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Il Caso Chanel vs Tigotà: implicazioni legali e standard nella distribuzione di prodotti di lusso

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Debora Teruggia
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La controversia tra Chanel e Tigotà è nata quando quest’ultima ha iniziato a vendere profumi Chanel senza l’approvazione della maison. Questo caso mette in luce le complessità legate alla distribuzione selettiva di prodotti di lusso e ai diritti di un brand di limitare la vendita dei propri prodotti attraverso una rete esclusiva di rivenditori autorizzati per preservare il proprio prestigio.

Il fatto

La disputa ha avuto inizio quando Tigotà ha iniziato a vendere profumi Chanel, senza l’autorizzazione della maison. Chanel chiedeva, quindi, in via cautelare e urgente che fosse inibita la pubblicizzazione, la commercializzazione e l’offerta in vendita dei prodotti.

Un brand, infatti, può limitare la rivendita dei propri prodotti a una rete esclusiva di distributori autorizzati a condizione che il marchio sia rinomato e che tale sistema di distribuzione selettiva esista davvero. Tant’è che  questa restrizione è legittima solo se rispetta tre condizioni fondamentali:

  • Aderenza alla normativa Antitrust
  • Accertamento del prestigio dei marchi della maison e alle sue esigenze di tutela
  • Accertamento di un pregiudizio effettivo subito, alla luce dell’aura di lusso caratterizzante il brand.

In sede di reclamo cautelare, il Tribunale di Milano con ordinanza del 17 marzo 2023, ha confermato le conclusioni del giudice di prime cure in ordine alla conformità del sistema di distribuzione selettiva adottato da Chanel riconoscendone, pacificamente, il carattere celebre del marchio.

In particolare, è stato ritenuto che le modalità di vendita poste in essere da Tigotà fossero “tali da svilire in maniera significativa e consistente il prestigio e l’aura di lusso del marchio Chanel”.

L’importanza della decisione del Tribunale di Milano

Il caso in esame si è focalizzato sulla vendita fisica (vendita c.d. brick and mortar) di profumi Chanel nei negozi Tigotà, estranea alla rete di distribuzione selezionata da Chanel.

Il Tribunale ha evidenziato come il titolare di un marchio possa opporsi, con l’azione di contraffazione, alla rivendita dei propri prodotti da parte di soggetti esterni alla propria rete di distribuzione, anche qualora costoro abbiano acquistato da licenziatari o da rivenditori autorizzati. Il Tribunale ha inoltre ritenuto che le tecniche di vendita adottate da Tigotà ledessero gravemente l’immagine di prestigio di Chanel.

In particolare, si è ritenuto che l’accostamento dei prodotti Chanel a una vasta gamma di prodotti di qualità e tipologie diverse, come articoli per la pulizia domestica, prodotti per l’igiene personale a basso costo e, addirittura, a cibo per animali, potessero svilire gravemente l’immagine di esclusività associata ai prodotti Chanel.

Anche l’aspetto interno dei negozi Tigotà non rispecchia quello che ci si aspetterebbe da una profumeria di lusso. Elementi come i carrelli della spesa in plastica, scaffali disordinati e corridoi interrotti da stand pubblicitari non sono stati ritenuti adeguati dal Tribunale per allinearsi agli standard di vendita richiesti da Chanel alla propria rete autorizzata.

Infine, anche la mancanza di personale qualificato ha influito sulla decisione.

Di conseguenza, l’abbinamento di prodotti di lusso con articoli vari, un allestimento inadeguato del negozio e la mancanza di personale esperto sono da considerarsi come fattori chiave nel determinare un danno all’immagine di un brand di lusso che opera in distribuzione selettiva.

Distribuzione selettiva e vendita online

Nonostante nel presente contributo ci si focalizzi principalmente sulle vendite offline, riteniamo sia importante menzionare anche la normativa inerente le vendite online per fornire al lettore una visione più completa.

Secondo il Regolamento UE n. 330/10, oggi sostituito dal Regolamento UE 2022/720, le vendite online sono riconosciute come una modalità di vendita legittima, che non può essere proibita o limitata dal produttore.

Il divieto assoluto di vendere online è limitativo della concorrenza e, pertanto, altamente proibito. Allo stesso modo, è altresì vietato limitare la vendita online (in percentuale), reindirizzare automaticamente i clienti verso il sito web del produttore e imporre un prezzo più alto per i prodotti venduti online rispetto a quelli venduti offline.

D’altra parte, il fornitore può porre alcune condizioni alla vendita online, ad esempio:

  • Richiedere al distributore di aderire a determinati standard qualitativi per le vendite online, purché siano coerenti con quelli richiesti per le vendite fisiche.
  • Vietare esplicitamente dalla propria rete di distribuzione gli operatori che vendono esclusivamente online e richiedere ai distributori, invece, di avere punti vendita fisici come condizione essenziale per entrare nella rete distributiva.
  • Richiedere che il distributore venda offline una certa quantità di prodotti per garantire un’efficace gestione del punto vendita fisico, senza però limitare le vendite online aggiuntive.

Inoltre, nel contesto della vendita online, la giurisprudenza ha negli ultimi anni ha stabilito chiaramente quali sono gli elementi che possono danneggiare la reputazione e il prestigio di un marchio. Questi sono:

  • Collocazione dei prodotti oggetto di distribuzione selettiva sulla stessa pagina web insieme a prodotti di categorie inferiori.
  • Presenza di collegamenti che reindirizzano i clienti a siti che offrono prodotti completamente diversi.
  • Assenza di un servizio clienti adeguato, simile a quello offerto nei negozi fisici, in grado di fornire informazioni o consigli appropriati ai consumatori sui prodotti.

Questi principi sono stati stabiliti in casi giuridici specifici: Trib. Milano del 3 luglio 2019 (Amazon contro Sisley); Trib. Milano del 19 ottobre 2020 (Beautè Prestige – Shiseido contro Amazon).

Distribuzione selettiva e salvaguardia dell'immagine del brand

Le aziende che possiedono marchi prestigiosi tendono a mantenere un buon controllo sulla distribuzione dei loro prodotti al fine di salvaguardare il valore e l’immagine del marchio.

Detto valore è strettamente legato non solo alla qualità intrinseca dei prodotti, ma anche a come vengono commercializzati. Fattori come i servizi offerti prima e dopo la vendita, la presentazione dei prodotti, la scelta e la posizione dei punti vendita contribuiscono a mantenere rigorosa l’immagine del brand.

Questo concetto si riflette nella distribuzione selettiva, una strategia in cui i distributori autorizzati alla vendita dei prodotti di lusso vengono scelti in base a standard qualitativi e/o quantitativi specifici (si veda Distribuzione selettiva e tutela dei marchi di lusso: la corte di Cassazione offre alcuni spunti sui criteri di selezione della rete, a firma dell’Avv. Canella). La scelta dei rivenditori deve avvenire secondo criteri oggettivi, stabiliti indistintamente per tutti i potenziali rivenditori e applicati in modo non discriminatorio.

Una volta selezionati, i rivenditori si impegnano a promuovere e vendere i prodotti solo ai consumatori finali o ad altri distributori selezionati all’interno della rete, avendo cura di rispettare e mantenere l’immagine di prestigio del brand.

Divieti nella distribuzione selettiva: hard-core restrictions

Dati i suoi effetti di restrizione della concorrenza, la distribuzione selettiva è oggetto di apposita regolamentazione in ambito antitrust. Tale sistema di distribuzione è infatti generalmente vietato dall’art. 101 comma 1 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il quale vieta tutti quegli accordi tra imprese che impediscono, restringono o falsano il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.

In particolare, vige il divieto di:

 

  • fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita;
  •  limitare o controllare la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
  • ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
  • applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
  • subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi. 

In conclusione, desideriamo enfatizzare che la redazione e l’assistenza contrattuale costituiscono un aspetto cruciale delle competenze offerte dallo Studio Legale Canella Camaiora. La nostra esperienza nel settore ci consente di affrontare con rigore e precisione le questioni legali contrattuali, fornendo ai nostri clienti soluzioni personalizzate e mirate.

L’approccio dello studio si fonda sull’analisi dettagliata e sulla comprensione approfondita delle esigenze specifiche di ogni cliente, con l’obiettivo di redigere documenti contrattuali chiari, efficaci e conformi alla normativa vigente. La nostra priorità è la tutela degli interessi legali dei nostri clienti, assicurando un servizio di consulenza contrattuale di alto livello, caratterizzato da professionalità, etica e competenza.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 13 Dicembre 2023

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Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.
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