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Twitter, politica e diffamazione: l’ord 13411/2023 della Corte di Cassazione

Pubblicato in: Contenziosi e Risarcimenti
di Arlo Canella
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In un’epoca dominata dai social media, dove l’informazione viaggia alla velocità della luce, il confine tra diritto di critica e diffamazione può risultare sfumato. Recentemente, l’Ordinanza n. 13411/2023 della Corte di Cassazione ha affrontato questa tematica in modo diretto, facendoci riflettere sul ruolo e le responsabilità di politici e utenti di piattaforme come Twitter. In questo articolo, ci concentreremo sull’analisi del caso e sulle sue potenziali implicazioni per la libertà di espressione sul web.

Il caso: l’ex senatore che diffamò la Consob

Il caso in esame coinvolge un ex Senatore della Repubblica, accusato di aver orchestrato una campagna denigratoria contro la Consob su Twitter. I suoi tweet erano volti a suscitare dubbi sull’operato dell’ente, insinuando una connivenza con alcuni operatori finanziari per favorire soggetti vigilati coinvolti in gravi illeciti.

Successivamente, la Consob ha avviato un’azione legale contro il Senatore, ottenendo dal Tribunale di Roma una condanna al risarcimento per diffamazione. Tuttavia, l’ex Senatore ha contestato la sentenza in sede d’appello, sostenendo che le sue affermazioni fossero state estrapolate dal contesto e fossero parte del diritto di critica.

Nonostante le obiezioni dell’ex Senatore, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza, condannandolo al pagamento di un risarcimento di 15.000 euro, oltre agli interessi. In risposta, l’ex Senatore ha presentato un ricorso per cassazione.

Critica, satira o diffamazione?

L’Ordinanza n. 13411 della Corte di Cassazione ha respinto l’idea che la natura concisa e immediata dei social media, in particolare Twitter, possa legittimare una valutazione meno rigorosa rispetto ai limiti del diritto di critica. In altre parole, l’uso di Twitter non esime l’utente dal rispettare le regole di correttezza e rispetto altrui. 

Come sottolineato dai Giudici: “anche e proprio all’uso di una piattaforma come twitter, o altre equivalenti, va correlato il limite intrinseco del giudizio che si posta in condivisione, il quale, come ogni giudizio, non può andar disgiunto dal contenuto che lo contraddistingue e dalla forma espressiva, soprattutto perché tradotto in breve messaggio di testo, per sua natura assertivo o scarsamente motivato.

Gli Ermellini hanno poi richiamato l’attenzione sulla satira: “occorre ricordare che finanche la satira – che pur costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, al punto da esser sottratta, nel paradosso della narrazione, anche all’obbligo di riferire fatti veri – resta soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito (cfr. Cass. Sez. 1 n. 6919-18).

Questo rafforza l’idea che le norme sulla responsabilità civile e penale, sancite rispettivamente dall’art. 2043 del codice civile e dal 595 del codice penale, che si tratti di frasi brevi oppure no, si applicano anche a social media come Twitter. 

Tuttavia, resta la questione di come valutare concretamente un contenuto potenzialmente diffamatorio nell’ambito di un dibattito politico.

Il diritto di critica nel dibattito politico

La Corte ha ricordato che l’accertamento della capacità diffamatoria delle espressioni contestate non rientra nel giudizio di legittimità, ma è riservato al giudice di merito. Tuttavia, il fatto che la Cassazione abbia ritenuto del tutto irrilevante l’attività politica del ricorrente apre alcune riflessioni sulle implicazioni future della pronuncia.

L’attività politica, infatti, di norma consente l’uso di toni più aspri e critici rispetto ai rapporti privati, ma la Corte ha colto l’occasione per ribadire che il diritto di critica è comunque condizionato dal rispetto dei limiti di correttezza formale e di non eccedenza rispetto all’interesse pubblico.La sentenza ribadisce che: “il legittimo esercizio del diritto di critica – anche in ambito latamente politico – sebbene consenta il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati, è pur sempre condizionato dal limite della continenza intesa come correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (v. Cass. Sez. 3 n. 11767-22, Cass. Sez. 3 n. 841-15).

L’impronta della Cassazione sui social media e sull’hate speech

In conclusione, né l’utilizzo dei social media, né la brevità del tweet o il ruolo politico svolto possono escludere le responsabilità derivanti dalla diffamazione.

Questa sentenza potrebbe avere un impatto sul contrasto a fenomeni come il cyberbullismo e l’hate speech in Italia. La libertà di espressione, anche su piattaforme come Twitter, non può essere considerata un lasciapassare per violare il rispetto della dignità altrui. La condanna per diffamazione confermata in questo caso suggerisce che chi diffonde messaggi diffamatori o denigratori dovrebbe temere di essere ritenuto responsabile per le proprie azioni, indipendentemente dall’ambito (personale, politico, ecc.) in cui i messaggi vengono diffusi.

La pronuncia potrebbe dunque incoraggiare le parti lese a confidare maggiormente nel ricorso all’azione legale nei casi di cyberbullismo e hate speech. La Cassazione ha dato un segnale chiaro: il comportamento denigratorio online non verrà tollerato. Il precedente potrebbe inoltre fungere da deterrente per coloro che sono tentati di utilizzare i social media in modo speculativo, cavalcando l’odio anche – e forse soprattutto – in ambito politico.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 7 Giugno 2023
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023
Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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