Fare una start-up è come saltare giù da una scogliera, costruendosi le ali durante la caduta.
L’ho sentito dire almeno due volte. La prima due anni fa, partecipando al Technology Venture Launch Program in Silicon Valley. La seconda il 20 Novembre scorso a Berlino, al Silicon Valley Symposium “Anticipating the future” durante la Global Entrepreneurship week.
Ma diciamo la verità: non tutti i salti hanno successo, anzi, 8 start-up su 10 falliscono entro i primi 3 anni, ed allora perché buttarsi? Perché fallire significa anche imparare. Nella cultura d’oltreoceano il fallimento infatti non è necessariamente un demerito. Tutt’altro. Ci si aspetta correttamente che chi ha già fallito conosca bene gli errori possibilmente fatali, quelli da evitare: il fallimento quindi è solo una parte del proprio percorso di apprendimento verso il prossimo successo.
Infine, le 3T dell’innovazione di Richard Florida: Talento, Tecnologia e Tolleranza.
Se Talento e Tecnologia sono ingredienti scontati per la ricetta del successo… lo stesso non si può certo dire per la terza: la T di Tolleranza.
Servono tutti e tre questi ingredienti per stimolare creatività prima e innovazione poi.
Florida ha studiato diversi situazioni in cui c’era tutto (laboratori, università, risorse) eppure non si riusciva a decollare (scientificamente o economicamente).
In questi casi erano presenti Talento e Tecnologia ma non abbastanza Tolleranza.
Mai sottovalutare il contributo che può derivare da culture e modi di essere diversi da quelli che già ci appartengono. Non sempre i migliori talenti sono nati nella nostra stessa città o nazione.
E questo vale sia per gli ecosistemi sia per i team: se l’obiettivo è innovare servono competenze e approcci al problema differenti e soprattutto, il giusto grado di tolleranza per far emergere il meglio da ognuno di noi.
Valentina Panizza