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Il concetto di malafede nelle domande di marchio è al centro di molte controversie legali. Questo articolo esplora cosa si intende per malafede, come viene valutata dalle autorità e quali sono le conseguenze legali di una domanda presentata con intenzioni disoneste. Attraverso esempi concreti tratti dalla giurisprudenza europea, vengono analizzati i comportamenti che possono portare alla cancellazione del marchio e a sanzioni economiche.
La malafede è un concetto centrale ma complesso nel diritto dei marchi, in particolare per quanto riguarda le domande di registrazione. Sebbene la normativa europea non offra una definizione chiara e univoca di malafede, la giurisprudenza ha contribuito a delineare i confini di questo concetto. In generale, una domanda di marchio è considerata presentata in malafede quando l’intenzione del richiedente non è onesta, ma è motivata da un intento scorretto o, comunque, discutibile.
Il diritto dei marchi ha lo scopo di proteggere i segni distintivi delle imprese e garantire che essi svolgano correttamente la loro funzione di identificare l’origine dei beni o servizi. Tuttavia, quando un richiedente tenta di registrare un marchio per motivi che non rispettano questa funzione essenziale – ad esempio, per bloccare un concorrente o ottenere un vantaggio sleale – si entra nel territorio della malafede.
Secondo le linee guida sviluppate attraverso il Network della Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea (EUIPN), il cuore della valutazione della malafede si basa sulla “intenzione disonesta” del richiedente. Questa intenzione viene stabilita attraverso una serie di prove oggettive e circostanze concrete che devono essere analizzate caso per caso. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha chiarito che la malafede presuppone una motivazione soggettiva da parte del richiedente, ovvero l’intenzione di agire in modo contrario alla buona fede e all’uso corretto del marchio.
In questo senso, è importante sottolineare che la malafede non si limita a casi di concorrenza sleale o conflitti tra titolari di marchi (l’appropriazione indebita dei diritti di terzi). Può essere riscontrata anche in situazioni in cui il richiedente non ha alcuna intenzione di usare effettivamente il marchio, ma lo registra per scopi diversi da quelli legittimi, come abusare del sistema di registrazione. Questi comportamenti distorcono la funzione del marchio e sono considerati contrari all’etica commerciale.
Valutare la malafede in una domanda di marchio è un processo complesso che richiede l’analisi di molteplici fattori oggettivi e soggettivi. Uno dei principi cardine che guidano questa valutazione è la presunzione di buona fede: il richiedente, fino a prova contraria, viene considerato in buona fede. Tuttavia, se emergono elementi che suggeriscono il contrario, spetta al richiedente confutare tali prove prima che si giunga a una conclusione sull’esistenza della malafede
Anche se eventuali eventi successivi o fatti precedenti possono essere rilevanti per determinare lo scopo reale del richiedente, il momento critico per l’analisi rimane quello della presentazione della domanda.
Nel valutare la malafede, le autorità -oltre a esaminare il fattore obbligatorio della “intenzione disonesta”-, esaminano altri fattori, questa volta non obbligatori, che possono variare a seconda delle circostanze. Tra i principali troviamo:
Se non esiste una giustificazione commerciale chiara e legittima, la domanda potrebbe essere considerata sospetta.
La giurisprudenza europea sottolinea l’importanza di una valutazione caso per caso della malafede, basata su prove concrete e oggettive. È fondamentale quindi raccogliere il maggior numero possibile di prove, inclusi documenti, testimonianze e comportamenti del richiedente, che possano dimostrare l’intenzione disonesta o il tentativo di abuso del sistema di marchi.
La giurisprudenza dell’Unione Europea ha fornito numerosi esempi concreti di casi in cui una domanda di marchio è stata considerata presentata in malafede. Di seguito, solo alcuni dei casi più noti e rilevanti.
I coniglietti dorati della Lindt (C-529/07.)
Lindt ha intentato un’azione per contraffazione di marchio contro Hauswirth dinanzi ai tribunali
austriaci, sostenendo che l’uso da parte di Hauswirth di coniglietti simili violava il suo marchio registrato. Hauswirth ha contestato la validità del marchio di Lindt, sostenendo che era stato registrato in malafede ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario (ora sostituito dal Regolamento (UE) 2017/1001).
Il caso è giunto alla Corte Suprema austriaca (Oberster Gerichtshof), che ha rinviato alcune questioni pregiudiziali alla CGUE per chiarire l’interpretazione del concetto di malafede nella registrazione dei marchi.
Nella sentenza dell’11 giugno 2009, la CGUE ha stabilito che, per determinare se il richiedente di un marchio ha agito in malafede al momento del deposito della domanda, il giudice nazionale deve effettuare una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti specifici del caso. La Corte ha indicato tre criteri chiave da considerare:
Dopo la pronuncia della CGUE, il caso è tornato alla Corte Suprema austriaca per una decisione finale. Applicando i criteri stabiliti dalla Corte, il giudice nazionale ha concluso che Lindt non aveva agito in malafede nella registrazione del marchio. Le motivazioni principali sono state:
Di conseguenza, la Corte ha stabilito che il marchio di Lindt era valido, ma ha anche riconosciuto che l’uso da parte di Hauswirth dei suoi coniglietti non costituiva una violazione del marchio. Hauswirth poteva quindi continuare a produrre e vendere i suoi coniglietti di cioccolato.
Violazione di una relazione fiduciaria – Caso Koton (C-104/18.)
Un altro esempio significativo è il caso tra Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret AŞ e l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO). Koton, azienda turca nel settore dell’abbigliamento, aveva registrato il marchio “KOTON” in vari Paesi per prodotti di abbigliamento e servizi correlati. Un ex partner commerciale di Koton ha registrato il marchio “STYLO & KOTON” per servizi di trasporto e logistica nella Classe 39 della Classificazione di Nizza. Koton ha presentato un’azione per annullare il marchio dell’ex partner, sostenendo che quest’ultimo aveva agito in malafede ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 207/2009 sul marchio comunitario (ora sostituito dal Regolamento (UE) 2017/1001).
Il caso è giunto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che doveva stabilire se la malafede potesse essere riconosciuta anche in assenza di un rischio di confusione diretto tra i marchi o dell’uso precedente di un segno simile da parte di un terzo.
Nella sentenza del 12 settembre 2019, la CGUE ha stabilito che, per determinare se il richiedente di un marchio ha agito in malafede al momento del deposito della domanda, il giudice nazionale deve effettuare una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti specifici del caso. La Corte ha sottolineato che:
La CGUE ha annullato le decisioni precedenti che avevano respinto la domanda di Koton, affermando che il concetto di malafede non richiede necessariamente l’esistenza di un rischio di confusione o l’uso precedente di un segno simile. Il caso è stato rinviato all’EUIPO per una nuova valutazione secondo i criteri stabiliti dalla Corte.
Le c.d. registrazioni difensive – Caso Pelikan (T-136/11)
Pelikan, nota per i prodotti di cancelleria, aveva registrato il marchio figurativo “Pelikan” per una vasta gamma di prodotti e servizi, inclusi quelli nelle Classi 35 e 39 della Classificazione di Nizza, che riguardano rispettivamente servizi pubblicitari e commerciali, e servizi di trasporto e logistica.
Una società slovacca, operante nel settore dei viaggi online, aveva presentato una domanda di nullità contro il marchio di Pelikan per le Classi 35 e 39, sostenendo che Pelikan avesse agito in malafede ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 207/2009 sul marchio comunitario, poiché aveva registrato nuovamente il proprio marchio per evitare la decadenza per non uso dei marchi precedenti, una pratica che, a suo avviso, era scorretta.
Nel Giudizio del Tribunale dell’Unione Europea del 13 dicembre 2012 (Caso T-136/11), il Tribunale ha stabilito che:
Il Tribunale ha respinto l’accusa di malafede, ritenendo che Pelikan non avesse agito con intenzioni disoneste nel registrare nuovamente il proprio marchio per le Classi 35 e 39. Non essendoci prove di un intento abusivo o di un tentativo di aggirare le normative sulla decadenza, la malafede non è stata riscontrata. Sebbene, nel caso Pelikan, non sia stata riscontrata la malafede, ciò ci porta a riflettere sul tema delle c.d. logiche di accaparramento che potrebbero celarsi dietro alcune prassi diffuse e messe in atto dalle multinazionali.
Re-filing o ri-deposito di marchi – Caso SKY (C-371/18.)
Il caso coinvolge Sky plc e le sue affiliate (collettivamente “Sky”) contro SkyKick UK Ltd e SkyKick Inc (collettivamente “SkyKick”). Sky, noto fornitore di servizi televisivi e di telecomunicazioni, è titolare di marchi che includono la parola “Sky”, registrati per una vasta gamma di beni e servizi.
Sky ha accusato SkyKick di violazione dei propri marchi, poiché SkyKick utilizzava il termine “SkyKick” per servizi di migrazione e gestione cloud, causando confusione con i marchi di Sky.
SkyKick ha contestato la validità dei marchi di Sky, sostenendo che:
Nella sentenza del 29 gennaio 2020 (Caso C-371/18), la CGUE ha stabilito che:
1. Un marchio non può essere dichiarato invalido solo perché le specifiche dei beni o servizi mancano di chiarezza e precisione. Pertanto, termini generici come “software per computer” non portano all’invalidità del marchio per questa ragione.
2. La registrazione di un marchio senza l’intenzione di usarlo per i beni o servizi specificati può costituire malafede se il richiedente aveva l’intenzione di:
La sentenza ha chiarito che, sebbene la malafede possa portare all’invalidità di un marchio, tale invalidità può essere limitata ai beni o servizi specifici per i quali è stata riscontrata. Ciò introduce la possibilità di una cancellazione parziale a causa di malafede
Quando viene accertata la malafede in una domanda di marchio, le sanzioni possono essere di vario tipo. La cancellazione del marchio è la misura principale: può essere totale, riguardando tutti i prodotti o servizi coperti dal marchio contestato, oppure parziale, limitata ai beni o servizi per cui si è dimostrato l’intento disonesto. Questo tipo di cancellazione parziale è stato affermato, ad esempio, nel noto caso SKY (C-371/18), dove la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la cancellazione poteva limitarsi ai prodotti o servizi per i quali l’uso effettivo del marchio non era dimostrato o il deposito era strumentale.
Un altro esempio significativo riguarda il caso “Copernicus-Trademarks Ltd contro Maquet GmbH” (T-82/14), dove il Tribunale dell’Unione Europea ha confermato che una strategia di deposito ripetuto di marchi nazionali (la cosiddetta chaining) per bloccare potenziali concorrenti costituisce un abuso del sistema dei marchi. In quel caso, la domanda di marchio “LUCEO” era stata utilizzata in modo speculativo, senza l’intenzione di utilizzarla nel commercio, ma piuttosto per creare un blocco.
Oltre alla cancellazione, una domanda di marchio in malafede può portare a sanzioni economiche. Nel caso in cui il marchio sia stato usato per bloccare o danneggiare i concorrenti, il richiedente può essere chiamato a risarcire i danni a seguito dell’accertamento dell’illecito.
Infine, un’altra conseguenza importante riguarda la reputazione aziendale. La malafede, se accertata, può seriamente compromettere la credibilità di un’azienda sul mercato, portando a ripercussioni non solo legali ma anche commerciali, soprattutto quando il caso viene reso pubblico.
Le sanzioni per tali pratiche vanno dalla cancellazione del marchio, totale o parziale, fino a risarcimenti economici e danni reputazionali. Forse più di altri, i casi di deposito in mala fede, sono tra i più complessi da analizzare, ma ci danno meglio di altri la possibilità di analizzare a fondo la ratio più profonda dei legittimi diritti di marchio e la funzione di questo istituto.
Avvocato Arlo Canella