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La protezione giuridica nei confronti delle vittime di illecito endofamiliare (mancato riconoscimento), con particolare riferimento al danno non patrimoniale, è una tematica delicata del diritto di famiglia. La sentenza della Cassazione n. 28551 del 2023 ribadisce principi importanti sia sul danno stesso che sui criteri di quantificazione.
Il Tribunale di Salerno, nella sentenza n. 1913/2015, ha emesso un verdetto di riconoscimento della paternità, stabilendo successivamente, con la sentenza definitiva n. 855/2020, sia l’ammontare di un assegno di mantenimento pari a € 300 mensili che un risarcimento di € 40.000.
La Corte d’Appello distrettuale, incaricata di riesaminare il caso da entrambe le parti coinvolte nella controversia legale, ha ribadito la conferma della paternità, basandosi non soltanto sui risultati di un test del DNA ma anche su altre prove circostanziali, come ad esempio la dimostrazione della frequentazione tra la madre e l’uomo coinvolto. La Corte ha altresì convalidato la determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento, sostenendo che la consapevolezza del padre in merito alla procreazione era manifesta. Infine, la Corte ha osservato che non sono state presentate prove sostanziali di danni non patrimoniali specifici.
All’esito di questa sentenza, entrambe le parti presentavano ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, nel cassare la sentenza impugnata, ha stabilito con chiarezza che le violazioni dei doveri di genitore non si risolvono unicamente nel perimetro del diritto di famiglia. Piuttosto, quando queste violazioni generano lesioni di diritti protetti dalla Costituzione, esse possono dar luogo ad un’azione autonoma rivolta al risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 del codice civile italiano.
Ed infatti, in tema di illecito endofamiliare, la Cassazione ha ribadito ancora una volta che “la violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi recentemente e ripetutamente affermati da questa stessa Corte in tema di danni alla persona”.
Il danno non patrimoniale viene concepito in chiave unitaria e onnicomprensiva. Il principio che viene ribadito dalla nostra Suprema Corte, in verità. segue la scia di diversi precedenti giurisprudenziali scanditi con Cass. 26301/2021, Cass. 28989/2019, Cass. 7513/2018.
Il giudice di merito, pertanto, deve analizzare ogni singola conseguenza lesiva scaturita dall’illecito, compresi i danni morali e quelli che impattano la sfera dinamico-relazionale del danneggiato (si v. Cass. 23469/2018 e Cass. 901/2018), basandosi su di una compiuta istruttoria atta ad appurare il concreto, e non meramente astratto, il danno patito.
Riguardo alla determinazione del quantum del danno non patrimoniale, in particolare nell’ipotesi di totale assenza della figura paterna, la Corte ha optato per il criterio “equitativo”.
La Suprema Corte ha precisato che “l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, a condizione che la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito”. Questa scelta, se debitamente motivata, non è quindi sindacabile in sede di legittimità, come evidenziato da Cass. 24070/2017 e Cass. 5090/2016.
Tuttavia, la sentenza critica la modalità di quantificazione adottata dai giudici di merito, poiché, pur prendendo come punto di riferimento le tabelle milanesi, non ha valutato adeguatamente le specifiche circostanze del caso. L’omissione di circostanze con rilevanza sul danno e l’attribuzione di peso a circostanze irrilevanti manifesta può rappresentare una violazione dell’art. 1226 del codice civile italiano.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 28551 del 2023, pone in primo piano la tutela della prole e dei suoi diritti inviolabili nel contesto familiare, proponendosi come guida interpretativa nella definizione del danno non patrimoniale in caso di assenza di uno dei genitori.
Questo nuovo orientamento invita i giudici a una maggiore scrupolosità nell’analisi delle prove presentate dalle parti per meglio aderire alle effettive circostanze del caso – di cui è indispensabile dare conto in motivazione – e ciò per garantire una giustizia più rispettosa dei diritti fondamentali dell’individuo.
Lorenzo Franzè