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Know-how e informazioni aziendali: il caso del dipendente infedele.

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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Il saper fare (know-how) è la chiave della sopravvivenza di ogni imprenditore sul mercato, soprattutto in tempi di crisi. Ogni impresa, infatti, costruisce nel tempo un patrimonio di conoscenze aggregate che rappresenta il cuore del suo avviamento strategico. Spesso accade, però, che alcuni dipendenti e collaboratori sottraggano informazioni aziendali (riservate e non) per finalità proprie o, ancor peggio, per rivenderle ai competitor.

Qual è il bagaglio di conoscenze di proprietà del dipendente e quali informazioni, invece, appartengono all’impresa? Oltretutto, non è sempre agevole distinguere quali condotte dei dipendenti o dei collaboratori siano lecite e quali invece no. In questo articolo tratteremo i seguenti argomenti:

1.- Quali sono le informazioni che appartengono all’impresa;

2.- Come agire quando un dipendente ruba il know-how;

3.- Come prevenire efficacemente la sottrazione delle informazioni.

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1.- Quali sono le informazioni aziendali (know-how) che appartengono all’impresa

Se si tratta di informazioni riservate, in Italia, la “Rivelazione di segreti scientifici o commerciali” è addirittura un reato. Il che rafforza la tutela civilistica esistente. Infatti, i “segreti commerciali” sono tutelati  dal D. Lgs. N. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) a condizione però che il titolare adotti “misure ragionevolmente adeguate” a preservarne la riservatezza. La disciplina copre diverse categorie di informazioni, ad esempio:

  • algoritmi di software,
  • formule chimiche o matematiche,
  • sistemi di organizzazione aziendale,
  • progetti i riservati,
  • liste di clienti e fornitori
  • etc.

Del resto, l’impresa sostiene sempre notevoli investimenti raggiungere il proprio saper fare (know-how) e proprio per questa ragione tali investimenti meritano di essere protetti dalla Legge. Non è affatto necessario che le informazioni riservate siano nuove per essere tutelate dalla Legge. E’ infatti sufficiente che esse, oltre ad avere un valore economico, non siano agevolmente rintracciabili al di fuori del “recinto aziendale” nel loro insieme (ovvero in forma aggregata).

Si noti che, sebbene i lavoratori dipendenti siano già tenuti per Legge alla fedeltà e alla riservatezza (ex art. 2105 Codice Civile), è comunque molto bene ricordare loro (nel contratto di lavoro, nel regolamento aziendale e nelle circolari) “cosa” debba essere considerato riservato e quali possano essere le conseguenze di una eventuale violazione della riservatezza.

La riservatezza è ancora più rilevante quando ci si relaziona con collaboratori esterni all’azienda. In questi casi diventa effettivamente indispensabile ottenere un valido vincolo di segreto mediante un accordo di riservatezza puntuale (ci siamo già occupati di questo argomento nell’articolo: “A cosa serve un accordo di riservatezza?“). Si noti infatti che solo quando un patto di riservatezza esiste allora sarà effettivamente possibile vietare ad altri di appropriarsi delle informazioni aziendali e, quindi, del Know-how.  Del resto, il principio generale è quello della libera circolazione delle informazioni e delle conoscenze (non il contrario).

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2.- Come agire quando un dipendente ruba il know-how

In un interessante caso giunto al vaglio della Corte di Cassazione [Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-02-2020) 04-06-2020, n. 16975] un gruppo di dipendenti, insieme ad un collaboratore esterno, aveva sottratto informazioni aziendali utili alla costruzione di un dispositivo tecnologico innovativo. Le evidenti ragioni del “furto” risiedevano nell’invitante opportunità di cedere le informazioni a un competitor per trarne vantaggio.

Secondo la Cassazione, gli imputati… hanno potuto comprimere al massimo i tempi di realizzazione di un prodotto fortemente concorrenziale senza incorrere negli errori nei quali normalmente si imbatte chi affronta nuove realizzazioni, con conseguente notevole vantaggio patrimoniale“. Ed ancora: “in un sistema capitalistico sempre più connotato dalla velocità, e dalla rapida obsolescenza dei prodotti industriali, assume decisiva rilevanza valoriale il know-how“.

L’art. 623 del Codice Penale in merito alla “Rivelazione di segreti scientifici o commerciali” punisce con la reclusione fino a due anni “chiunque, venuto a cognizione per ragioni del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto.

Tuttavia, nonostante esista questa fattispecie di reato non ne discende automaticamente che la via penalistica sia sempre la migliore, in termini strategici, per proteggere il proprio know-how. L’art. 124 CPI prevede le misure e sanzioni civili che possono essere richieste al Giudice in caso di violazione di diritti di proprietà industriale (ovvero dei segreti), tra cui:

  • l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso delle cose costituenti violazione [dei segreti];
  • l’ordine di ritiro definitivo dal commercio delle medesime cose nei confronti di chi ne sia proprietario o ne abbia comunque la disponibilità;
  • la fissazione di penali per reiterata violazione [dei segreti];
  • la distruzione di tutte le cose costituenti la violazione [dei segreti]…

Inoltre, il giudice può disporre, in alternativa all’applicazione delle misure di cui al presente articolo e su istanza della parte interessata, il pagamento di un indennizzo. 

Attenzione però! Per intraprendere un’azione a protezione dei segreti, è indispensabile che i segreti siano effettivamente tali. E’ necessario, a monte, che esista un sistema aziendale, informativo e contrattuale, a protezione dei segreti.

Nel prossimo paragrafo vedremo come mettere in atto una buona (e indispensabile) strategia di protezione dei  segreti aziendali e del know-how riservato.

3.- Come prevenire efficacemente la sottrazione delle informazioni

Ogni dipendente acquisterà, nel corso della sua vita lavorativa, un certo ammontare di nozioni e conoscenze che porterà con sé (anche dopo la cessazione del suo rapporto lavorativo con una specifica impresa) e, francamente, non ci sarà alcun modo di impedire che questo accada. Tuttavia, il dipendente non potrà mai asportare “in blocco” le informazioni confidenziali.

Infatti, deve essere considerato illecito “il trasferimento di un complesso di informazioni aziendali  […] che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito” [Cass. civ. Sez. I Sent., 12/07/2019, n. 18772 (rv. 654770-03)].

Quindi, per mettere in atto una buona strategia di protezione delle informazioni aziendali, occorre tenere a mente una serie di nozioni sia giuridiche, sia pragmatiche. Bisognerebbe:

  1. Valutare attentamente quali siano le informazioni aziendali effettivamente rilevanti/strategiche (e qualificarle come tali);
  2. Limitare il numero di persone con accesso a tali informazioni;
  3. Verificare che nei contratti di lavoro e di collaborazione, oltre che nella documentazione regolamentare, detto richiamo alla riservatezza esista e sia sufficientemente chiaro e “temibile”;
  4. Mettere in atto un sistema di protezione fisico e informatico/digitale (con tracciamento) per evitare che i dipendenti possano estrarre in blocco le informazioni aziendali, senza essere individuati;
  5. Valutare l’ipotesi di inserire clausole/patti di non concorrenza (entro i limiti legali) con quei collaboratori interni ed esterni all’azienda che potrebbero rilevarsi più pericolosi in virtù del loro ruolo e delle informazioni con cui essi entrino in contatto.

Nella nostra esperienza, i migliori risultati in termini di protezione del know-how si ottengono con la predisposizione di policy aziendali serie e credibili. Esse, infatti, mettono i collaboratori, per un verso, nella condizione di prendere atto del valore delle informazioni aggregate. Per altro verso, di temere ripercussioni dovute alla violazione delle policy stesse.

Inoltre, nell’ambito di un contesto normativo come quello descritto, è molto importante mettersi nella condizione di poter agire rapidamente dimostrando chiaramente al giudice come l’impresa sia pienamente consapevole del valore del proprio know-how e, in tale ottica, delle misure di difesa esistenti e dello spregio delle stesse dimostrato dal dipendente o dal collaboratore che le ha violate. Solo in questo modo sarà possibile ottenere rapidamente i provvedimenti che occorrono.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 10 Settembre 2020
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023
Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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