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Louboutin contro Amazon e la responsabilità dei c.d. “provider ibridi” in caso di contraffazione di marchio.

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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Un provider ibrido è un portale che offre sia i suoi prodotti sia quelli di altri venditori attraverso una piattaforma dedicata: cosa accade se vengono proposte in vendita merci contraffatte? La Corte di Giustizia, nel recente caso Louboutin c. Amazon (C-148/21 e C-184/21) ha fatto chiarezza in merito alla responsabilità per contraffazione dei c.d. provider ibridi. In questo articolo:

Il caso: merci contraffatte Louboutin sulla piattaforma Amazon.

Louboutin è uno stilista francese noto principalmente per il marchio di posizione rappresentante una scarpa da donna con la suola rossa (in merito, rimandiamo all’articolo Marchio di posizione e marchio di forma: il caso Louboutin).

Amazon è la nota piattaforma e-commerce che offre in vendita diversi prodotti, sia direttamente in nome e per proprio conto, sia mettendo a disposizione il proprio marketplace a venditori terzi (c.d. provider ibrido).

Proprio su Amazon, Louboutin aveva riscontrato la presenza di annunci di vendita di scarpe rappresentanti il noto marchio di posizione (suola rossa) commercializzati senza il suo consenso, lamentandone, dunque, la contraffazione. 

Al contrario, Amazon (citando anche la recente decisione della Corte nel caso Coty c. Amazon) sosteneva di non poter essere ritenuta responsabile in quanto il marchio Louboutin veniva utilizzato dai venditori terzi e non direttamente dalla piattaforma e-commerce

Ebbene, Amazon deve essere ritenuta corresponsabile della contraffazione, oppure no? 

Cosa dice la normativa europea sulla responsabilità del service provider in caso di contraffazione?

All’interno dell’UE, la tutela del marchio è garantita dall’art. 9 del Regolamento UE 2017/1001 che prevede che il titolare di un marchio UE ha il diritto di vietare a terzi, l’uso nel commercio all’interno del territorio dell’Unione, di marchi identici o simili a quello registrato. 

Il tema della responsabilità dei provider è, invece, trattato all’interno degli artt. 12, 13 e 14 della Direttiva CE 2000/31. 

In particolare, il provider non può essere ritenuto responsabile se, una volta ricevuta la segnalazione, provveda tempestivamente alla rimozione dei dati dalla piattaforma in modo che sia impossibile accedervi (lo dice chiaramente l’art. 14 della direttiva). 

Fatta questa premessa normativa, la giurisprudenza dell’Unione Europea nel corso degli anni ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’applicazione delle norme di cui sopra. 

I precedenti: il concetto di “provider neutro” (la sentenza L’Oréal c. eBay)

In particolare, nella nota decisione L’Oréal c. eBay, la CGUE ha introdotto il concetto di provider neutro, vale a dire un fornitore di servizi che si limita a essere un mero intermediario tra clienti e venditori terzi. 

In tale decisione, la CGUE ha affermato che eBay non può essere considerato un provider neutro in quanto svolge un ruolo attivo nell’ottimizzazione e nella presentazione delle offerte dei venditori che utilizzano tale piattaforma per la commercializzazione dei propri prodotti. 

Alla luce di tale decisione e utilizzando le medesime argomentazioni della Corte, Louboutin sostiene oggi (lo vedremo nell’ultimo paragrafo) che Amazon non possa essere considerato un provider neutrale e, in quanto tale, sarebbe necessaria una maggiore severità nei suoi confronti.

I precedenti: la teoria del mero stoccaggio (il caso Coty c. Amazon del 2020)

Nella decisione Coty c. Amazon, la Corte aveva già chiarito che anche il provider usa il marchio e, pertanto, deve farlo con la dovuta attenzione. 

Tuttavia, il termine “uso” (di cui all’art. 9 del Regolamento UE) significherebbe sfruttamento di un segno identico altrui, se, in vista della commercializzazione, l’operatore economico importi o rimetta a un depositario prodotti recanti il marchio di cui non è titolare. 

Mentre non si potrebbe parlare di “uso” del marchio nel caso del provider/depositario che fornisca un mero servizio di deposito (stoccaggio) per le merci recanti il marchio altrui.

Secondo la Corte, assolvendo Amazon, l’art. 9 doveva essere interpretato nel senso che una persona che si limiti a conservare i prodotti per conto di terzi venditori, senza essere a conoscenza della contraffazione, si deve ritenere che non stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio. 

La finalità del provider che si limita allo stoccaggio, secondo la Corte, parrebbe diversa: alla luce di tali considerazioni, Amazon era stata ritenuta non responsabile. 

La decisione nel recente caso Louboutin c. Amazon.

Nonostante i precedenti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), riunendo le cause C-148/21 e C-184/21, nel caso Louboutin ha stabilito che, essendo Amazon una piattaforma ibrida (che integra tanto un marketplace online quanto la vendita diretta di propri prodotti), non è possibile per l’utente medio comprendere se i prodotti in violazione del marchio sono commercializzati da Amazon in prima persona oppure da un venditore terzo. 

Tale circostanza è dovuta al fatto che i prodotti Amazon e quelli dei venditori terzi sono presentati in modo intercambiabile e offerti, in entrambi i casi, con il logo di Amazon. 

In aggiunta a questo, il fatto che Amazon offra ai venditori servizi supplementari (come lo stoccaggio dei loro prodotti) induce ancor più i consumatori a ritenere che i prodotti provengano dal noto e-commerce

Alla luce di quanto sopra, Amazon è stata ritenuta potenzialmente responsabile per la contraffazione del marchio Louboutin, nonostante gli annunci siano stati pubblicati dai suoi utenti venditori. La decisione è stata infine rimessa ai Tribunali. 

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 17 Gennaio 2023
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Margherita Manca

Laureata presso l'Università Luigi Bocconi di Milano, appassionata di Proprietà Intellettuale.
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