L’analisi della fattibilità finanziaria di ogni nuovo progetto di business (o il monitoraggio della situazione finanziaria di un progetto in corso) è un elemento chiave per il suo successo ed è strettamente legata alla fattibilità economica.
L’analisi di fattibilità economica di un progetto di business prevede la considerazione ragionata dei costi e dei ricavi che ci si aspetta da quello specifico progetto… per valutare se l’operazione potrà essere (complessivamente) in utile o in perdita. Senza dubbio questa analisi (di fattibilità economica) è sempre il primo passo da compiere.
Infatti, se il progetto non è in grado, neppure in astratto, di produrre alcun utile forse è meglio lasciar perdere sin dall’inizio (salvo i casi di attività con vocazione sociale).
Superato il “test” dell’analisi economica è fondamentale proseguire con l’analisi finanziaria. Anche se siamo sicuri che il progetto al termine di un certo lasso di tempo risulterà “in attivo”, è necessario anche verificare la sua sostenibilità giorno per giorno.
In parole povere, quanti soldi ci entreranno in cassa e quanti ne dovremo tirar fuori con l’avvio delle attività legate al progetto: occorre analizzare l’operazione e il fabbisogno di capitale, costruendo un flusso di cassa previsionale per i diversi mesi.
Questa valutazione è fondamentale perché da un lato una buona gestione dei flussi di cassa aumenta le possibilità di vedersi concessi prestiti, se necessario, ed è indice di efficienza operativa, dall’altro perché una cattiva gestione o addirittura una mancata previsione dei flussi di cassa può far aumentare i costi. La cattiva previsione e gestione dei flussi di cassa è tra le prime cause di bancarotta e fallimento dei nuovi progetti.
La versione più semplice dello schema di previsione dei flussi di cassa è la seguente:
Cassa iniziale (mese)
+ incassi da ricavi
+ afflussi di capitale di rischio (versato da soci o azionisti) o di debito (banche)- costi di gestione (acquisti materiali/servizi, personale, uffici, interessi su finanziamenti ecc.
– investimenti
– altre uscite (rimborso prestiti/mutui, distribuzione utili, imposte ecc.)
= cassa finale (mese)
Questo schema può poi essere trasformato in uno schema analitico (suddivisione dei costi per natura) andando ad analizzare le voci di spesa per natura:
Cassa iniziale (mese)
+ incassi
+ afflussi di capitale
– interessi mutui/prestiti
– distribuzione utili
– costi di produzione (acquisti materiali e/o altri costi variabili di produzione)
– quelli di struttura (uffici, personale, servizi generali ecc.)
– costi finanziari
– investimenti
– imposte
= cassa finale
Questi schemi possono poi essere applicati alle singole aree di business aziendale (nel caso ve ne sia più di una) e non sono alternativi tra loro ma servono ad approfondire l’analisi finanziaria.
E’ importante ricordare che nel caso si opti per l’analisi finanziaria delle singole aree di business andrà valutata separatamente l’eventuale interdipendenza tra le aree. Pensiamo ad esempio ad un’azienda che vende macchinette del caffè e cialde di caffè da utilizzare con esse: è chiaro che bassi flussi di cassa per quanto riguarda le macchinette del caffè fanno parte della strategia che mira a far ottenere alti flussi di cassa per la vendita delle cialde di caffè. Ma questo fa parte dell’analisi della strategia.
Quando si avvia una nuova attività è fondamentale valutare molto bene la parte finanziaria per valutare il reale fabbisogno di finanziamento.
Un errore piuttosto diffuso è infatti quello di aver abbastanza chiari i cosiddetti “costi di start-up” vale a dire tutti gli investimenti necessari all’avvio dell’attività ma meno chiaro il reale fabbisogno finanziario.
Sembra strano ma il momento di maggiore fabbisogno finanziario si raggiunge dopo qualche mese dall’avvio dell’attività operativa – dopo aver iniziato a vendere il prodotto/servizio – quando gli incassi iniziano a superare le uscite.
A seconda del progetto potrebbe esserci una fase in cui ancora non si può vendere il prodotto, quando si sta ad esempio ancora creando il prototipo. Vanno perciò valutati non solo i costi di prototipazione ma anche tutti i costi di personale e di struttura (uffici, servizi ecc.) che andranno sostenuti comunque.
Il fabbisogno finanziario dovrà essere coperto da un buon mix di fonti. Di base c’è sempre il capitale versato dai soci che però, salvo in rari casi, copre una minima parte del fabbisogno finanziario.
A questo si possono aggiungere investitori, prestiti bancari, contributi pubblici a fondo perduto e, dopo il primo periodo, anche le vendite.
Un’opzione particolare che sta trovando sempre maggiore diffusione negli ultimi anni è il crowdfunding sotto forma di vendita anticipata (reward based) o di forma di raccolta di capitali (equity crowdfunding). Quest’ultima in Italia è sottoposta ad una precisa normativa (dal DL 18 ottobre 2012 n. 179) che richiede la partecipazione di investitori qualificati. Inoltre, la Legge di Bilancio 2017 (Legge 11 dicembre 2016, n. 232) all’art. 1, comma 70 ha esteso l’operatività della disciplina del c.d. “equity crowdfunding” anche alla raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI in generale, non limitando l’accesso alle sole start-up e PMI innovative.
E’ importante occuparsi di questi argomenti, senza farsi rapire dall’idea di business, perché identificare il capitale complessivo necessario a sostenere l’iniziativa serve a non correre il rischio di ritrovarsi nell’impossibilità di pagare il personale o i fornitori subito dopo che gli sforzi commerciali abbiano cominciato a dare i loro frutti.
A proposito di cash-flow trovo utile ricordare qui quanto accadde nientepopodimeno che ad Hotmail, per una clausola apparentemente innocua inserita nel contratto di investimento: la possibilità da parte del loro investitore di rifiutarne altri.
Anche se dopo pochi mesi di sviluppo Hotmail contava decine di milioni di utenti ed era sulla buona strada per essere venduto per una cifra considerevole, il loro modello di business non era ancora sostenibile e i costi superavano le entrate creando un problema di liquidità.
Hotmail aveva bisogno di soldi ed il loro unico investitore poté approfittarne – grazie alla clausola in questione – acquistando un bel pezzo della società ad un prezzo esiguo (5 milioni di dollari) tuttavia necessario alla stessa sopravvivenza della società.
Peccato perché Hotmail sarebbe stata venduta a Microsoft poco tempo dopo.
Questo problema di liquidità e la famosa clausola portarono molti più soldi all’investitore e meno agli imprenditori, è anche vero che dato che il prezzo finale di vendita fu di 400 milioni di dollari furono comunque tutti soddisfatti.
Valentina Panizza