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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 698/2023, ha fornito alcuni importanti chiarimenti in merito alle invenzioni del dipendente. In particolare, la Corte ha precisato quali sono le condizioni per cui il dipendente ha diritto al c.d. “equo premio” (cfr. art. 64 Codice della Proprietà Industriale, “CPI”).
In questo articolo:
Il Sig. X, dipendente di Trenitalia SpA, al di fuori delle mansioni contrattualmente previste, ideava alcune apparecchiature innovative che consentivano il superamento di difficoltà operative riscontrate sino a quel momento durante il lavoro e aumentavano notevolmente l’efficienza datoriale.
Alla luce dell’attività inventiva posta in essere, il Sig. X, in qualità di dipendente, chiedeva che gli venisse riconosciuta una retribuzione per quanto ideato, ossia il c.d. “equo premio”. Trenitalia si opponeva a tale richiesta e, pertanto, il dipendente si rivolgeva al Tribunale per vedere accertati i propri diritti.
Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello di Roma, aderendo alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, riconoscevano la brevettabilità dell’invenzione e il suo utilizzo in regime di segretezza da parte di Trenitalia, accogliendo la domanda attorea e riconoscendo il diritto del dipendente all’equo premio.
L’articolo 64 del CPI disciplina le c.d. “invenzioni dei dipendenti” (per un approfondimento in merito si veda il nostro precedente contributo: A chi appartiene l’invenzione del lavoratore dipendente?).
Nel caso in esame, la questione riguarda il comma 2 dell’articolo sopra citato, vale a dire le c.d. “invenzioni di azienda”. Si tratta del caso in cui tra le mansioni del dipendente non sia ricompresa l’attività inventiva (come è invece per i lavoratori che fanno parte, per esempio, dei dipartimenti di ricerca e sviluppo) e, pertanto, non sia previsto uno specifico compenso per eventuali invenzioni ideate dal dipendente.
Tale comma prevede che al lavoratore spetti, oltre al diritto di essere riconosciuto come autore dell’invenzione, anche un equo premio nel caso in cui l’invenzione sia brevettata dalla società o, comunque, venga utilizzata dal datore in regime di segreto.
Nel caso di Trenitalia, l’invenzione (seppur pacificamente nuova e innovativa) non è stata brevettata dalla società, ma solamente utilizzata da quest’ultima.
Pertanto, è sul concetto di “regime di segretezza”, previsto dalla’art. 64 CPI, che verte la vicenda.
Tale articolo pertanto va interpretato insieme all’art. 98 CPI, da cui si possono desumere i requisiti secondo i quali l’invenzione può essere considerata utilizzata in “regime di segretezza”. I criteri da adottare sono i seguenti:
Stando alla tesi di Trenitalia, l’invenzione (non brevettata) non sarebbe stata utilizzata in regime di segreto, motivo per il quale il dipendente non avrebbe avuto diritto all’equo premio.
La Corte di Cassazione, ribaltando le decisioni di merito, accoglieva parzialmente il ricorso presentato da Trenitalia.
Tribunale e Corte d’Appello, infatti, avevano ritenuto che fosse una misura ragionevolmente adeguata al mantenimento della segretezza la circostanza che i prodotti realizzati e i procedimenti ideati venissero utilizzati in locali di pertinenza esclusiva di Trenitalia, ossia in aree ad accesso limitato a dipendenti autorizzati.
La Corte di Cassazione, invece, precisa che le misure per mantenere la riservatezza devono essere attuate non solo nel “momento relativo al materiale utilizzo dell’invenzione, ossia alla realizzazione del prodotto o all’impiego del procedimento, ma anche quello relativo alla custodia delle relative informazioni – generalmente, documentali -, poiché con essa si esprime in modo puntuale l’attività conoscitiva o inventiva e si permette l’utilizzazione della stessa per le finalità aziendali per un numero indefinito di volte”.
Pertanto, limitarsi a nascondere l’invenzione dallo sguardo di terze parti non autorizzate non è sufficiente a dimostrare l’applicazione delle “misure ragionevolmente adeguate”, mentre è assolutamente necessario proteggere ogni informazione e dettaglio relativi agli elementi costitutivi e all’utilizzo dell’invenzione.
La Corte, quindi, ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Roma.
Margherita Manca