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In questo articolo parliamo della categoria dei contratti stipulati tra imprese e professionisti, ad es. designer e illustratori, per la realizzazione di design, loghi o di altre opere grafiche.
Sommario:
Un contratto ben fatto normalmente consente di evitare fraintendimenti e litigi tra le parti, mettendo in chiaro il loro accordo grazie a poche clausole dedicate. Oltre a stabilire il corrispettivo, il contratto per la realizzazione di design e loghi, serve a definire con esattezza quali diritti dovranno essere ceduti o garantiti al committente ed esattamente quale opera dovrà essere creata. Rientrano in questa categoria di contratti quelli per la creazione di:
Accade soventemente che il committente si rifiuti di firmare il contratto e che l’opera, quindi, venga sfruttata addirittura senza contratto. Così facendo, però, ambo le parti restano nell’incertezza dei loro effettivi diritti. In altri casi accade che vengano utilizzati modelli di contratto fai-da-te o reperiti sul web. Questi contratti oltretutto risultano spesso inutilmente complessi e, soprattutto, hanno il difetto di non aderire alla effettiva volontà delle parti. Proprio per questa ragione, il più delle volte, capita che ci si rifiuti di firmare.
Quando si redige un contratto sarebbe molto importante riportare almeno le intese che sono già state raggiunte nella fase delle trattative (c.d. pre-contratto) relativamente a:
Se la controparte non viene colta di sorpresa è più probabile che sottoscriva il contratto di buon grado.
Trattandosi della creazione di opere – anche se grafiche come design e loghi – il contratto viene normalmente ricondotto alla categoria civilistica del contratto d’opera. Ai sensi dell’art. 2222 Codice civile si può parlare di contratto d’opera “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”.
Ebbene, i caratteri essenziali del contratto d’opera sono:
Quando però il contratto riguarda illustrazioni (abbinate a testi e quindi a opere letterarie) per cui l’interesse dell’autore è la pubblicazione, diffusione e sfruttamento curata da un editore – soprattutto mediante la stampa su supporto cartaceo – occorre però fare riferimento alla disciplina speciale del contratto di edizione (art. 118 e ss. della L. 633/1941).
Giova sottolineare tuttavia che se le illustrazioni o il design vengono creati per il loro sfruttamento industriale/commerciale bisogna tenere a mente che è soprattutto tale sfruttamento che condiziona la struttura del contratto. Vediamo perché.
L’impresa o il committente, rivolgendosi a un designer o a un illustratore, si aspetta soprattutto che l’opera commissionata risulti nuova e originale. Infatti, grazie al contratto, l’impresa acquisterà il diritto di pubblicare, riprodurre e, quindi, di adottare il design o il logo nell’ambito della propria attività, trasformando l’opera dell’autore in vero e proprio ritorno economico.
Quindi, anche se si pensa che il preventivo dell’autore/progettista possa bastare, in realtà non è mai così. Infatti, è il passaggio della “proprietà intellettuale” che ha bisogno di previsioni specifiche. Queste clausole sono difficili da standardizzare perché riguardano:
Poiché la disciplina legale è piuttosto scarna, l’azienda e il designer avranno ampio margine per definire il contratto a loro piacimento. Infatti, non esiste un fac-simile o un modello definito di contratto d’incarico applicabile a questo settore.
Di prassi, i committenti più strutturati sviluppano modelli di contratto che vengono utilizzati per commissionare la creazione delle opere grafiche che servono ai loro scopi. Viceversa, alcuni designer o agenzie adottano modelli di contratto creati per disciplinare in modo omogeneo (pur prevedendo alcuni campi aperti e scelte alternative) la gestione del rapporto con la clientela.
Nella prassi, quindi, uno studio legale specializzato viene interpellato per creare il c.d. “contratto master” ovvero il modello di contratto che, essendo studiato sulle specifiche necessità del cliente (progettista o impresa che sia), risulti personalizzato ma “ripetibile”. Oppure, in alternativa, lo studio legale viene incaricato di revisionare specifici contratti per singole commesse di particolare importanza.
Devo dire, tuttavia, che nella maggior parte dei casi, l’avvocato viene chiamato solo a posteriori, quando ci si trova in mancanza di un contratto o quando esso viene contestato, insomma quando c’è già un problema da risolvere.
Al di là delle definizioni normative questo tipo di contratto dovrebbe essere sempre costruito all’insegna della collaborazione. Il progettista che lavora per un’azienda, infatti, ha l’importante compito di declinarne l’identità in termini grafici (ad es. marchi, loghi, siti Web) o si occupa materialmente di dare forma a specifici progetti (packaging, tessuti, prodotti).
Nella fase preliminare, il progettista è sempre tenuto a raccogliere le indicazioni del committente (c.d. briefing). Difficilmente si potranno appagare le sue richieste se non si dedica la giusta attenzione alla raccolta delle informazioni tra cui anche quelle relative all’utilizzo che si intende fare delle creazioni.
Inoltre, il committente deve impegnarsi a collaborare con il designer fornendogli in un termine predefinito tutte le informazioni e i documenti utili alla progettazione. Un buon contratto precisa anche l’impiego che verrà fatto delle opere perché è soprattutto da questo che dipende l’entità del corrispettivo.
Essere operatori professionali significa anche essere in grado di gestire la fase di briefing in modo rapido e concreto. Un contratto professionale, attraverso apposite opzioni e check list, aiuta nella classificazione tempestiva delle richieste al fine di abbinare ad esse l’applicazione di clausole dedicate allo sfruttamento.
E’ naturale che il committente, dopo la creazione, chieda delle modifiche per adattare l’opera al suo gusto o alle sue specifiche esigenze. Il contratto deve prevedere questa ipotesi in modo pratico e specifico, offrendo soluzioni ragionevoli alle parti.
In alcuni casi, viene previsto che il designer debba proporre al committente un certo numero di alternative tra cui quest’ultimo potrà scegliere. In altri casi, il contratto prevede e limita il numero di richieste di modifica successive alla presentazione ufficiale.
Per risolvere l’annosa questione delle modifiche, ogni avvocato specializzato conosce una serie di clausole alternative, già testate, da mettere al servizio dei propri clienti. In casi particolari, una buona tecnica redazionale, abbinata alla conoscenza del settore, consente al legale di predisporre clausole dedicate e personalizzate.
Come detto sopra, ogni progettista viene selezionato soprattutto per la sua capacità creativa e, conseguentemente, molti contratti prevedono semplicemente che, in cambio di un congruo compenso, il progettista garantisca l’originalità di quanto creato.
Si badi bene però, anche se in molti casi il compenso del designer viene agganciato in modo proporzionale (c.d. Royalties) al numero di riproduzioni e/o di copie vendute, egli non è mai tenuto a garantire il risultato commerciale associato e/o derivante dal proprio apporto creativo.
Cosa accade però se l’opera risulta “non totalmente creativa” o comunque dia adito a contestazioni da parte di altri soggetti?
Ovviamente, in caso di controversie, occorrerà rimettersi alla valutazione di un giudice. Tuttavia, un contratto professionale avrebbe potuto limitare tale ipotesi. Non si può pretendere che un creativo conosca a menadito il settore dell’impresa committente e i suoi concorrenti.
Il designer potrà essere ritenuto responsabile nell’ipotesi in cui la Puma dovesse dolersi di un logo raffigurante un felino balzante, progettato su esplicita richiesta di un committente?
Piuttosto che porsi tali complesse questioni giuridiche, ferma la progettazione in buona fede di un’opera originale da parte del designer, sarebbe stato più opportuno chiaramente prevedere in contratto tale ipotesi.
Una clausola del contratto, infatti, potrebbe prevedere sia il diritto della committente di registrare a suo nome il logo o il design presso l’Ufficio Marchi e Brevetti sia di farsi carico delle normali verifiche tecnico-legali (c.d. ricerche di anteriorità) che precedono ritualmente lo sfruttamento di un’opera grafica nel commercio, ad esempio come marchio.
In un contratto per la realizzazione di opere creative è sempre consigliabile specificare a chi spetti la proprietà intellettuale delle opere ovvero, più specificamente, a chi spettino i relativi diritti di sfruttamento patrimoniale sulle stesse.
Secondo la nostra Suprema Corte i diritti patrimoniali in linea di principio spettano al committente a titolo originario, ma soltanto nei termini e secondo le finalità del contratto stesso.
Come abbiamo visto, però, il contratto a volte non esiste (o esiste solo verbalmente) e non è sufficientemente chiaro al riguardo. Per tale ragione, è opportuno chiarire tali aspetti mediante clausole dedicate in relazione a:
Il corrispettivo riservato al designer potrà subire variazioni sostanziali in ragione di tali precisazioni ovvero in funzione dell’estensione dei diritti di sfruttamento concessi dall’autore.
Attenzione però! il fatto che il principio giuridico sia quello della libertà contrattuale non significa che la prassi commerciale non preveda regole operative o prassi commerciali granitiche che devono essere conosciute e rispettate dagli operatori (ad es. nei contratti di agenzia pubblicitaria viene previsto il patto di esclusive merceologica tra l’agenzia creativa e il cliente: sarebbe invero assai curioso che la medesima agenzia servisse due imprese concorrenti tra loro).
Non esiste una norma che consenta esplicitamente alle parti di utilizzare marchi, progetti o loghi sui rispettivi siti Web così come non esiste un decalogo giuridico illustrativo dei modi in cui deve essere apposto il credito autoriale.
Proprio per questa ragione è importante specificare chiaramente in contratto quale uso potrà essere fatto di tali elementi.
Oltretutto, accade che il committente nella fase delle trattative prometta al progettista un ritorno di immagine dalla commessa, chiedendo al contempo un prezzo di favore. Soprattutto in questi casi, è opportuno chiarire dove verrà inserito il credito dal committente in modo che tale promessa di visibilità si concretizzi mediante un obbligazione contenuta in una clausola contrattuale.
Occorre ricordare, infatti, che il committente non è obbligato dalla legge ad apporre alcun tipo di credito ma soltanto a non apporre un credito errato (perché in quel caso si tratterebbe di plagio.
Avvocato Arlo Canella