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Una questione di originalità: il caso del marchio “BI-BAG”

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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Le controversie sulla validità di marchi mettono in luce le complessità del diritto della proprietà intellettuale: la recente decisione del Tribunale di Ancona nel caso “BI-BAG” offre una lezione importante su ciò che rende davvero un marchio distintivo e meritevole di protezione.

L'originalità dei marchi: il caso “BI-BAG”

Il Tribunale di Ancona si è recentemente pronunciato su una questione interessante in merito al marchio “BI-BAG”. La sentenza n. 1309/2024 ha visto Alfa, l’azienda che rivendicava la titolarità esclusiva del marchio, contro Beta, che invece ne contestava la validità. La questione ruotava attorno a un problema piuttosto comune nel mondo dei marchi: la distintività.

La causa era stata avviata da Alfa, che chiedeva al tribunale di vietare a Beta l’uso del marchio registrato “BI-BAG”, sostenendo che questo violasse i suoi diritti esclusivi sul marchio stesso. Beta, invece, sosteneva che il marchio fosse invalido, perché privo di carattere distintivo e puramente descrittivo di una caratteristica funzionale del prodotto. Tutta la questione si concentrava su quanto fosse realmente originale il marchio “BI-BAG”.

Alfa aveva registrato il marchio italiano “BI-BAG” n. 302012902045274 per identificare un tipo particolare di borsa: due borse sovrapposte, una esterna e una interna, intercambiabili tra loro. Secondo Alfa, questa idea di design giustificava la registrazione del marchio, dovendo assicurare l’esclusiva sul nome anche per proteggere l’unicità del prodotto.

Beta però la pensava diversamente. La società sosteneva che i termini “BI” e “BAG” fossero troppo generici. “BI” significa “due” in latino e “BAG” è una parola inglese che significa borsa; due termini piuttosto comuni che, uniti, non formano una parola nuova o distintiva, ma semplicemente descrivono un prodotto che è, appunto, composto da due borse o da una borsa con due funzioni.

Secondo Beta, il marchio “BI-BAG” non sarebbe in grado di distinguere i prodotti di Alfa da quelli di altre aziende, un requisito fondamentale per un marchio registrato. Inoltre, Beta ha anche sostenuto che l’espressione “BI-BAG” fosse già usata nel settore per descrivere borse con caratteristiche simili, aggiungendo un ulteriore elemento alla sua tesi sulla descrittività del marchio.

Il potere del “secondary meaning”

Alfa ha cercato di perorare la validità del marchio “BI-BAG”, sostenendo che, anche se originariamente descrittivo, avrebbe acquisito con il tempo una capacità distintiva derivata, nota come “secondary meaning”. Ma cosa si intende esattamente per “secondary meaning” nel diritto dei marchi?

Il “secondary meaning” è un principio importante nel diritto dei marchi: permette a un segno inizialmente generico o descrittivo di ottenere protezione legale se, attraverso un uso prolungato e significativo, diventa riconoscibile per il pubblico come indicatore dell’origine di un prodotto o servizio. Questo principio si fonda sull’articolo 13 del Codice della Proprietà Industriale, che stabilisce che anche un marchio privo di distintività iniziale può diventare valido, purché riesca a ottenere una connotazione distintiva attraverso il riconoscimento pubblico.

Per ottenere questo riconoscimento, è necessario che il titolare del marchio dimostri che i consumatori associno spontaneamente quel segno a un particolare produttore o fornitore, piuttosto che a una descrizione generica del prodotto. La secondarizzazione del marchio non avviene automaticamente: servono prove concrete, come ad esempio un’ampia diffusione del marchio, il suo uso costante in contesti commerciali rilevanti, e investimenti pubblicitari che ne rafforzino la percezione distintiva presso il pubblico.

Nel caso di Alfa, tuttavia, l’onere della prova non è stato soddisfatto. Nonostante il tempo trascorso e l’uso del marchio “BI-BAG”, il termine continuava a essere percepito dal pubblico come una semplice descrizione di una borsa combinata, senza un collegamento specifico e univoco a un produttore.

Cosa dice la legge sulla “capacità distintiva”

La decisione del Tribunale di Ancona affonda le sue radici nel Codice della Proprietà Industriale, che definisce il quadro normativo per la registrazione e la protezione dei marchi in Italia. L’articolo 13 del Codice è particolarmente rilevante, stabilendo che non possono essere registrati come marchi i segni privi di carattere distintivo. Questo include, per esempio, “quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive”, ossia segni che indicano caratteristiche come la specie, la qualità, o l’origine geografica del prodotto.

La distintività è il fulcro della protezione legale di un marchio. Un marchio è considerato distintivo quando può identificare un prodotto o servizio come proveniente da una determinata impresa, distinguendolo da quelli offerti da altri operatori. Ciò richiede una certa originalità: un marchio non può semplicemente essere costituito da termini di uso comune che descrivono la natura del prodotto.

L’articolo 13 è chiaro: i segni generici o descrittivi non possono essere monopolizzati da una singola azienda; devono rimanere a disposizione di tutti gli attori del mercato. Questa regola impedisce a un’impresa di ottenere un vantaggio competitivo improprio appropriandosi di termini comuni che appartengono al linguaggio generale.

La Corte di Cassazione ha ulteriormente chiarito questi principi, affermando che un marchio può essere registrato solo se è nuovo e possiede un grado sufficiente di distintività. In alcuni casi, questo può includere l’aggiunta di prefissi, suffissi o combinazioni grafiche che creano un’individualità distinta rispetto ai termini comuni (Corte di Cassazione n. 22916/2023). Tuttavia, anche questi elementi devono essere sufficientemente distintivi per distinguere il marchio da espressioni generiche.

Nel caso del marchio “BI-BAG”, il Tribunale di Ancona ha applicato rigorosamente questi principi, determinando che il marchio non possedeva il necessario carattere distintivo. “BI” e “BAG” sono termini di uso comune e descrittivi che, combinati, non presentano alcuna innovazione linguistica o grafica in grado di renderli distintivi.

Un duro colpo per "BI-BAG"

Il Tribunale di Ancona, applicando con rigore le disposizioni del Codice della Proprietà Industriale, ha stabilito che il marchio “BI-BAG” non soddisfaceva i requisiti di legge per essere considerato valido. La sentenza ha evidenziato l’assenza di distintività e novità, elementi fondamentali per la protezione giuridica di un marchio.

Il Tribunale ha sottolineato che “BI-BAG” descrive semplicemente il prodotto — una borsa composta da due pezzi — utilizzando termini comuni e di facile comprensione per il pubblico. I termini “BI” (che significa “due”) e “BAG” (che significa “borsa”) sono privi di qualsiasi elemento fantasioso o innovativo che potrebbe elevarli oltre il loro significato puramente descrittivo.

Anche la rappresentazione grafica del marchio è stata presa in considerazione nella decisione, ma le caratteristiche stilizzate, come la coda a spirale o il piccolo cerchio della lettera “G”, sono state giudicate insufficienti per conferire distintività. La giurisprudenza ha chiarito che, in caso di marchi che combinano elementi verbali e figurativi, gli elementi verbali sono generalmente ritenuti più distintivi, a meno che la componente grafica non sia particolarmente caratterizzante. Nel caso di “BI-BAG”, gli elementi grafici sono stati considerati troppo deboli per modificare la natura descrittiva del marchio.

Il Tribunale ha inoltre osservato che il termine “BI-BAG” era già utilizzato da altre aziende in contesti simili, per descrivere borse con caratteristiche analoghe. Questo uso diffuso e descrittivo nel settore della moda ha ulteriormente dimostrato la mancanza di distintività del marchio, rafforzando la conclusione che “BI-BAG” non potesse identificare in modo univoco i prodotti di un’unica impresa.

Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale di Ancona ha dichiarato nullo il marchio “BI-BAG” e ha respinto tutte le richieste di tutela avanzate dalla parte attrice, compresa l’inibitoria e il risarcimento danni. La sentenza offre una lezione chiara sull’importanza della distintività e della novità nel diritto dei marchi. Le aziende devono quindi prestare molta attenzione nella creazione dei propri marchi, assicurandosi che essi siano sufficientemente unici non solo per soddisfare i requisiti legali, ma anche per garantire una protezione efficace contro l’uso non autorizzato da parte di terzi.

Marchi deboli vs. marchi forti: le differenze essenziali

È importante notare che quanto esposto finora non implica che i marchi deboli non possano essere registrati o protetti. Questa possibilità è stata attentamente valutata dal Tribunale nel contesto della decisione. 

I marchi deboli sono quelli che presentano un legame diretto con il prodotto o servizio, spesso tramite l’uso di termini descrittivi o di uso comune nel settore. Questi marchi hanno una capacità distintiva ridotta, poiché la loro capacità di identificare un prodotto è limitata dalla loro genericità. Ad esempio, un marchio debole potrebbe descrivere una caratteristica del prodotto, come il suo utilizzo o la sua composizione, rendendo più difficile per il pubblico associare quel marchio a un singolo produttore. Di conseguenza, i marchi deboli godono di una protezione legale più limitata, poiché anche lievi variazioni o aggiunte possono renderli non confondibili con altri marchi simili.

I marchi forti, al contrario, non hanno alcuna relazione descrittiva o concettuale con il prodotto o servizio che rappresentano. Sono spesso il risultato di una combinazione creativa di parole o simboli che non richiamano immediatamente le caratteristiche del prodotto, ma piuttosto lo distinguono nettamente dagli altri sul mercato. Grazie alla loro originalità e riconoscibilità immediata, i marchi forti godono di una tutela giuridica molto più estesa. Qualsiasi variazione, anche minima, che possa indurre confusione con un marchio forte, può essere considerata una violazione del diritto di marchio.

Nel caso di “BI-BAG”, il Tribunale ha stabilito che si trattava di un marchio estremamente debole, privo della distintività necessaria. La perfetta aderenza concettuale del termine “BI-BAG” con il prodotto — una borsa composta da due parti — ha evidenziato la sua natura descrittiva. Per questo motivo, il marchio è stato dichiarato nullo, poiché non soddisfaceva i requisiti di legge per la registrazione e la protezione.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 3 Settembre 2024
Ultimo aggiornamento: 4 Settembre 2024

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale
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