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Licenziamento per malattia: il NO della Cassazione

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Debora Teruggia
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Con la sentenza nr. 36188/2022, la Corte di Cassazione ha confermato che il datore di lavoro, durante il periodo di comporto, non può irrogare il licenziamento al dipendente assente per malattia, basando su quest’ultima il c.d. “scarso rendimento” del lavoratore.
In questo articolo vedremo:

Il caso: lavoratore licenziato per scarso rendimento a causa di troppi giorni di malattia;

La vicenda in esame riguarda il licenziamento per scarso rendimento di un lavoratore che aveva usufruito di 210 giorni di malattia nell’ultimo triennio, senza però mai superare il periodo annuale massimo di comporto. Secondo il datore di lavoro, l’eccessiva assenza del lavoratore aveva reso la prestazione lavorativa “non proficuamente utilizzabile”, causando un concreto pregiudizio all’organizzazione aziendale. 

In altre parole, per il datore la condotta del dipendente aveva rappresentato una evidente violazione del dovere di diligente collaborazione, tale da avere indotto il licenziamento ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604 del 1966 (c.d. “licenziamento per giustificato motivo”).

Con la sentenza nr. 36188/2022, la Suprema Corte ha però ribadito che il datore di lavoro, durante il periodo di comporto, non può irrogare il licenziamento al dipendente assente per malattia, richiamando il c.d. “scarso rendimento” del lavoratore

Prima di addentrarci nel contenuto della decisione, vediamo insieme cosa si intende per “licenziamento per scarso rendimento” e per “periodo di comporto”. 

Il licenziamento per scarso rendimento;

Lo scarso rendimento, quale motivo economico di recesso, non deve necessariamente dipendere dalla scarsa diligenza del lavoratore (anche perché – in quel caso – si tratterebbe di “licenziamento disciplinare”), ma si può verificare ogni volta in cui il dipendente non adempie alle proprie mansioni, anche incolpevolmente, incidendo sulla produzione aziendale.

Il Legislatore, quindi, riconduce il licenziamento per scarso rendimento nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi della Legge n. 604 del 1966. 

L’Art. 3 della predetta Legge recita: “Il  licenziamento  per  giustificato  motivo   con   preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi  contrattuali del prestatore di lavoro ovvero  da  ragioni  inerenti  all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Esigenze della produzione e tutela del diritto alla salute

La disposizione sopra richiamata, però, non può intendersi come assoluta poiché – come nel caso in esame – gli interessi delle parti sono diversi (entrambi di rango costituzionale) e bisogna operare un corretto bilanciamento.

Infatti, se da un lato è interesse del datore avere alle dipendenze forza lavoro produttiva ed efficiente, dall’altro è interesse del lavoratore poter godere di un congruo periodo per rimettersi dalla malattia, vedendosi conservato il posto di lavoro.

La Corte, nella decisione oggetto del presente articolo, ribadisce che “mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da inadempimento, pur se inconsapevole, del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia e la tutela della salute è valore preminente che ne giustifica la specialità“. 

La salute risulta essere un valore preminente da tutelare e, pertanto, al fine di bilanciare detti contrapposti interessi, l’unica condizione di legittimità del recesso datoriale è il superamento del periodo di comporto come stabilito dalla Legge, ovverosia il superamento dei giorni d’assenza in ragione di anno che la Legge (assieme ai contratti collettivi) garantisce a ogni lavoratore per motivi di salute.

Si spiega quindi la ratio dell’art. 2110 cc che, disciplinando i casi di c.d. “sospensione della prestazione lavorativa” a causa di malattia, infortunio e via discorrendo, impedisce al datore di licenziare durante il periodo di comporto

Infatti, il licenziamento intimato prima che sia decorso il comporto e motivato unicamente dal perdurare dello stato di malattia è da considerarsi nullo perché contrario a una norma imperativa di legge.

La decisione della Corte (sentenza nr. 36188/2022)

Con sentenza nr. 36188/2022, dando continuità al precedente orientamento giurisprudenziale (v. Cass. n. 31763 del 2018; Cass. n. 15523 del 2018), la Suprema Corte ha ribadito che “la non utilità della prestazione per il tempo della malattia è evento previsto e disciplinato dal legislatore con conseguenze che possono portare alla risoluzione del rapporto di lavoro solo dopo il superamento del periodo di comporto disciplinato dall’art. 2110 cc e dalla contrattazione collettiva”. 

Nulla di nuovo, in realtà, se non la sacrosanta conferma di un diritto costituzionalmente garantito (e che – inutile dirlo – nulla ha a che vedere con il comportamento di chi invece abusa maliziosamente delle norme poste a tutela della salute).

Il dipartimento di diritto del lavoro dello Studio Canella Camaiora, naturalmente, è a Vostra disposizione per qualsiasi dubbio in materia, per la soluzione dei quali potete senz’altro contattare la scrivente o l’Avv. Antonella Marmo.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 25 Gennaio 2023
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.
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