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Royalties e fee nei contratti di franchising: quando possono essere contestate?

Pubblicato in: Condomini ed Immobili
di Gabriele Rossi
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Nel settore del franchising immobiliare, le condizioni economiche costituiscono il cuore (e il tallone d’Achille) del contratto. Royalties, fee d’ingresso, costi ricorrenti e contributi pubblicitari sono elementi che, se da un lato rappresentano il motore finanziario della rete, dall’altro possono diventare motivo di frizione tra franchisor e affiliato. 

Quando questi importi possono essere legittimamente contestati? 

In questo articolo, analizziamo le principali criticità legate alle clausole economiche nei contratti di affiliazione, evidenziando le strategie difensive a disposizione dell’affiliato e le buone pratiche che un franchisor dovrebbe adottare per prevenire contenziosi.

Royalties, fee d'ingresso e costi nascosti: facciamo chiarezza

Nel franchising immobiliare, le royalties sono somme periodiche versate dall’affiliato al franchisor in cambio dell’utilizzo del marchio e dell’accesso al know-how della rete. Possono assumere forme diverse:

  • percentuali sul fatturato dell’agenzia,
  • importi fissi mensili,
  • quote calcolate sulle provvigioni maturate,
  • oppure formule miste, spesso poco trasparenti.

A queste si aggiunge spesso una fee d’ingresso, ossia un pagamento una tantum richiesto all’avvio del rapporto, giustificato dalla formazione iniziale, dall’assistenza per l’avviamento e dalla cessione del know-how.

Ma non è tutto: non meno rilevanti – infatti – sono i costi ricorrenti e meno visibili, come:

  • i contributi per la pubblicità centralizzata,
  • l’acquisto di strumenti o software imposti dalla rete,
  • i corsi di formazione obbligatori o gli aggiornamenti gestionali.

In astratto, ogni voce può essere legittima. Tuttavia, quando tali clausole diventano ambigue, sproporzionate o scollegate da reali prestazioni, possono trasformarsi in trappole contrattuali.

Royalties ingiustificate? I presupposti per contestarle

Nel settore immobiliare, l’affiliato può trovarsi a sostenere costi rilevanti — royalties periodiche, fee d’ingresso, contributi per le spese di pubblicità o per strumenti operativi — senza ricevere un effettivo valore in cambio. È in questi casi che sorge una domanda legittima: tali esborsi sono davvero giustificati? Non sempre.

La contestazione diventa possibile quando viene meno l’equilibrio economico su cui si fonda ogni contratto, cioè lo scambio tra quanto si versa e quanto si riceve.

Una dei casi di contestazioni più frequenti è, infatti, la mancanza di prestazioni corrispettive. Il franchising si regge sull’impegno del franchisor a fornire servizi concreti in cambio delle somme versate. 

Se però il supporto operativo è inesistente, il sito web della rete risulta obsoleto e non indicizza adeguatamente gli annunci, oppure il marchio non riceve alcuna visibilità promozionale a livello locale o nazionale, l’affiliato può legittimamente sollevare una contestazione. In molti casi, ad esempio, gli affiliati continuano a pagare royalties mentre il portale immobiliare del network non genera contatti né opportunità commerciali, rivelandosi inadeguato rispetto alle promesse. 

Ancora, capita di frequente che franchising giovani e senza storia – talvolta – impongano una royalty mensile in linea con le richieste di un marchio leader, pur operando sotto un’insegna con scarsa visibilità e fornendo un supporto limitato.

Altre volte, il problema risiede nella formulazione ambigua delle clausole economiche: quando il contratto prevede che l’importo delle royalties possa essere modificato annualmente a discrezione del franchisor, oppure stabilisce che i contributi pubblicitari vengano determinati unilateralmente tramite semplici comunicazioni interne, si configura un’eccessiva discrezionalità. In assenza di criteri oggettivi e trasparenza, si rischia di imporre nuovi costi senza un reale confronto. 

Lo stesso vale quando le spese gestite centralmente dal franchisor non sono riscontrabili: una campagna pubblicitaria che non viene trasmessa, un’aggiornamento del gestionale che non viene realizzato, possono far emergere la responsabilità dell’affiliante.

Si possono poi verificare inadempimenti veri e propri da parte del franchisor. Se non vengono rispettati obblighi fondamentali – come la garanzia di esclusiva territoriale, la fornitura di materiali promessi o l’erogazione di corsi formativi – l’affiliato ha diritto di invocare l’eccezione di inadempimento e sospendere il pagamento delle somme dovute. 

Emblematico il caso in cui l’affiliato scopra che, nonostante l’accordo, nella stessa area operano altre agenzie immobiliari con lo stesso marchio, in violazione dell’esclusiva pattuita (si vd. “Corretta distribuzione territoriale dei punti vendita nel franchising (secondo il Tribunale di Milano)”). Ma lo stesso potrebbe dirsi per marchi diversi, afferenti però alla stessa famiglia imprenditoriale.

Infine, un profilo spesso sottovalutato ma giuridicamente rilevante è quello relativo alla fase precontrattuale. Ai sensi della L. 129/2004, il franchisor è obbligato a fornire, almeno 30 giorni prima della firma, un’informativa dettagliata sui costi, le condizioni del contratto e i dati economici della rete. La mancata o incompleta consegna di questo documento può incidere sulla validità delle clausole più onerose o delle spese successive, ad esempio, per la pubblicità, le licenze software o per l’esposizione degli annunci sulle piattaforme di annunci.

La Riforma Cartabia ha ampiamente modificato il procedimento per far valere le proprie ragioni nell’ambito di un rapporto di franchising. Vediamo ora come operare.

Come difendersi: contestazioni e strumenti legali a disposizione

Per reagire in modo efficace a royalties o fee ritenute ingiustificate, è possibile attivare diverse forme di tutela, partendo da quelle meno invasive sino ad arrivare a rimedi più incisivi e, se necessario, risolutivi.

La prima mossa è sempre quella di formalizzare le contestazioni: ogni doglianza va messa per iscritto e trasmessa tramite PEC, richiedendo chiarimenti al franchisor e, se opportuno, sospendendo i pagamenti futuri. Questo passaggio, apparentemente semplice, costituisce il primo passo per avviare una dialettica corretta e per cristallizzare le proprie posizioni in vista di eventuali sviluppi giudiziali.

Se il confronto diretto non produce risultati soddisfacenti e le prestazioni promesse – come assistenza, pubblicità o supporto operativo – risultano del tutto assenti o gravemente carenti, l’affiliato può valutare di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, facendo valere la lesione grave dell’equilibrio sinallagmatico. Cioè la rottura sostanziale del bilanciamento tra le prestazioni dovute e quelle pretese. In questi casi, può anche essere richiesto il risarcimento dei danni subiti.

Nei casi in cui, invece, le clausole appaiano eccessivamente onerose, sproporzionate o formulate in modo ambiguo, è possibile agire per ottenere la loro revisione o addirittura la dichiarazione di nullità, specialmente se si configura un vizio nella formazione del consenso o uno squilibrio contrattuale non sanabile, come nel caso disciplinato dall’art. 1467 c.c., che consente di chiedere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Una volta accertata la mancanza di un valido corrispettivo o l’inesistenza di un titolo contrattuale valido, è anche possibile richiedere la restituzione delle somme versate senza giustificazione, facendo leva sull’art. 2033 c.c. in materia di ripetizione dell’indebito. Questo rimedio si rivela particolarmente utile nei casi in cui siano stati imposti costi occulti, o quando le prestazioni promesse non siano state mai erogate.

Ma non è sempre necessario ricorrere subito al giudice. Esistono infatti strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie che, oltre a rappresentare un passaggio obbligatorio per poter poi agire in giudizio in determinate materie, consentono spesso di trovare un accordo risolutivo in tempi rapidi e con costi contenuti. Tra questi, la mediazione.

La procedura si svolge dinanzi a un organismo di mediazione accreditato, sotto la guida di un mediatore imparziale, il cui compito è facilitare il dialogo tra le parti. Ciascuna espone le proprie ragioni e proposte, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa che eviti il contenzioso. La mediazione si conclude con un verbale che può contenere un semplice mancato accordo o, in caso di successo, una soluzione condivisa che ha lo stesso valore di una decisione del tribunale, costituendo titolo esecutivo.

In ogni caso, per sostenere efficacemente queste azioni, è essenziale valorizzare ogni prova scritta disponibile. Email, circolari, report, fatture e contratti integrativi possono diventare gli elementi determinanti per dimostrare l’assenza del corrispettivo o l’irregolarità delle clausole economiche. Documentare puntualmente ogni fase del rapporto è quindi una forma di tutela preventiva, ma anche una strategia indispensabile in caso di contenzioso.

Guida per il franchisor: come prevenire contestazioni e tutelare il contratto

Un contratto di franchising solido è quello che resiste alle contestazioni perché è trasparente, proporzionato e documentato. Nel settore immobiliare, dove la fiducia nel marchio è determinante e i margini sono spesso stretti, è essenziale costruire un rapporto duraturo con l’affiliato. 

Per poter garantire tutto questo, è suggeribile adottare delle buone prassi sin da subito. Questo potrebbe non essere sufficiente per evitare ogni rischio legale, ma sicuramente può dare maggiore durata e solidità ai rapporti interni al franchising.

5 buone prassi da adottare subito.

  • Chiarezza delle clausole economiche: indicare con precisione importi, criteri di calcolo, frequenza dei pagamenti e finalità delle fee.
  • Descrizione delle prestazioni offerte: specificare nel contratto cosa giustifica ogni voce di costo (piattaforme digitali, campagne pubblicitarie, formazione, software gestionali).
  • Documentazione precontrattuale completa: rispettare l’obbligo informativo previsto dall’art. 4 della Legge n. 129/2004, presentando schede tecniche, piani di investimento, simulazioni di costi e report di zona.
  • Rendicontazione periodica: inviare all’affiliato report sulle attività svolte con i contributi versati (es. pubblicità, lead generati, traffico al sito).
  • Monitoraggio del rapporto contrattuale: prevedere riunioni periodiche, audit di qualità, canali di dialogo costanti.

Un contratto ben scritto non è solo una protezione legale, ma anche uno strumento di crescita per tutta la rete. In un mercato come quello immobiliare, dove il brand è tutto, la reputazione passa anche dalla correttezza contrattuale.

Inoltre, se il franchisor in futuro vorrà accedere al mercato del capitale di rischio, o addirittura vendere la propria posizione sul mercato, senza queste prassi non sarà possibile superare il vaglio della due diligence.

Conoscere diritti e obblighi, prevenire gli abusi e strutturare una relazione equilibrata è il primo passo per costruire un franchising solido, etico e duraturo.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 30 Maggio 2025

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Gabriele Rossi

Laureato in giurisprudenza, con esperienza nella consulenza legale a imprese, enti e pubbliche amministrazioni.
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