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L’uso effettivo e il rischio di decadenza nei marchi: il caso VIBROSTOP®

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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Nel mondo dei marchi, la protezione legale non è un diritto che si conquista una volta per tutte. Come ha chiarito il Tribunale di Milano nel caso “VIBROSTOP”, per mantenere un marchio è essenziale un uso effettivo e continuativo: diffide e semplici rinnovi non bastano.

La battaglia per VIBROSTOP® dopo la cessione d’azienda

Il marchio “VIBROSTOP” potrebbe non essere il più fantasioso del mondo, ma ha comunque generato un’interessante controversia tra due società di fronte al Tribunale di Milano. Il motivo? Stabilire chi avesse il diritto di utilizzarlo legittimamente.

Tutto inizia nel lontano 1990, quando una delle due società, che all’epoca produceva dispositivi per ridurre le vibrazioni, cede l’intera azienda, incluso il marchio “VIBROSTOP”, a un’altra società. Da quel momento, la nuova proprietaria inizia a utilizzare il marchio in modo regolare, anche come nome dell’azienda, continuando a sfruttarlo come elemento distintivo per il proprio business.

La venditrice, nel frattempo, cambia completamente settore di attività, passando alla gestione immobiliare e sostanzialmente dimenticandosi del marchio “VIBROSTOP” (che, effettivamente, non era molto coerente con il nuovo settore di attività). Almeno così sembrava, finché nel 2018, ben 28 anni dopo, decide di rivendicare la proprietà del suo vecchio marchio, chiedendo alla nuova proprietaria di smettere di usarlo o di pagare una royalty per continuare a farlo.

A seguito della ricezione della diffida, la società che aveva acquistato l’azienda decide di agire in giudizio, chiedendo il riconoscimento della piena titolarità del marchio “VIBROSTOP” o, in via subordinata, la decadenza del marchio “VIBROSTOP” per non uso con riferimento alla venditrice.

Decadenza per non uso: disciplina e oneri probatori

Nel mondo dei marchi, uno degli aspetti fondamentali è il loro “uso effettivo“. Una volta registrato un marchio, il proprietario deve utilizzarlo per identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato altrimenti il marchio può decadere, cioè perdere la sua protezione legale. Vediamo come funziona la decadenza per non uso del marchio secondo il Codice di Proprietà Industriale (c.p.i.), in particolare agli articoli 24 e 121

L’art. 24 c.p.i. costituisce il caposaldo della disciplina sull’uso effettivo del marchio.  Stabilisce che il proprietario di un marchio registrato deve usarlo per i prodotti o servizi per cui è stato registrato entro cinque anni dalla registrazione. Se il marchio non viene utilizzato entro questi cinque anni, o se il suo uso viene interrotto per cinque anni consecutivi, il marchio può essere dichiarato decaduto e quindi annullato. In altre parole, il marchio perde la sua protezione se non viene impiegato in modo concreto e continuo nel mercato (ne abbiamo parlato in precedenza, in celebre caso di decadenza parziale: “Niente ‘panini al pollo’ marchiati Big Mac, McDonald’s perde in UE” di A. Canella). Ci sono però delle eccezioni: se il titolare del marchio riesce a dimostrare che ci sono stati motivi validi per non usarlo, la decadenza può essere evitata.

La regola della decadenza per non uso serve a evitare che i marchi restino inutilizzati o che vengano registrati solo per bloccare altri concorrenti. L’idea è che un marchio debba essere attivo e utilizzato da chi lo possiede, affinché rimanga protetto dalla Legge.

Insomma, “chi deve dimostrare cosa”? L’art. 121 c.p.i. riguarda proprio l’onere della prova, ovvero chi deve dimostrare cosa in un procedimento giudiziale in materia di decadenza di un marchio. Se qualcuno vuole far dichiarare decaduto un marchio perché non è stato usato, deve dimostrare che il marchio non è stato effettivamente utilizzato: “Salvo il caso di decadenza per non uso, l’onere di provare la nullità o la decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo. Salvo il disposto dell’articolo 67 l’onere di provare la contraffazione incombe al titolare. In ogni caso in cui sia domandata o eccepita la decadenza per non uso, il titolare fornisce la prova dell’uso del marchio a norma dell’articolo 24”. La legge dice oltretutto che questa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso “presunzioni semplici“. Ciò significa che non è necessario avere prove dirette, basta dimostrare fatti o circostanze che portano a pensare che il marchio non sia stato utilizzato.

Dall’altra parte, il titolare del marchio deve invece dimostrare compiutamente il contrario. Il titolare deve provare di aver usato il marchio in modo effettivo, direttamente o tramite terzi autorizzati (ad esempio attraverso un contratto di licenza) o – in caso di mancato utilizzo – che ci fossero dei motivi legittimi per non usarlo. 

È proprio sul concetto di uso effettivo che si focalizza la sentenza in esame. 

Quando si può parlare di “uso effettivo”?

Il concetto di uso effettivo del marchio è un principio fondamentale nel diritto dei marchi, volto a garantire che solo i segni distintivi utilizzati in maniera attiva e rilevante possano beneficiare della protezione giuridica. 

La giurisprudenza italiana e comunitaria ha chiarito che l’uso effettivo non può essere solo simbolico o limitato a meri atti conservativi. Come sottolineato dal Tribunale di Milano nella sentenza sul caso “VIBROSTOP”, “il semplice invio di una diffida stragiudiziale è qualificabile come atto puramente conservativo e non rappresenta una modalità di esercizio del segno in conformità alla sua funzione tipica”​. Anche il rinnovo periodico della registrazione del marchio, come accaduto nel caso in esame, non costituisce di per sé una prova sufficiente di utilizzo. Per essere considerato un uso effettivo, è necessario che il marchio sia utilizzato in modo significativo per la commercializzazione dei prodotti o servizi, generando un impatto tangibile sul mercato e sui consumatori.

Un esempio di uso effettivo può essere rappresentato da attività come la vendita di prodotti con il marchio, pubblicità regolari, o l’uso del segno su siti web commerciali che promuovono beni o servizi (ne avevo parlato anche qui, con riferimento al marchio di una celebre, ma ormai datata, trasmissione tv: “Decadenza del marchio per non uso: la Cassazione sul caso Passaparola”). Al contrario, atti come il semplice deposito di documenti o l’invio di comunicazioni legali non soddisfano i requisiti di effettività, in quanto non creano una vera connessione tra il marchio e i consumatori.

Il Tribunale di Milano, in linea con l’orientamento comunitario, ha stabilito che il marchio deve essere utilizzato per un periodo di tempo continuativo e in modo rilevante, con l’obiettivo di garantire l’identità di origine dei prodotti o servizi sul mercato. La protezione giuridica di un marchio serve a preservare il collegamento tra il segno e i beni o servizi, non a proteggere diritti inattivi che potrebbero ostacolare la libera concorrenza.

Nel caso esaminato, sono state presentate prove documentali che dimostravano l’assenza di utilizzo del marchio da parte di una delle società sin dal 1990. Queste prove, supportate anche da presunzioni semplici, sono state considerate sufficienti per dimostrare che il marchio non era stato usato per scopi commerciali. La controparte, invece, non è riuscita a provare l’uso in modo efficace, offrendo solo documenti formali come il rinnovo del marchio.

Diffide e meri rinnovi del marchio non bastano

Il Tribunale di Milano, con la sua sentenza del 21 dicembre 2023, ha dichiarato la decadenza del marchio “VIBROSTOP” della società venditrice, a partire dal 9 settembre 2014. La decisione è stata presa a causa del mancato uso del marchio da parte di una delle società, che, nonostante rivendicasse la titolarità del marchio, non è riuscita a dimostrare un utilizzo effettivo e continuativo negli anni precedenti alla controversia legale. Come chiarito nella sentenza, “le formalità di registrazione e l’invio di una diffida non costituiscono, tuttavia, atti idonei ad impedire la decadenza“​. Pertanto, il Tribunale ha rigettato le argomentazioni presentate, ritenendo le prove insufficienti per mantenere l’esclusiva sul marchio.

Questa decisione funge da avvertimento per tutti i titolari di marchi: la semplice registrazione non è sufficiente. Per evitare la decadenza per non uso, il marchio deve essere attivamente impiegato nelle attività commerciali. Il rischio di perdere la tutela giuridica a causa della decadenza quinquennale può avere conseguenze significative per un’azienda. Senza un uso effettivo, il marchio diventa vulnerabile e aperto all’appropriazione da parte di terzi che potrebbero sfruttarlo commercialmente.

È importante notare che, se il titolare intende continuare a detenere il diritto sul marchio, sostenendone le spese, può ridepositare il segno prima della scadenza del quinquennio, ribadendo la sua volontà di monopolizzare il marchio con un nuovo deposito (si v. “Quanto costa registrare un marchio?”). Tuttavia, dalla lettura della sentenza del Tribunale di Milano, emerge chiaramente che un mero rinnovo alla scadenza dei dieci anni di durata della registrazione del marchio non ha lo stesso effetto protettivo di un nuovo deposito prima della scadenza del termine quinquennale fissato per la decadenza.

Il marchio, infatti, è uno strumento che acquisisce valore solo se viene effettivamente utilizzato per distinguere beni o servizi sul mercato. La protezione legale esiste per garantire che il marchio adempia alla sua funzione essenziale: difendere il legame tra i prodotti o servizi e il loro produttore o fornitore (per approfondire: “Marchio italiano, UE o internazionale? Guida pratica alle strategie di registrazione” di A. Canella”. La mancanza di un uso effettivo può compromettere questo legame, a meno che l’imprenditore non decida di investire in un nuovo deposito, assicurandosi che esistano ancora i presupposti per ottenere una registrazione e per una valida protezione legale.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 4 Ottobre 2024

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale
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