttavia, la riproduzione dell’Uomo Vitruviano ha portato le Gallerie dell’Accademia di Venezia, che detengono il disegno originale di Leonardo, ad agire contro Ravensburger. Il Tribunale di Venezia, competente per territorio, ritenne che la società avesse utilizzato l’immagine senza l’autorizzazione necessaria e senza pagare i canoni previsti per la riproduzione commerciale delle opere appartenenti al patrimonio culturale italiano.
L’ordinanza cautelare emessa il 24 ottobre 2022 stabilì che l’uso dell’immagine dell’Uomo Vitruviano fosse illegittimo perché non autorizzato dall’ente affidatario. L’ordinanza impose a Ravensburger di cessare immediatamente la produzione e la vendita del puzzle, applicando una penale di 1.500 euro per ogni giorno di ritardo nel rispetto del divieto.
Il Tribunale di Venezia, nell’ordinanza, si soffermò su diverse questioni attinenti alla giurisdizione, alla legittimazione passiva dei convenuti, alla competenza territoriale e all’applicabilità delle norme del codice dei beni culturali a soggetti stranieri. Con riferimento alla giurisdizione, il Tribunale sancì la giurisdizione italiana richiamandosi al Regolamento (UE) n. 1215/2012, secondo cui una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro “davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” (art. 7, punto 2), interpretato dalla Corte di Giustizia Europea (CGUE C-12/15) come coincidente con il luogo in cui si concretizza il danno. In questo caso, vi era una separazione geografica tra il luogo del fatto generatore del danno (Germania) e il luogo dove il danno si concretizzò (Italia), consentendo così di scegliere tra i due fori.
Per quanto riguarda la competenza territoriale, il Tribunale dichiarò la propria competenza ex art. 20 c.p.c., ancorandola al luogo “in cui certamente e principalmente si è verificato il danno risarcibile” e dove “si realizzano le ricadute negative della lesione”. A Venezia, infatti, si trovavano il bene culturale e la sede dell’ente che lo custodiva, che non aveva potuto controllare l’uso dell’immagine da parte di Ravensburger.
L’ordinanza stabilì inoltre che il Codice dei beni culturali fosse una “norma di applicazione necessaria”, ai sensi degli articoli 17 della L. 218/1995 e 16 del regolamento (CE) n. 864/2007 (Roma II), applicabile anche a soggetti stranieri quando il danno si verifica in Italia e coinvolge beni culturali italiani. Secondo l’art. 4, paragrafo 1, del regolamento Roma II, la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali derivanti da un fatto illecito è quella del paese in cui il danno si verifica. Pertanto, il Tribunale concluse che l’uso non autorizzato dell’immagine dell’Uomo Vitruviano senza il pagamento dei canoni costituisse un danno risarcibile ai sensi degli articoli 2043 e 2059 del codice civile italiano, includendo il danno derivante dallo svilimento dell’immagine del bene culturale e la perdita economica per l’istituto custode (per approfondire: “Persona e Mercato 2023/1 – Osservatorio” e in particolare “L’ordinanza cautelare del Tribunale di Venezia del 24.10.2022 in materia di riproduzione digitale di opere pubbliche in pubblico dominio. Il caso “puzzle dell’Uomo Vitruviano – Ravensburger” tra codice dei beni culturali e direttiva europea sul copyright nel mercato unico digitale” di Deborah De Angelis, l’ordinanza integrale è disponibile qui)
Ravensburger ha poi deciso di giocare in casa avviando un’azione di accertamento negativo dell’illecito presso il Tribunale di Stoccarda, cercando di ottenere una dichiarazione che confermasse la legittimità dell’uso dell’immagine dell’Uomo Vitruviano nei suoi puzzle, senza dover rispettare le limitazioni e gli oneri del Codice dei Beni Culturali italiano. Questa strategia ha portato a una decisione molto rilevante per il commercio internazionale delle riproduzioni delle opere italiane tutelate.
Il Tribunale di Stoccarda ha stabilito il 17 maggio 2024 che la legge italiana, che richiede autorizzazioni e il pagamento di tariffe per l’uso commerciale delle immagini di beni culturali, non può essere applicata al di fuori dei confini nazionali. La corte ha argomentato che, secondo il diritto tedesco, le opere nel pubblico dominio, come l’Uomo Vitruviano, possono essere utilizzate liberamente senza restrizioni. Questa sentenza ha di fatto liberato Ravensburger dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione o pagare le tariffe per l’uso dell’immagine al di fuori dell’Italia.
La decisione del Tribunale di Stoccarda si basa sul principio di territorialità del diritto internazionale, secondo il quale le leggi di un paese non possono essere applicate oltre i suoi confini. Questo principio è stato determinante poiché ha permesso a Ravensburger di continuare a commercializzare il puzzle con l’immagine dell’Uomo Vitruviano in Germania e in altri paesi al di fuori dell’Italia. La corte ha inoltre sottolineato che il diritto d’autore tedesco non riconosce la necessità di autorizzazioni o pagamenti per l’uso di opere nel pubblico dominio.
Questa decisione ha importanti implicazioni per il commercio della riproduzione di opere d’arte del patrimonio italiano all’estero. Dimostra come la normativa italiana, analogamente a quella greca, possa entrare in conflitto con il diritto internazionale, creando incertezze legali significative per le imprese. Il caso evidenzia la necessità di maggiore chiarezza e armonizzazione.
Per chi desideri approfondire ulteriormente, la sentenza del Tribunale di Stoccarda è disponibile qui e l’articolo di COMMUNIA sulla vicenda qui: “Regional court of Stuttgart rejects the extraterritoriality of the Italian cultural heritage code”.
Il Ministero della Cultura ha reagito con fermezza alla sentenza del Tribunale di Stoccarda, che ha esentato Ravensburger dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione per l’uso commerciale dell’immagine dell’Uomo Vitruviano al di fuori dell’Italia. In un comunicato riportato dalla stampa, il Ministero ha espresso preoccupazione riguardo all’impatto della decisione, sottolineando che essa compromette gli sforzi per proteggere il patrimonio culturale italiano a livello internazionale.
Il Ministero ha affermato che il Codice dei Beni Culturali è stato progettato per garantire che le immagini di opere appartenenti al patrimonio culturale dello Stato siano utilizzate in modo rispettoso e che i proventi derivanti dall’uso commerciale contribuiscano alla loro conservazione. In una dichiarazione riportata da diverse fonti, il Ministero ha sottolineato che la protezione del patrimonio culturale italiano non dovrebbe essere limitata dai confini nazionali e che le opere di Leonardo e di altri grandi maestri rappresentano una parte fondamentale dell’identità culturale italiana e devono essere salvaguardate contro qualsiasi forma di sfruttamento commerciale non autorizzato.
Un aspetto interessante è stato sollevato dal giornalista Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere della Sera riportato da Dagospia che aggiunge un tono più critico alla questione. Stella ha descritto il tentativo italiano di imporre un “provvedimento ingiuntivo a livello mondiale” come avventuroso e temerario, citando la Corte dei Conti che aveva già evidenziato le difficoltà di applicare i tradizionali paradigmi proprietari nell’era digitale. La Corte aveva suggerito di abbandonare tali paradigmi in favore di una visione più democratica e inclusiva del patrimonio culturale, sottolineando come le forme di ritorno economico basate sulla vendita delle singole immagini appaiano anacronistiche e antieconomiche.
Gli sviluppi di questa vicenda potrebbero avere conseguenze significative per le imprese che operano a livello internazionale e utilizzano immagini di opere d’arte del patrimonio culturale. Le aziende, comunque, devono essere consapevoli delle diverse legislazioni nazionali che regolano l’uso delle immagini delle opere nel pubblico dominio e prepararsi a possibili contenziosi legali se non rispettano le normative locali (ne avevo già parlato anche qui: “Opere nel pubblico dominio: guida breve per lo sfruttamento commerciale”).
Avvocato Arlo Canella