Questa è, pressoché letteralmente, la conclusione in diritto (in realtà attesa dagli addetti ai lavori) a cui è giunta la Grande Sezione della Corte di Giustizia in data 13 novembre 2018, con la sentenza che ha messo la parola fine alla causa C-310/17 (Levola Hengelo BV vs. Smilde Foods BV).
La decisione riprende, in buona sostanza, quelle che erano state le conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet, presentate il 25 luglio 2018.
Venendo allo specifico della vertenza, si trattava di decidere – alla stregua delle norme che tutelano il Diritto d’Autore – se potesse essere considerato opera (meritevole di protezione) il sapore di un alimento, per la precisione il gusto del HEKS’NKAAS®, un formaggio olandese spalmabile a base di panna fresca ed erbe aromatiche (creato nel 2007 da un commerciante olandese di prodotti ortofrutticoli e prodotti freschi).
L’attuale titolare dei diritti sull’HEKS’NKAAS® scoprì che, dal 2014, la società di diritto olandese Smilde Foods BV (“Smilde”) aveva cominciato a produrre un alimento denominato WITTE WIEVENKAAS, commercializzato da una catena di supermercati nei Paesi Bassi.
La tesi della Levola Hengelo BV (“Levola”) poggiava su postulati piuttosto semplici:
– il sapore dell’HEKS’NKAAS® costituisce un’opera tutelata dal Diritto d’Autore;
– il sapore del WITTE WIEVENKAAS costituisce plagio di tale opera.
Sulla scorta di tali assunti, la Levola citava la Smilde davanti al Giudice olandese per violazione del Diritto d’Autore: in prima istanza, le tesi attoree venivano respinte. Chiamato a pronunciarsi in sede di appello su tale controversia, il Gerechtshof Arnhem-Leeuwarden (Corte d’Appello di Arnhem-Leeuwarden, Paesi Bassi) decideva di investire della decisione la Corte di Giustizia, chiamandola a pronunciarsi – in diritto – sulla questione se il sapore di un alimento possa beneficiare della tutela autoriale.
Nella sentenza in esame, la Corte sottolinea che, per essere tutelato dal Diritto d’Autore a norma della Direttiva di riferimento, il sapore di un alimento deve in primo luogo poter essere qualificato come «opera», ovvero deve trattarsi di una creazione intellettuale originale; in secondo luogo, ricordata la nozione di opera dell’ingegno risultante dalla Convenzione di Berna e dal Trattato WIPO sul Diritto d’Autore, la Corte sottolinea che tale creazione dovrà avere un’«espressione» che renda l’opera «identificabile con sufficiente precisione e obiettività», anche se non necessariamente in forma permanente (una inequivocabilità espressiva finalizzata a soddisfare evidenti esigenze di certezza del diritto e di affidamento dei terzi, competitor e consumatori).
La Corte, correttamente, prosegue affermando che, contrariamente alle opere di altro tipo (letterarie, musicali, architettoniche, eccetera), manca nel sapore di un alimento l’univoca identificabilità richiesta dalla normativa in vigore, poiché il sapore dipende troppo da sensazioni ed esperienze gustative inevitabilmente soggettive e variabili (sia per fattori legati al soggetti che assaggia, quali per esempio l’età e le preferenze alimentari; sia in virtù del contesto in cui il prodotto è consumato). La Corte, inoltre, non manca di rilevare come lo stato attuale della tecnica manchi dei mezzi per giungere a un’identificazione precisa e obiettiva del sapore.
Per gli addetti ai lavori è facile (e fondato) trovare analogia con lo stesso procedimento argomentativo che – dopo un primo, celebre “errore” (the smell of fresh cut grass) – aveva portato l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO) ad escludere, almeno per ora, la registrabilità come marchio dei profumi.
Tutto corretto, sia chiaro: le argomentazioni della Corte di Giustizia non fanno una piega. Eppure chi scrive, lungi dall’essere un “collettivista”, si domanda se non sia anche il caso di andare un pochino oltre lo stretto diritto, affermando forte e chiaro che ci sono elementi che non solo non sono attualmente, ma non possono e non devono diventare appropriabili da parte dei singoli, foss’anche in virtù di un diritto d’esclusiva di durata assai limitato nel tempo. Almeno per me, i sapori devono senz’altro rimanere (potenzialmente) di pubblico dominio. Non vedo, onestamente, benefici per la comunità sufficientemente compensativi nel caso di un assetto normativo di segno contrario.
Non preoccupatevi: i grandi chef e, in generale, tutti gli “artisti” del settore seguiteranno nelle loro ricerche finalizzate a estasiare il pubblico, potendo comunque stare relativamente tranquilli: anche in assenza della protezione offerta dalla normativa sul Diritto d’Autore, potranno sempre contare su professionisti (noi di Canella Camaiora in primis) in grado di mettere a loro disposizione le armi del segreto industriale (cfr. Coca-Cola®), degli accordi di riservatezza, del design (cfr. il particolare impiattamento delle pietanze) e molto altro.
Avvocato Daniele Camaiora