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Il licenziamento in caso di rifiuto di sottoporsi a visita medica

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Debora Teruggia
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La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza del 13 luglio 2022 nr. 22094 si è espressa in merito alla legittimità del licenziamento per giusta causa di una lavoratrice che non si era sottoposta a visita medica richiesta dall’azienda per un cambio di mansioni. In questo articolo, vedremo: 

Il caso: la lavoratrice licenziata per non essersi sottoposta a visita medica

Il caso in esame riguarda una lavoratrice si è rifiutata in due occasioni di effettuare la visita medica obbligatoria imposta dal datore di lavoro al fine di porre in essere un cambio di mansioni: nel primo caso poiché la stessa ha lamentato l’inidoneità del luogo di svolgimento degli esami (sala riunioni) mentre nel secondo caso,  asserendo l’illegittimità del cambio mansioni, non si è presentata il giorno stabilito per la visita.

La lavoratrice è stata quindi licenziata per giusta causa poiché il rifiuto di sottoporsi alla visita medica – dal punto di vista del datore di lavoro – è stato ritenuto ingiustificato. In particolare, il datore di lavoro ha considerato tale diniego illogico soprattutto perché la richiesta di visita medica scaturiva da un obbligo di legge. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte di Appello hanno dato ragione al datore di lavoro, tuttavia, la lavoratrice ha deciso ugualmente di sottoporre il caso alla nostra Suprema Corte di Cassazione.

Prima di analizzare le motivazioni della Suprema Corte, vediamo però cosa dice la Legge riguardo  al rifiuto di sottoporsi alla visita medica.

Gli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro

L’art. 41 del c.d. TUSL Testo Unico in materia di Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. n. 81/2008) impone al datore di lavoro di sottoporre il dipendente ad accertamenti sanitari in caso di cambio di mansioni. 

L’art. 20 dello stesso Decreto impone altresì al lavoratore di sottoporvisi, ritenendo giustificato il rifiuto per soli motivi oggettivi. l’accertamento medico ha infatti l’obiettivo di verificare l’idoneità del lavoratore a svolgere le nuove e diverse mansioni assegnate. 

L’eventuale mancata convocazione alla visita medica, quindi, determinerebbe una grave violazione di Legge da parte del datore di lavoro. La lavoratrice, tuttavia, impugnando il provvedimento dinanzi alla Suprema Corte, aveva ritenuto che i giudici di primo e secondo grado non avessero valutato, da un lato, l’elemento soggettivo e cioè la buona fede nel rifiutarsi di sottoporsi alla visita medica e, dall’altro, che la sanzione del licenziamento fosse comunque sproporzionata rispetto alla condotta contestata.

Il punto di vista della Suprema Corte (ord. del 13 luglio 2022 nr. 22094)

Secondo la dipendente essendo illegittimo il cambio di mansioni sarebbe stato giustificato anche il rifiuto di sottoporsi alla visita medica. Il rifiuto, civilisticamente, sarebbe stato quindi assimilabile all’istituto della eccezione di inadempimento. L’istituto rappresenta una forma di autotutela per le parti nei contratti a prestazioni corrispettive. 

Infatti, quando una parte vede violato il proprio diritto si può rifiutare di adempiere. L’art. 1460 Codice Civile prevede infatti che «nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede». 

Così, la dipendente si era rifiutata di presentarsi alla visita medica, lamentando un demansionamento ma la suprema corte ha avuto modo di chiarire che «La reazione della lavoratrice. non è assolutamente giustificabile ai sensi dell’art. 1460 cc perché, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti».

La decisione della Corte si è concentrata quindi sul significato di eccezione d’inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cc. La norma riguarda solo ipotesi di condotte e richieste datoriali tali da incidere irrimediabilmente sulle esigenze vitali del lavoratore. 

Il rifiuto “in buona fede” della lavoratrice

In questo caso, la richiesta di visita medica del datore era giustificata dal TUSL e il rifiuto che ne è seguito è stato tanto grave da legittimare un licenziamento per giusta causa: «Nel caso de quo[ndr la corte] ha ritenuto comprovati l’illegittimità del comportamento omissivo della dipendente, punito anche con sanzioni penali, e lo scopo della condotta del datore di lavoro, finalizzata alla prevenzione rispetto alla sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro cui l’art. 41 del D.lgs. n. 81 del 2008 è improntato».

Anche se la lavoratrice fosse stata in buona fede, la sua effettiva intenzione (c.d. elemento soggettivo) non avrebbe potuto avere alcun rilievo di fronte ai precetti del TUSL, sanzionabili anche penalmente. 

Se anche il cambio di mansioni da parte del datore di lavoro fosse stato ingiustificato o illegittimo, la lavoratrice avrebbe potuto presentarsi ugualmente alla visita medica e contestare successivamente il comportamento del datore di lavoro dinanzi alle autorità competenti. Gli strumenti a tutela del dipendente ci sono e sono molteplici: come professionisti attivi nel settore, noi di Canella Camaiora siamo a vostra disposizione anche e soprattutto per gestire situazioni complesse.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 17 Novembre 2022
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.
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