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La battaglia dei paperi: il Tribunale di Milano chiarisce il significato di “appropriazione di pregi altrui”

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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In una recente sentenza, il Tribunale di Milano ha affrontato un caso di contraffazione e concorrenza sleale che ha colpito Save the Duck, azienda nota per il suo impegno animalista. Al centro della controversia, l’utilizzo di marchi giudicati troppo simili, che ha sollevato questioni sulla confondibilità e sulla tutela del marchio, nonché sull’appropriazione indebita dei pregi altrui.

Quando due marchi possono dirsi confondibili?

Una recente sentenza del Tribunale di Milano (n. 6066/2024) ha riaffermato i principi fondamentali in materia di tutela dei marchi e concorrenza sleale, in un caso che ha visto contrapposti Save the Duck Spa e Itinerant Showroom Srl, insieme al suo distributore. Al centro della disputa: l’uso di marchi ritenuti troppo simili a quelli della nota azienda italiana, conosciuta per i suoi capi d’abbigliamento realizzati senza materiali di origine animale.

 

Il tribunale milanese ha affrontato le accuse di contraffazione di marchio e concorrenza sleale. La questione era la confondibilità tra i marchi di Save the Duck, sinonimo di abbigliamento sostenibile, e quelli delle convenute. Il tribunale ha rilevato una violazione chiara e diretta dei diritti di Save the Duck: i marchi utilizzati da Itinerant Showroom e dal suo distributore, pur non essendo identici, erano abbastanza simili da creare un rischio significativo di confusione per i consumatori.

Nell’analisi, il tribunale ha valutato le somiglianze tra i marchi registrati presso l’EUIPO, considerando sia gli elementi denominativi sia quelli figurativi. È emerso che l’uso del nome “Fake Duck” da parte delle convenute, associato alla figura di un papero, evocava direttamente i marchi “Save The Duck”, noti nel mercato per il loro impegno nella protezione degli animali.

L’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale permette al titolare di un marchio di opporsi non solo all’uso di marchi identici, ma anche di segni che possano confondere il pubblico sull’origine dei prodotti o servizi. La giurisprudenza richiede che questo rischio di confusione venga valutato globalmente, sulla base della percezione complessiva del marchio da parte del consumatore medio.

Nel giudizio, il tribunale ha osservato che l’elemento figurativo del papero, anche se stilizzato in modo diverso, era così simile da richiamare immediatamente il marchio di Save the Duck. Inoltre, l’uso del termine “Fake Duck” sembrava mirare a sfruttare la notorietà del marchio di Save the Duck, creando un’associazione indebita e ingannevole.

Cosa si intende per concorrenza sleale per appropriazione di pregi?

Uno degli aspetti centrali della sentenza riguarda la distinzione tra contraffazione e concorrenza sleale per appropriazione di pregi, come definita dall’art. 2598 del Codice Civile. L’art. 2598, n. 2 c.c., disciplina l’appropriazione di pregi, definita dalla giurisprudenza come l’attribuzione di qualità o meriti che non appartengono ai propri prodotti, ma a quelli di un concorrente. L’obiettivo è influenzare la scelta del consumatore, inducendolo a credere che il prodotto o l’impresa godano delle stesse qualità o riconoscimenti di un altro operatore.

Nel caso in esame, Save the Duck accusava le convenute di atti di concorrenza sleale, sostenendo che queste avessero cercato di appropriarsi dei pregi dei suoi prodotti. Tuttavia, il Tribunale rigettava queste accuse, affermando che non era stata fornita prova che le convenute avessero attribuito a sé stesse meriti appartenenti a Save the Duck.

Per configurare un atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, è necessario un uso esplicito di meriti non propri. La sentenza distingue tra appropriazione di pregi e atti di confusione: mentre i secondi derivano da imitazione o copia, la prima riguarda l’uso indebito della reputazione di un altro.

Il Tribunale ha sottolineato che per l’appropriazione di pregi è necessario un inganno specifico che faccia credere al consumatore che un prodotto possieda caratteristiche che non ha. In assenza di tale inganno, come nel caso in esame, non si può parlare di concorrenza sleale per appropriazione di pregi.

La protezione dell’art. 2598, n. 2 c.c. evita che un’impresa benefici ingiustamente della reputazione costruita da un’altra, migliorando la propria posizione competitiva senza merito.

Quando un marchio diventa “decettivo”?

Uno dei punti chiave sollevati dalla difesa delle convenute riguardava la presunta decadenza per decettività dei marchi di titolarità di Save the Duck: tale principio trova il suo fondamento nell’art. 58 del Regolamento UE 2017/1001. Questa norma stabilisce che un marchio dell’Unione Europea può essere dichiarato decaduto se il suo uso è “tale da poter indurre in errore il pubblico“, in particolare sulla natura, qualità o provenienza geografica dei prodotti o servizi.

Nel caso specifico, le convenute hanno sostenuto che il messaggio etico associato al marchio “Save the Duck” – che promuove la protezione degli animali – fosse ingannevole perché i prodotti contrassegnati da tale marchio utilizzano il PET, un materiale sintetico e non biodegradabile, potenzialmente dannoso per l’ambiente. Secondo loro, questo sarebbe in contraddizione con il messaggio etico dell’azienda, inducendo i consumatori a credere erroneamente che i prodotti “Save the Duck” siano completamente ecologici o privi di impatti negativi sull’ambiente.

La Corte ha respinto queste argomentazioni, chiarendo che la decettività di un marchio deve essere valutata in base alla percezione del consumatore medio riguardo alle caratteristiche specifiche dei prodotti, e non su una valutazione soggettiva del messaggio etico dell’azienda. Il Tribunale ha precisato che il marchio “Save the Duck” non inganna i consumatori sulla composizione dei prodotti, poiché il messaggio principale trasmesso è l’assenza di piume d’oca nei capi d’abbigliamento, a favore di materiali sintetici, un messaggio considerato veritiero e non fuorviante.

La normativa comunitaria sulla decettività mira a impedire che un marchio trasmetta informazioni specifiche non corrispondenti alla realtà dei prodotti offerti. Il Tribunale ha sottolineato che il Regolamento UE 2017/1001 richiede che l’inganno sia effettivo o che esista un rischio sufficientemente grave di inganno per giustificare la decadenza del marchio. In questo caso, non è stato riscontrato né un inganno effettivo né un rischio significativo di inganno: il consumatore medio sarebbe pienamente consapevole che i prodotti non contengono piume d’oca, e questo corrisponde esattamente al messaggio veicolato dal marchio.

Risarcimento dei danni e misure riparatorie

Alla luce delle conclusioni raggiunte, e accertata la contraffazione dei marchi, la Corte ha riconosciuto a Save the Duck un risarcimento di 200.000 euro, in conformità con l’art. 125 del Codice di Proprietà Industriale. Questa somma è stata stabilita tenendo conto sia dei danni patrimoniali che non patrimoniali sofferti dall’attrice, nonostante la difficoltà di quantificare con precisione i profitti illeciti ottenuti dalle convenute. Tale difficoltà è emersa a causa della mancata collaborazione delle convenute, che non hanno fornito tutte le prove contabili richieste, complicando il calcolo esatto degli utili realizzati attraverso la commercializzazione dei prodotti contraffatti.

Il Tribunale ha dovuto quindi ricorrere a una valutazione equitativa del danno, un metodo previsto dalla normativa italiana quando le informazioni finanziarie sono incomplete o insufficienti. Questa stima ha considerato l’entità della violazione, l’ampiezza del mercato coinvolto e la reputazione del marchio “Save the Duck”.

Oltre al risarcimento, il Tribunale ha ordinato ulteriori misure per tutelare i diritti di Save the Duck e prevenire future violazioni. Tra queste, il ritiro immediato di tutti i prodotti contraffatti dal mercato, in conformità con l’art. 118 del Codice della Proprietà Industriale, per minimizzare l’impatto sui consumatori e salvaguardare la reputazione del marchio. È stato inoltre disposto il trasferimento del dominio “fake-duck.it” a Save the Duck, ritenendo che il suo utilizzo violasse i diritti di proprietà intellettuale e rischiasse di ingannare ulteriormente i consumatori. La pubblicazione della sentenza su testate come “Il Corriere della Sera” e “Vogue” è stata poi ordinata per informare il pubblico delle violazioni e ridurre il rischio di ulteriore confusione e danni.

Queste misure non solo compensano il danno subito, ma fungono anche da deterrente contro future infrazioni, proteggendo così l’integrità del mercato e garantendo una competizione leale tra imprese.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 4 Settembre 2024

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale
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