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Le figure retoriche: dal Cinque Maggio a ‘Have a break’

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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Le figure retoriche sono strumenti straordinari che trasformano il linguaggio in arte, costituendo una risorsa preziosa per autori e creativi e rientrando spesso nell’ambito della proprietà intellettuale. In questo articolo esploriamo il loro potere attraverso esempi immortali, dalla poesia di Alessandro Manzoni e Dante Alighieri ai romanzi di Charles Dickens e Victor Hugo, fino agli slogan pubblicitari più iconici come “Have a break, have a KitKat”. Scopriremo come suono, significato e struttura lavorano insieme per rendere i messaggi indimenticabili, dimostrando che il linguaggio è un’arte senza tempo, capace di unire poesia e comunicazione moderna.

Cosa sono le figure retoriche e perché sono importanti?

Le figure retoriche, come la metonimia e la sineddoche, sono straordinari strumenti del linguaggio capaci di dare forma e forza a un pensiero, trasformandolo in immagini vivide e potenti che si imprimono nella mente e nel cuore. Pensiamo, ad esempio, ai celebri versi di Alessandro Manzoni:

Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno.

Questa strofa, tratta dall’ode Il Cinque Maggio, è un esempio perfetto della capacità delle figure retoriche di scolpire un concetto nella memoria collettiva. Ma perché queste parole restano così impresse, più di molte altre opere letterarie o cinematografiche dedicate a Napoleone?

Napoleone Bonaparte è stato protagonista di innumerevoli racconti, che ne hanno esplorato la complessità e l’impatto storico. Lo ritroviamo come il temibile nemico del popolo russo in Guerra e pace di Tolstoj, come l’eroe celebrato da Stendhal in Vita di Napoleone, o come il simbolo delle speranze tradite di libertà in Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo.

Anche il cinema ha contribuito a immortalare la sua figura: dal capolavoro muto Napoléon (1927) di Abel Gance, con le sue tecniche innovative come la polivisione, fino al recente Napoleone (2023) di Ridley Scott, che esplora l’ascesa e la caduta dell’imperatore attraverso il complesso rapporto con Giuseppina (v. anche Napoleon, Ridley Scott e quella storia modificata a piacimento | Wired Italia). E ancora prima, film come Désirée (1954) e Waterloo (1970) hanno cercato di catturare il genio e le contraddizioni di un uomo che ha cambiato il corso della storia.

Tuttavia, nonostante i tanti ritratti dedicati a Napoleone, una singola strofa di Manzoni riesce a racchiudere l’immensità e la potenza del dominio napoleonico, trasformandolo in un’immagine universale grazie alla forza delle figure retoriche:

Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.

Manzoni, con poche parole, riesce a condensare l’estensione geografica e la grandezza delle imprese di Napoleone, unendo alla forza visiva una riflessione profonda sul significato storico e morale del suo operato.

Ma cosa rende questi versi così potenti? La maestria nell’uso delle figure retoriche, che trasforma il linguaggio in arte.

A questo punto, però, la tentazione di fare un po’ di storia della letteratura, di figura retorica in figura retorica, è troppo forte. Lasciamoci travolgere.

Le figure retoriche basate sul suono - o foniche

Le figure retoriche foniche, basate sul suono, hanno il potere di trasformare le parole in musica, evocando emozioni e immagini attraverso la sapiente scelta dei fonemi. Non si limitano a trasmettere un significato: con la loro sonorità, coinvolgono il lettore in una dimensione quasi multisensoriale.

Un esempio magistrale ci viene da Virgilio, il massimo poeta dell’età augustea, che nell’Eneide (29-19 a.C., Libro VIII, v. 452) usa l’onomatopea per evocare atmosfere naturali:

Rauco strepunt arbusta cicadis.

Le consonanti “r”, “s” e “t” riproducono il verso delle cicale, creando una finestra sulla calma e semplicità della vita campestre. Questo effetto sonoro prepara il terreno per il momento epico che seguirà: l’incontro tra Enea ed Evandro, re del piccolo villaggio destinato a diventare Roma. L’onomatopea non è solo un elemento decorativo: è uno strumento per rendere la narrazione più immersiva e vivida, trasformando il lettore in “spettatore”.

Anche Dante Alighieri, nel Canto V dell’Inferno (1308-1321), utilizza l’allitterazione per coinvolgere, accendere e spegnere emozioni:

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

Le consonanti “c” e “r” di parole come cor, ch’al, ratto e gentil conferiscono al verso un ritmo rapido e vibrante, evocando la passione improvvisa con cui l’amore si accende. Al contrario, le ripetizioni delle “t” in tolta, e delle “d” in modo e m’offende introducono un tono duro e drammatico, amplificando il dolore di Francesca nel ricordare la sua separazione da Paolo. L’allitterazione non solo arricchisce il suono, ma rende il discorso di Francesca ipnotico e struggente, esaltando il dramma della sua vicenda.

Con l’esempio della consonanza, passiamo a una pietra miliare della letteratura italiana: il Sonetto 61 del Canzoniere (1336-1374) di Francesco Petrarca. Considerato una figura di transizione tra il Medioevo e il Rinascimento, Petrarca fonde la tensione religiosa del primo con l’esaltazione dell’individuo tipica del secondo. In questo sonetto, Laura, sfuggente e amata ma mai raggiunta, diventa il simbolo di un desiderio eterno e mai appagato:

Benedetto sia ‘l giorno, e ‘l mese, e l’anno,
e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto,
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato m’hanno…

La consonante “l”, dolce e liquida, si ripete in modo insistente e melodico, suggerendo una delicatezza sfuggente. Questa ripetizione richiama simbolicamente Laura, assente ma presente in ogni verso, come un ideale inarrivabile. In questo modo, Petrarca unisce il desiderio amoroso alla tensione spirituale, anticipando l’umanesimo e ponendo al centro della poesia l’individuo con le sue emozioni e contraddizioni.

Infine, con la figura retorica dell’assonanza, possiamo analizzare il celebre incipit dell’Orlando Furioso (1532) di Ludovico Ariosto:

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto.

Le vocali “e” e “a” si ripetono in modo armonioso, creando un ritmo che introduce i grandi temi dell’opera: amore, eroismo, nobiltà. L’assonanza qui non è solo estetica: essa esprime l’equilibrio perfetto tra forza e grazia, tra le “armi” e i sentimenti, che rappresenta l’essenza dell’Orlando Furioso.

Con questi esempi, emerge chiaramente come le figure retoriche foniche – dall’onomatopea all’allitterazione, dalla consonanza all’assonanza – siano strumenti potenti, capaci di trasformare la poesia in un’esperienza coinvolgente e multisensoriale, dando voce alle emozioni più profonde.

Ma le figure retoriche non si limitano a plasmare il suono: possono creare immagini così ricche di significato da racchiudere universi interi in poche parole. Vediamo come.

Figure retoriche di significato - o semantiche

Tra le figure retoriche più potenti, le figure di significato trasformano il linguaggio in uno strumento capace di creare immagini che si imprimono nella mente e nel cuore, rivelando universi di senso.

Un esempio celebre è la metafora, che ci regala un’immagine indelebile nel monologo di Jaques in Come vi piace (As You Like It, 1599) di William Shakespeare:

All the world’s a stage,
And all the men and women merely players;
They have their exits and their entrances;
And one man in his time plays many parts.

Gli attori entrano ed escono di scena, proprio come le persone nascono e muoiono, ciascuno recitando il proprio ruolo. Questa metafora, con la sua semplicità, abbraccia il mistero dell’esistenza, trasformando il linguaggio in uno specchio della condizione umana.

La similitudine, invece, rende tangibile l’ossessione di Arpagone, il protagonista de L’Avaro (1668) di Molière. In una scena, il suo forziere viene paragonato a un’amante:

Il forziere per lui è come un’amante che teme di perdere.” (L’Avaro, Atto IV, Scena 7)

La similitudine sottolinea l’attaccamento morboso e materiale di Arpagone al denaro, trasformando il suo rapporto con la ricchezza in una parodia grottesca dei sentimenti umani. Molière, con il suo genio satirico, dipinge così un ritratto amaro e universale della miseria morale.

Un altro esempio di figura retorica è l’antitesi, utilizzata magistralmente da Charles Dickens nell’incipit di A Tale of Two Cities (1859):

Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi,
era l’età della fede, era l’età dell’incredulità,
era la stagione della Luce, era la stagione delle Tenebre.

Questo incipit ci proietta nell’epoca della Rivoluzione Francese (1789-1799), in un mondo diviso tra Parigi, lacerata dal caos rivoluzionario, e Londra, che osserva con inquietudine gli eventi dall’altra parte della Manica. Dickens costruisce un confronto potente tra due città, due mondi che si riflettono e si intrecciano nelle vite dei personaggi principali: Charles Darnay, aristocratico francese in fuga dal suo passato, e Sydney Carton, avvocato inglese tormentato dalla propria mediocrità.

L’antitesi si amplifica nel destino di Carton, che si sacrifica per salvare Darnay, l’uomo amato da Lucie Manette, pronunciando una delle frasi più celebri della letteratura:

È una cosa ben fatta quella che sto per fare; è una cosa molto migliore quella che vado verso, rispetto a qualunque cosa io abbia mai conosciuto.

Con straordinaria empatia, Dickens ci mostra come anche il più imperfetto degli uomini possa trovare la redenzione nell’amore e nel sacrificio. Carton diventa simbolo della possibilità di un riscatto universale, capace di illuminare i periodi più bui della storia.

L’iperbole, invece, è la figura retorica che Victor Hugo padroneggia con maestria in Les Misérables (1862), per universalizzare la sofferenza di Jean Valjean:

La sofferenza era diventata così immensa da non sembrare più fatta per un uomo, ma per un mondo.

Con questa frase, Hugo trasforma il dolore di Valjean in un simbolo della condizione umana. Valjean non è solo un uomo: diventa la voce di tutti coloro che lottano per il perdono, la giustizia e l’amore. Insieme agli altri personaggi – Fantine, Javert, Cosette – Hugo costruisce una parabola della redenzione, dove il sacrificio personale diventa la chiave per risolvere le contraddizioni della vita.

Anche il titolo stesso di Guerra e pace (1869), capolavoro di Lev Tolstoj, è una figura retorica: un ossimoro che racchiude un messaggio universale. Guerra e pace, due opposti inconciliabili, convivono in un’unica espressione per rappresentare il ciclo eterno della Storia. Tolstoj esplora il fragile equilibrio tra distruzione e armonia, tra caos e speranza, intrecciando le vite dei suoi personaggi in un affresco storico e umano senza precedenti.

Le figure retoriche di significato ci hanno mostrato come il linguaggio possa creare immagini potenti e universali. Ma non è solo il significato a rendere memorabile un messaggio: l’ordine delle parole, il ritmo e la struttura giocano un ruolo altrettanto decisivo. Scopriamo insieme le figure retoriche sintattiche, dai versi immortali della letteratura alle frasi iconiche della pubblicità.

Le figure retoriche sintattiche - dalla letteratura alla pubblicità

Le figure retoriche di costruzione, conosciute anche come sintattiche, trasformano il linguaggio in arte. Attraverso la manipolazione dell’ordine e della struttura delle parole, queste figure creano ritmo, enfasi e profondità. Non sorprende che, dalla letteratura classica al linguaggio pubblicitario, questi strumenti siano stati utilizzati per rendere i messaggi memorabili e suggestivi.

L’anafora, con la sua ripetizione all’inizio di frasi o versi consecutivi, crea un ritmo ipnotico che cattura l’attenzione. Dante Alighieri la utilizza in maniera magistrale nei versi scolpiti sulla porta dell’Inferno:

Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.” (Inferno, Canto III)

La ripetizione di “Per me si va” amplifica il senso di ineluttabilità, trasformando il messaggio in una solenne dichiarazione di destino. Anche in pubblicità, questa struttura ha trovato applicazione in slogan iconici, come quello di KitKat:

Have a break,
have a KitKat.

Creato dall’agenzia J. Walter Thompson nel 1957, questo claim utilizza l’anafora di “Have a…” per associare il concetto di pausa (break) al gesto quotidiano di spezzare e gustare la barretta. L’allitterazione (“break” – “KitKat”) e l’onomatopea evocata dal verbo break aggiungono musicalità e rafforzano la memorizzazione. Questo slogan, semplice ma potente, rimane uno dei più riconoscibili della storia pubblicitaria (si v. KitKat compie 85 anni, celebre lo slogan “Have a Break, Have a KitKat” inventato nel 1957 dal pubblicitario inglese Donald Gille #abreakforhaveabreak – Food Affairs).

L’epifora, opposta all’anafora, si concentra sulla ripetizione alla fine di frasi o versi, conferendo al discorso un senso di chiusura e intensità. Gabriele D’Annunzio la utilizza con maestria in La pioggia nel pineto:

Più sordo e più fioco s’allenta, si spegne.
Sola una nota ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.

La ripetizione finale di “si spegne” crea un effetto di dissolvenza e fluidità, in perfetta sintonia con il tema naturale del componimento. Anche in pubblicità troviamo esempi epiforici, come nello slogan di Dyson:

Solo un Dyson aspira come un Dyson.

Il claim ripete il nome del brand alla fine, sfruttando un potente simbolismo fonetico: il suono “s” in “Solo”, “Dyson”, e “aspira” richiama simbolicamente il flusso d’aria e l’azione di aspirare. Il marchio non solo comunica unicità, ma lo fa evocando l’esperienza stessa del prodotto (approfondisci: Come difendere uno slogan commerciale – Canella Camaiora).

Un’altra figura sintattica particolarmente interessante è l’anastrofe, che consiste nell’inversione dell’ordine naturale delle parole. Questo artificio attira l’attenzione e aggiunge enfasi, rendendo il messaggio più memorabile. Un esempio iconico si trova nel titolo del romanzo di F. Scott Fitzgerald, Tender Is the Night. L’ordine naturale della frase sarebbe stato “The night is tender”, ma l’inversione pone “Tender” (tenera) in posizione iniziale, donandole una carica emotiva e poetica.

Anche il linguaggio pubblicitario sfrutta spesso l’anastrofe per sorprendere il pubblico. Uno slogan celebre è quello di Adidas:

Impossible is nothing.

Posizionando “Impossible” all’inizio, lo slogan mette in evidenza ciò che si vuole sfidare. La costruzione retorica conferisce al messaggio una forza motivazionale, trasformando il concetto di impossibile in un’idea da superare (approfondisci: Qual è la modalità corretta per costruire il payoff di un brand? – Canella Camaiora).

Il chiasmo, invece, consiste nella disposizione incrociata di elementi in una frase o verso, secondo lo schema ABBA. Questa struttura crea simmetria e armonia, enfatizzando i concetti centrali. Un esempio celebre si trova in Ludovico Ariosto, Orlando Furioso:

Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori.

La disposizione ABBA mette in relazione “donne” e “amori” (A-A) con “cavalier” e “arme” (B-B), sottolineando il binomio amore-guerra, cardine dell’opera. In pubblicità, un esempio noto è lo slogan di Pennelli Cinghiale:

Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello.

La costruzione A B B A (“pennello grande” → “grande pennello”) gioca con l’inversione, rendendo il messaggio memorabile e ritmico.

L’ellissi, invece, omette elementi della frase, lasciando al destinatario il compito di completarne il significato. Un proverbio esemplificativo è “A buon intenditor, poche parole”, che suggerisce come chi comprende non abbia bisogno di spiegazioni. Anche Alessandro Manzoni, nel Cinque Maggio, sfrutta l’ellissi, elidendo il verbo spetterà :

Ai posteri l’ardua sentenza.

In pubblicità, esempi celebri di ellissi sono gli slogan di Conad: “Persone oltre le cose” e “Bassi e Fissi”. Nel primo caso, si sottintende un’azione come “Mettiamo le persone oltre le cose”, mentre nel secondo si elimina “prezzi”, implicando “prezzi bassi e fissi”.

Il polisindeto, con la ripetizione di congiunzioni, dona al discorso un ritmo solenne e meditativo. Nel Libro della Genesi leggiamo:

E Dio disse: «Sia la luce». E la luce fu. E Dio vide che la luce era cosa buona.

Al contrario, l’asindeto elimina le congiunzioni, rendendo il ritmo dinamico e serrato. La celebre frase di Giulio Cesare:

Veni, vidi, vici.

simbolizza la rapidità e la forza della vittoria. Nella pubblicità contemporanea, l’asindeto trova applicazione nello slogan di Unieuro:

Batte. Forte. Sempre.

Le parole isolate creano un ritmo deciso, evocando energia e affidabilità.

Le figure retoriche sintattiche dimostrano che l’ordine delle parole è decisivo per dare ritmo e significato al discorso. Dalla Bibbia a Giulio Cesare, da un verso immortale a uno slogan pubblicitario, queste figure condividono il potere di trasformare il linguaggio in un’arte senza tempo.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 27 Dicembre 2024
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre 2024

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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