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Marchi registrati in malafede: casi pratici, rischi legali e possibili sanzioni

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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Il concetto di malafede nelle domande di marchio è al centro di molte controversie legali. Questo articolo esplora cosa si intende per malafede, come viene valutata dalle autorità e quali sono le conseguenze legali di una domanda presentata con intenzioni disoneste. Attraverso esempi concreti tratti dalla giurisprudenza europea, vengono analizzati i comportamenti che possono portare alla cancellazione del marchio e a sanzioni economiche.

Cos’è la malafede nelle domande di marchio?

La malafede è un concetto centrale ma complesso nel diritto dei marchi, in particolare per quanto riguarda le domande di registrazione. Sebbene la normativa europea non offra una definizione chiara e univoca di malafede, la giurisprudenza ha contribuito a delineare i confini di questo concetto. In generale, una domanda di marchio è considerata presentata in malafede quando l’intenzione del richiedente non è onesta, ma è motivata da un intento scorretto o, comunque, discutibile.

Il diritto dei marchi ha lo scopo di proteggere i segni distintivi delle imprese e garantire che essi svolgano correttamente la loro funzione di identificare l’origine dei beni o servizi. Tuttavia, quando un richiedente tenta di registrare un marchio per motivi che non rispettano questa funzione essenziale – ad esempio, per bloccare un concorrente o ottenere un vantaggio sleale – si entra nel territorio della malafede.

Secondo le linee guida sviluppate attraverso il Network della Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea (EUIPN), il cuore della valutazione della malafede si basa sulla “intenzione disonesta” del richiedente. Questa intenzione viene stabilita attraverso una serie di prove oggettive e circostanze concrete che devono essere analizzate caso per caso. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha chiarito che la malafede presuppone una motivazione soggettiva da parte del richiedente, ovvero l’intenzione di agire in modo contrario alla buona fede e all’uso corretto del marchio.

In questo senso, è importante sottolineare che la malafede non si limita a casi di concorrenza sleale o conflitti tra titolari di marchi (l’appropriazione indebita dei diritti di terzi). Può essere riscontrata anche in situazioni in cui il richiedente non ha alcuna intenzione di usare effettivamente il marchio, ma lo registra per scopi diversi da quelli legittimi, come abusare del sistema di registrazione. Questi comportamenti distorcono la funzione del marchio e sono considerati contrari all’etica commerciale.

Come si valuta la malafede nelle domande di marchio?

Valutare la malafede in una domanda di marchio è un processo complesso che richiede l’analisi di molteplici fattori oggettivi e soggettivi. Uno dei principi cardine che guidano questa valutazione è la presunzione di buona fede: il richiedente, fino a prova contraria, viene considerato in buona fede. Tuttavia, se emergono elementi che suggeriscono il contrario, spetta al richiedente confutare tali prove prima che si giunga a una conclusione sull’esistenza della malafede

Anche se eventuali eventi successivi o fatti precedenti possono essere rilevanti per determinare lo scopo reale del richiedente, il momento critico per l’analisi rimane quello della presentazione della domanda.

Nel valutare la malafede, le autorità -oltre a esaminare il fattore obbligatorio della “intenzione disonesta”-, esaminano  altri fattori, questa volta non obbligatori, che possono variare a seconda delle circostanze. Tra i principali troviamo:

  • Conoscenza o presunta conoscenza da parte del richiedente dell’esistenza di un diritto anteriore identico o simile da parte di un terzo. Se il richiedente era a conoscenza del diritto di un terzo e ha comunque presentato la domanda, ciò può indicare malafede.
  • Una relazione commerciale o personale tra il richiedente e il titolare di un diritto precedente, ad esempio, potrebbe indicare che la domanda è stata presentata con l’intento di danneggiare o bloccare il terzo.
  • L’analisi delle circostanze di fatto che hanno portato alla creazione e alla registrazione del marchio può essere utile per capire se vi siano tali elementi di abuso.

Se non esiste una giustificazione commerciale chiara e legittima, la domanda potrebbe essere considerata sospetta.

La giurisprudenza europea sottolinea l’importanza di una valutazione caso per caso della malafede, basata su prove concrete e oggettive. È fondamentale quindi raccogliere il maggior numero possibile di prove, inclusi documenti, testimonianze e comportamenti del richiedente, che possano dimostrare l’intenzione disonesta o il tentativo di abuso del sistema di marchi.

Esempi pratici: quando una domanda di marchio viene considerata in malafede?

La giurisprudenza dell’Unione Europea ha fornito numerosi esempi concreti di casi in cui una domanda di marchio è stata considerata presentata in malafede. Di seguito, solo alcuni dei casi più noti e rilevanti.

I coniglietti dorati della Lindt (C-529/07.)

Lindt ha intentato un’azione per contraffazione di marchio contro Hauswirth dinanzi ai tribunali 

austriaci, sostenendo che l’uso da parte di Hauswirth di coniglietti simili violava il suo marchio registrato. Hauswirth ha contestato la validità del marchio di Lindt, sostenendo che era stato registrato in malafede ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario (ora sostituito dal Regolamento (UE) 2017/1001).

Il caso è giunto alla Corte Suprema austriaca (Oberster Gerichtshof), che ha rinviato alcune questioni pregiudiziali alla CGUE per chiarire l’interpretazione del concetto di malafede nella registrazione dei marchi.

Nella sentenza dell’11 giugno 2009, la CGUE ha stabilito che, per determinare se il richiedente di un marchio ha agito in malafede al momento del deposito della domanda, il giudice nazionale deve effettuare una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti specifici del caso. La Corte ha indicato tre criteri chiave da considerare:

  • Conoscenza dell’uso da parte di terzi – Se il richiedente sapeva o avrebbe dovuto sapere che un terzo stava già utilizzando un segno identico o simile per prodotti identici o simili, suscettibili di creare confusione con il marchio richiesto.
  • Intenzione di impedire l’uso altrui – Se il richiedente aveva l’intenzione di impedire a tali terzi di continuare ad utilizzare tale segno, non per proteggere i propri interessi legittimi, ma per limitare la concorrenza in modo sleale.
  • Grado di tutela giuridica dei segni coinvolti – Il livello di protezione legale di cui godono sia il segno del terzo sia il segno per cui viene richiesta la registrazione.

Dopo la pronuncia della CGUE, il caso è tornato alla Corte Suprema austriaca per una decisione finale. Applicando i criteri stabiliti dalla Corte, il giudice nazionale ha concluso che Lindt non aveva agito in malafede nella registrazione del marchio. Le motivazioni principali sono state:

  1. Lindt aveva investito notevolmente nello sviluppo e nella promozione del suo coniglietto “Goldhase”, acquisendo una distintività sul mercato.
  2. Non è emersa prova sufficiente che Lindt avesse l’intenzione di danneggiare ingiustamente i concorrenti o di escluderli dal mercato in modo sleale.
  3. Nonostante le somiglianze, i coniglietti di Lindt e di Hauswirth presentavano differenze sufficienti nei dettagli e nell’aspetto, riducendo il rischio di confusione tra i consumatori.

Di conseguenza, la Corte ha stabilito che il marchio di Lindt era valido, ma ha anche riconosciuto che l’uso da parte di Hauswirth dei suoi coniglietti non costituiva una violazione del marchio. Hauswirth poteva quindi continuare a produrre e vendere i suoi coniglietti di cioccolato.

Violazione di una relazione fiduciaria – Caso Koton (C-104/18.)

Un altro esempio significativo è il caso tra Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret AŞ e l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO). Koton, azienda turca nel settore dell’abbigliamento, aveva registrato il marchio “KOTON” in vari Paesi per prodotti di abbigliamento e servizi correlati. Un ex partner commerciale di Koton ha registrato il marchio “STYLO & KOTON” per servizi di trasporto e logistica nella Classe 39 della Classificazione di Nizza. Koton ha presentato un’azione per annullare il marchio dell’ex partner, sostenendo che quest’ultimo aveva agito in malafede ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 207/2009 sul marchio comunitario (ora sostituito dal Regolamento (UE) 2017/1001).

Il caso è giunto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che doveva stabilire se la malafede potesse essere riconosciuta anche in assenza di un rischio di confusione diretto tra i marchi o dell’uso precedente di un segno simile da parte di un terzo.

Nella sentenza del 12 settembre 2019, la CGUE ha stabilito che, per determinare se il richiedente di un marchio ha agito in malafede al momento del deposito della domanda, il giudice nazionale deve effettuare una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti specifici del caso. La Corte ha sottolineato che:

  • La malafede può essere riconosciuta se il richiedente ha agito con l’intenzione di danneggiare un concorrente o di ottenere un vantaggio indebito.
  • L’esistenza di una relazione commerciale o fiduciaria precedente può indicare che la registrazione è stata fatta in malafede.
  • Se il richiedente non ha una motivazione commerciale legittima per la registrazione del marchio.

La CGUE ha annullato le decisioni precedenti che avevano respinto la domanda di Koton, affermando che il concetto di malafede non richiede necessariamente l’esistenza di un rischio di confusione o l’uso precedente di un segno simile. Il caso è stato rinviato all’EUIPO per una nuova valutazione secondo i criteri stabiliti dalla Corte.

Le c.d. registrazioni difensive – Caso Pelikan (T-136/11)

Pelikan, nota per i prodotti di cancelleria, aveva registrato il marchio figurativo “Pelikan” per una vasta gamma di prodotti e servizi, inclusi quelli nelle Classi 35 e 39 della Classificazione di Nizza, che riguardano rispettivamente servizi pubblicitari e commerciali, e servizi di trasporto e logistica.

Una società slovacca, operante nel settore dei viaggi online, aveva presentato una domanda di nullità contro il marchio di Pelikan per le Classi 35 e 39, sostenendo che Pelikan avesse agito in malafede ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 207/2009 sul marchio comunitario, poiché aveva registrato nuovamente il proprio marchio per evitare la decadenza per non uso dei marchi precedenti, una pratica che, a suo avviso, era scorretta.

Nel Giudizio del Tribunale dell’Unione Europea del 13 dicembre 2012 (Caso T-136/11), il Tribunale ha stabilito che:

  • Le prove e i fatti del caso hanno dimostrato che il marchio contestato è stato depositato in occasione del 125º anniversario della creazione del marchio “Pelikan”. La società ha deciso di modernizzare il marchio e di presentare una nuova domanda per questa versione aggiornata.
  • Il marchio contestato copriva un elenco aggiornato di servizi, riflettendo l’evoluzione delle attività commerciali di Pelikan.
  • Il Tribunale ha concluso che vi era una logica commerciale onesta dietro il deposito del marchio, escludendo così la possibilità di malafede da parte di Pelikan al momento del deposito.

Il Tribunale ha respinto l’accusa di malafede, ritenendo che Pelikan non avesse agito con intenzioni disoneste nel registrare nuovamente il proprio marchio per le Classi 35 e 39. Non essendoci prove di un intento abusivo o di un tentativo di aggirare le normative sulla decadenza, la malafede non è stata riscontrata. Sebbene, nel caso Pelikan, non sia stata riscontrata la malafede, ciò ci porta a riflettere sul tema delle c.d. logiche di accaparramento che potrebbero celarsi dietro alcune prassi diffuse e messe in atto dalle multinazionali.

Re-filing o ri-deposito di marchi – Caso SKY (C-371/18.)

Il caso coinvolge Sky plc e le sue affiliate (collettivamente “Sky”) contro SkyKick UK Ltd e SkyKick Inc (collettivamente “SkyKick”). Sky, noto fornitore di servizi televisivi e di telecomunicazioni, è titolare di marchi che includono la parola “Sky”, registrati per una vasta gamma di beni e servizi.

Sky ha accusato SkyKick di violazione dei propri marchi, poiché SkyKick utilizzava il termine “SkyKick” per servizi di migrazione e gestione cloud, causando confusione con i marchi di Sky.

SkyKick ha contestato la validità dei marchi di Sky, sostenendo che:

  • Le specifiche dei beni e servizi per cui i marchi di Sky erano registrati erano troppo generiche, in particolare termini come “software per computer”, rendendo difficile determinare l’ambito di protezione.
  • Sky aveva registrato i marchi senza l’intenzione di usarli per tutti i beni e servizi elencati, agendo quindi in malafede

Nella sentenza del 29 gennaio 2020 (Caso C-371/18), la CGUE ha stabilito che:

1. Un marchio non può essere dichiarato invalido solo perché le specifiche dei beni o servizi mancano di chiarezza e precisione. Pertanto, termini generici come “software per computer” non portano all’invalidità del marchio per questa ragione.

2. La registrazione di un marchio senza l’intenzione di usarlo per i beni o servizi specificati può costituire malafede se il richiedente aveva l’intenzione di:                             

  • Danneggiare gli interessi di terzi in modo non conforme alle pratiche commerciali leali, o
  • Ottenere un diritto esclusivo per scopi estranei alle funzioni del marchio, in particolare la funzione essenziale di indicare l’origine dei prodotti o servizi.
  • Se la malafede riguarda solo alcuni dei beni o servizi specificati, il marchio può essere dichiarato parzialmente invalido, limitatamente a quei beni o servizi. Questo significa che il marchio rimane valido per le categorie per le quali esisteva una genuina intenzione di uso.

La sentenza ha chiarito che, sebbene la malafede possa portare all’invalidità di un marchio, tale invalidità può essere limitata ai beni o servizi specifici per i quali è stata riscontrata. Ciò introduce la possibilità di una cancellazione parziale a causa di malafede

Le conseguenze delle domande di marchio in malafede

Quando viene accertata la malafede in una domanda di marchio, le sanzioni possono essere di vario tipo. La cancellazione del marchio è la misura principale: può essere totale, riguardando tutti i prodotti o servizi coperti dal marchio contestato, oppure parziale, limitata ai beni o servizi per cui si è dimostrato l’intento disonesto. Questo tipo di cancellazione parziale è stato affermato, ad esempio, nel noto caso SKY (C-371/18), dove la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la cancellazione poteva limitarsi ai prodotti o servizi per i quali l’uso effettivo del marchio non era dimostrato o il deposito era strumentale.

Un altro esempio significativo riguarda il caso “Copernicus-Trademarks Ltd contro Maquet GmbH” (T-82/14), dove  il Tribunale dell’Unione Europea  ha confermato che una strategia di deposito ripetuto di marchi nazionali (la cosiddetta chaining) per bloccare potenziali concorrenti costituisce un abuso del sistema dei marchi. In quel caso, la domanda di marchio “LUCEO” era stata utilizzata in modo speculativo, senza l’intenzione di utilizzarla nel commercio, ma piuttosto per creare un blocco.

Oltre alla cancellazione, una domanda di marchio in malafede può portare a sanzioni economiche. Nel caso in cui il marchio sia stato usato per bloccare o danneggiare i concorrenti, il richiedente può essere chiamato a risarcire i danni a seguito dell’accertamento dell’illecito.

Infine, un’altra conseguenza importante riguarda la reputazione aziendale. La malafede, se accertata, può seriamente compromettere la credibilità di un’azienda sul mercato, portando a ripercussioni non solo legali ma anche commerciali, soprattutto quando il caso viene reso pubblico.

Le sanzioni per tali pratiche vanno dalla cancellazione del marchio, totale o parziale, fino a risarcimenti economici e danni reputazionali. Forse più di altri, i casi di deposito in mala fede, sono tra i più complessi da analizzare, ma ci danno meglio di altri la possibilità di analizzare a fondo la ratio più profonda dei legittimi diritti di marchio e la funzione di questo istituto.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 22 Ottobre 2024
Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre 2024

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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