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Il franchising è una formula imprenditoriale che ha conosciuto e seguita a far registrare una consistente diffusione in Italia, offrendo vantaggi sia per chi ha un marchio consolidato da fare espandere, sia per chi desidera avviare un’attività in proprio affiliandosi a un brand già riconosciuto. Ma quanto è necessario investire per iniziare? Scopriamolo insieme attraverso un’analisi dettagliata.
Nel mondo del franchising, avere una visione chiara degli investimenti iniziali è fondamentale. Il nostro studio legale, con anni di esperienza talora al fianco di franchisor, talora invece assistendo gli affiliati, ha notato che la comprensione di questi costi è spesso la chiave per una collaborazione di successo.
Avviare un punto vendita in franchising comporta diversi impegni finanziari per l’affiliato. Eccone alcuni:
Il bello del franchising è che, nonostante l’impegno finanziario iniziale, l’affiliato beneficia del valore e della notorietà di un marchio già consolidato. Questo, in pratica, si traduce in una partenza facilitata nel mondo imprenditoriale.
Il franchisor (affiliante), inoltre, offre un supporto essenziale: dalla formazione alla gestione, dai sistemi operativi alla strategia di marketing. In molti casi, l’affiliato beneficia anche di condizioni di acquisto delle merci più vantaggiose, grazie al maggiore potere d’acquisto del franchisor nei confronti dei terzi.
In sostanza, se da un lato l’avvio di un’attività in franchising comporta dei costi non trascurabili, dall’altro offre una “rete di sicurezza” e un “trampolino di lancio” associati alla reputazione e alla forza del marchio affiliante. Ma, come sempre, è essenziale procedere con gli occhi bene aperti, avvalendosi – quando necessario – di un’assistenza legale qualificata come quella che il nostro studio può offrire, al fine di vagliare attentamente l’offerta del franchisor.
Affiliarsi a un marchio comporta, oltre alle spese dirette menzionate nel paragrafo precedente, anche un investimento legato all’affiliazione stessa.
L’affiliante paga di prassi una “entrance fee” e delle “royalties” periodiche. A volte, il franchisor non domanda espressamente delle royalties perché il franchisor si limita a richiedere un corrispettivo per l’approvvigionamento delle merci (un c.d. acquisto minimo).
In cambio, l’affiliato riceve:
Proprio in questo senso, l’art. 3 comma 4 della Legge sul Franchising prevede che il contratto di franchising deve specificare:
“a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;
c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.”.
È chiaro che il contenuto, definito dalla legge, del contratto di franchising è volto a chiarire i termini dello scambio, quello che giuridicamente viene definito sinallagma.
Nonostante ambo le parti siano necessariamente imprenditori, è evidente come una delle due sappia molte più cose dell’altra (c.d. gap informativo), quantomeno nella fase iniziale del rapporto. Per sopperire a questo disequilibrio, la legge interviene tutelando l’affiliato e imponendo alcuni obblighi in capo al franchisor. Vediamo quali.
La legge offre specifiche tutele per gli affiliati. Una di queste tutele è data dall’obbligo per l’affiliante di fornire all’aspirante affiliato materiale informativo adeguato sul business almeno 30 (trenta) giorni prima della sottoscrizione del contratto di franchising come previsto dall’art. 4 della Legge sul Franchising italiana.
In merito agli obblighi dell’affiliante, infatti, l’art. 4 della Legge sul Franchising prevede testualmente che: “Almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale l’affiliante deve consegnare all’aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato dei seguenti allegati, ad eccezione di quelli per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza, che comunque dovranno essere citati nel contratto:
Questa disposizione garantisce che l’affiliato, muovendosi con prudenza, possa avere un quadro chiaro e completo dell’investimento proposto, compresi gli aspetti legati ai bilanci, ai marchi, ai punti vendita e ad eventuali controversie legali dell’affiliante.
È chiaro che starà poi al futuro affiliato l’onere di essere prudente e, se non riesce a far da solo, di far esaminare “le carte” a consulenti esperti per capire se… il gioco vale la candela. Veniamo però al business plan vero e proprio.
Molti contratti di franchising includono o fanno riferimento a un ipotetico “business plan” fornito dal franchisor. Talora detto business plan viene addirittura allegato al contratto o, comunque, trasmesso dal franchisor all’affiliato prima della sottoscrizione. Questo documento è di vitale importanza perché riflette indirettamente le aspettative economiche dell’affiliato e fornisce una visione chiara dei possibili ritorni sull’investimento operato dall’affiliato.
Tuttavia, l’unico a poter stilare un business plan vero e proprio non è l’affiliante, bensì l’affiliato stesso (che sarà responsabile del proprio operato commerciale), e la documentazione sottopostagli dal franchisor non può che essere considerata un supporto informativo da parte di quest’ultimo.
È fondamentale che il business plan sia basato su informazioni veritiere e realistiche, così come tutte le altre informazioni offerte dal franchisor, altrimenti potrebbero falsare la valutazione dell’aspirante affiliato e condurre in una direzione errata. Dichiarazioni false o ingannevoli del franchisor possono viziare la volontà contrattuale dell’affiliante configurandosi come dichiarazioni mendaci o comunque violando il principio della buona fede precontrattuale.
Ecco alcune domande utili da tenere a mente:
L’affiliazione commerciale coinvolge sempre due imprenditori, ciascuno responsabile della sua propria condotta. Sebbene entrambe le parti debbano operare per legge in buona fede, poiché l’affiliato è spesso la parte più “debole” del rapporto, la legge lo tutela maggiormente – come abbiamo visto – obbligando il franchisor a mettere a disposizione dell’affiliato informazioni essenziali per ponderare al meglio l’investimento.
Sarà tuttavia onere dell’affiliato analizzare le clausole del contratto per capire concretamente cosa potrà aspettarsi realisticamente dall’affiliazione commerciale.
L’intervento di uno studio legale esperto in materia dovrebbe essere richiesto all’inizio della collaborazione per fugare preventivamente eventuali dubbi. Meglio agire per tempo piuttosto che dover reagire legalmente in un momento successivo. Prevenire è “più economico” che curare una situazione patologica attraverso un’azione legale.
Tuttavia, in caso di abusi da parte del franchisor, sarà sempre possibile far valere i propri diritti poiché spesso gli abusi colpiscono l’intera rete, e quando vengono imposte norme contrattuali che violano norme pubblicistiche (ad esempio l’imposizione del prezzo al pubblico o altri illeciti concorrenziali con rilievo antitrust) anche il singolo affiliato può reagire con successo e migliorare la propria condizione contrattuale.
Avvocato Arlo Canella