In questa situazione di emergenza economica, la gestione del contratto di locazione commerciale rappresenta un tema rilevante. In particolare, la possibilità di sospendere il pagamento dei canoni si traduce in un’esigenza sentita da molti.
Sempre più spesso i nostri Clienti ci chiedono se è possibile sospendere il pagamento dei canoni di locazione durante questa emergenza o se è possibile rinegoziare le condizioni contrattuali.
Ebbene, la legge italiana offre sicuramente alcuni strumenti per risolvere e/o arginare la situazione in atto. Vediamo come muoversi.
Oltre agli articoli del codice civile sulla locazione, la disciplina rilevante è la c.d. Legge sull’equo canone (n. 372/1978). Il contratto di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo prevede la concessione in godimento al conduttore di beni destinati ad attività economiche. Siano esse relative al lavoro autonomo o a quello imprenditoriale.
Il contratto di locazione commerciale è un accordo a prestazioni corrispettive. Il locatore si impegna infatti a consegnare l’immobile e a mantenerlo nella disponibilità del conduttore. Il conduttore, per converso, si impegna a pagare il canone di locazione, ovvero un corrispettivo per il godimento del bene.
La chiave di lettura per cercare una soluzione all’emergenza in corso risiede proprio nelle prestazioni dedotte nel contratto e nello scopo che lo stesso persegue. Infatti, per la maggior parte delle attività sospese dal c.d. decreto “Cura Italia”, nonostante si abbia la disponibilità dell’immobile, di fatto il conduttore non può utilizzarlo ai fini della propria attività commerciale.
Viene da sé che in questo caso, salvo ipotesi particolari, l’inutilizzabilità totale o comunque in maniera ridotta non dipenda dalle parti.
La responsabilità di ciò sarebbe da attribuire, qualora il conduttore non abbia avuto nessuna alternativa, alla sfortunata congiuntura temporale dovuta all’emergenza sanitaria covid-19.
L’esigenza maggiormente sentita sarebbe quella di arginare momentaneamente la crisi economica sospendendo i canoni di locazione (qualora ovviamente l’immobile sia totalmente inutilizzabile), o comunque rinegoziare gli accordi contrattuali alla luce della limitata utilizzabilità dell’immobile.
Da un lato avremo, quindi, il conduttore che nella maggior parte nei casi avrà investito notevoli somme nell’immobile locato e avrà interesse a continuare la propria attività proprio in quell’immobile. Dall’altro il locatore che, nonostante abbia interesse a ottenere il corrispettivo pattuito per la locazione, in questo periodo non potrebbe facilmente locare a un altro soggetto il suo immobile.
Tuttavia, in alcuni casi, le parti potrebbero non avere altra scelta che dover interrompere il rapporto contrattuale.
Fatte queste doverose premesse, tentiamo adesso di inquadrare dal punto di vista normativo le possibilità date alle parti per cercare di limitare/arginare le conseguenze economiche negative date dall’emergenza Covid-19.
Volendo schematizzare, le possibili alternative esse possono essere suddivise in misure volte alla continuazione del rapporto contrattuale o all’interruzione dello stesso, ovvero:
La clausola di forza maggiore è una clausola contrattuale, normalmente inserita nei contratti commerciali di lunga durata. L’obiettivo è quello di prevenire la responsabilità contrattuale delle parti in caso di mancata esecuzione e di inadempimento dell’obbligo contrattuale in caso di “cause di forza maggiore” o di altri eventi straordinari (ad esempio, guerra, sommossa, atto di terrorismo, embargo, provvedimento governativo, regolamento o decreto, ecc.).
Nel caso in cui non sia stata prevista una specifica clausola contrattuale, la forza maggiore può comunque essere invocata ai sensi degli artt. 1218 e 1256 del Codice Civile.
Il primo articolo prevede infatti che il debitore sia tenuto al risarcimento del danno per inadempimento “se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Il successivo art. 1256 Cod. Civ. sancisce, invece, che “l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”.
L’impossibilità di eseguire le prestazioni previste dal contratto nonché di perseguire lo scopo dello stesso, dunque, non sarebbero resi possibili o comunque limitati da quella che viene definita una “causa di forza maggiore”. Nel nostro caso dall’emergenza sanitaria Covid-19.
Tuttavia, la presenza della clausola di forza maggiore nel contratto potrebbe avere effetti limitativi dell’applicabilità dell’esimente prevista dal Codice Civile, ove sia previsto un elenco tassativo delle cause di forza maggiore riconosciute dalle parti. Per invocare l’esimente è quindi necessario verificare se:
Ovviamente, l’onere della prova risiede in capo al soggetto che invoca la clausola di forza maggiore.
Infine, va evidenziato che, con l’adozione da parte del Governo Italiano del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, c.d. “Cura Italia” e s.m.i., “il rispetto delle misure di contenimento (…) è sempre valutato ai fini della esclusione, ai sensi e per gli effetti degli art. 1218 e 1223 del Codice Civile della responsabilità del debitore (…) anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Oltre alla possibilità di invocare l’esimente della forza maggiore il nostro codice civile all’articolo 1467 prevede che:
“Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
In questo caso il rimedio previsto dal codice è quello della risoluzione del contratto, ma il creditore può evitarla offrendo un’equa modifica delle condizioni contrattuali.
Sulla base di ciò le parti potrebbero rinegoziare le condizioni economiche del contratto sulla base della limitata utilizzabilità dell’immobile. Tale possibilità servirebbe quindi ad evitare la risoluzione e a stabilire condizione più eque.
Un’altra alternativa data al conduttore, questa volta in ottica di interruzione del rapporto contrattuale, sarebbe quella prevista dall’art. 27, ultimo comma, della Legge 27 luglio 1978 n. 392.
Tale disposizione prevede, infatti, che per le locazioni commerciali “indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.
La facoltà di recesso sarebbe subordinata però solo dalla presenza di gravi motivi. Abbiamo già avuto modo di trattare in un nostro precedente articolo (Locazione commerciale: la crisi può giustificare il recesso del conduttore?) come la giurisprudenza valuti la “gravità” dei motivi invocati dal conduttore.
Infatti, in quel caso, abbiamo avuto modo di esaminare come la crisi aziendale in determinati casi possa giustificare il recesso del conduttore (anche in ottica di riduzione della struttura aziendale).
In altre parole, la continuazione del rapporto di locazione dovrà essere oltremodo gravosa per il conduttore da un punto di vista economico.
Come già analizzato, per ricorrere a tale strumento le motivazioni del conduttore devono basarsi su fatti non dipendenti dal suo operato, non prevedibile e sopravvenuti nel corso del rapporto contrattuale.
Viene da sé che la situazione emergenziale data dal Covid-19, alla luce delle suddette caratteristiche, sembrerebbe giustificare la facoltà del recesso del conduttore per gravi motivi.
Come già avuto modo di esaminare, qualora la parte contro cui è domandata la risoluzione non sia intenzionata a rinegoziare le condizioni contrattuali il contratto andrebbe risolto.
Sottolineiamo che in questo caso, la risoluzione avrà effetto retroattivo tra le parti (salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica) e che, pertanto, il soggetto per il quale l’adempimento risulti eccessivamente oneroso dovrà provvedere a ristabilire la situazione precedente alla conclusione del contratto fatti salvi gli eventuali diritti di terzi.
Alla luce di quanto esaminato, la complessità della situazione lascia poco spazio a risposte generali, ma imporrebbe un’attenta disamina caso per caso.
Sembrerebbe comunque preferibile che il conduttore – lamentando la sopravvenienza di una causa forza maggiore – solleciti il locatore alla formalizzazione di un accordo volto a definire il rapporto contrattuale per tutta la durata dell’emergenza sanitaria Covid-19.
Una richiesta che preferibilmente – come detto – miri ad una rinegoziazione, anche temporanea, delle condizioni contrattuali o alla sospensione del canone di locazione in alternativa alla risoluzione contrattuale.
Accordo che, in ogni caso, ci auspichiamo sia mosso (oggi più che mai…) dai principi di solidarietà e buona fede.
Lo studio Canella Camaiora si occupa quotidianamente di consulenza e contenzioso anche in materia di contratti e locazioni commerciali. Per assistenza su questo tema molto delicato vi invitiamo a contattarci.
Gianluca Verzi