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Hermès la spunterà? Appello bis per Kelly e Birkin

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Margherita Manca
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L’articolo, commentando Cass. Civ., Sez. I, n. 30455/2022, illustra il significato del c.d. “secondary meaning”. 

Il caso: contraffazione delle borse “Kelly” e “Birkin”

La vicenda vede contrapposte la nota casa di moda Hermès e un produttore toscano di pelletteria.

Avendo registrato e protetto i modelli “Kelly” e “Birkin” in UE come marchi tridimensionali Hermès ne lamenta la riproduzione non autorizzata cioè la contraffazione.

contraffazione delle borse “Kelly” e “Birkin”

Il produttore toscano si difendeva sostenendo che le registrazioni dovessero essere considerate nulle perché non sufficientemente originali (distintive). Tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello davano ragione al produttore toscano, spingendo Hermès a proporre ricorso in Cassazione. 

Prima di concentrarci sulle motivazioni della Suprema Corte (ordinanza del 17 ottobre 2022 n. 30455), vediamo esattamente cosa dice la legge sui cc.dd. marchi di forma e, in particolare, sul fenomeno della capacità distintiva acquisita (“secondary meaning”). 

La strategia di difendere modelli come se fossero marchi

Si è ormai diffusa tra gli operatori commerciali la tendenza a registrare modelli di design, motivi decorativi etc. come se fossero marchi. 

La ragione di tale scelta è semplice. Se i brevetti, i design etc. hanno una durata limitata nel tempo, al contrario i marchi possono essere rinnovati all’infinito (senza limiti di tempo). 

L’art. 7 CPI, infatti, prevede che possono costituire oggetto di registrazione tutti i segni, compresi i disegni e la forma del prodotto o della confezione di esso purché siano idonei a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. 

Tuttavia, è lo stesso Codice della Proprietà Industriale a imporre alcuni limiti alla registrazione… Vediamo quali.

Quando un modello può essere registrato come marchio

L’art. 9 CPI prevede che non possano essere oggetto di registrazione i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto e della forma che dà un valore sostanziale al prodotto,

Pertanto, la forma tridimensionale di un prodotto, per principio generale, non potrebbe essere registrata come marchio quando è propria dell’oggetto stesso, ovvero intrinseca nella sua natura o funzione. 

Diverso sarebbe il caso di una forma particolarmente fantasiosa, non comune per quella merceologia, idonea di per sé a identificare e distinguere il prodotto e/o il suo produttore. 

Infatti, il Codice italiano della Proprietà Industriale, all’art. 13, prevede che non possano essere registrati come marchi i segni privi di carattere distintivo, vale a dire quelli meramente descrittivi dei prodotti o dei servizi, come ad esempio le loro denominazioni generiche, nonché quei segni divenuti ormai molto diffusi nell’uso commerciale. 

Tuttavia, il secondo comma dell’articolo citato prevede un’eccezione al principio: “In deroga al comma 1 possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo”.  E ancora, al comma 3 “Il marchio non può essere dichiarato o considerato nullo se prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità, il segno che ne forma oggetto, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato carattere distintivo”.

Il che potrebbe significare, addirittura, che una forma inizialmente banale diventi riconoscibile per via dell’intensità dell’utilizzo/sfruttamento commerciale.

La decisione della Corte di Cassazione illustra il significato degli articoli citati e finisce per ribaltare la decisione sfavorevole ad Hermes. Vediamo perché.

Si può dire che Birkin e Kelly siano borse “standard”?

La decisione della Corte di Cassazione in merito alla distintività del marchio si contrappone a quanto sostenuto dalle Corti di merito. 

Infatti, alla luce dell’art. 9 CPI, la Cassazione sostiene che la sentenza impugnata, laddove afferma che le borse Kelly e Birkin rispettano nel loro insieme i parametri canonici delle borse normalmente in commercio e che le loro forme sono standardizzate, non spiega le ragioni del difetto di capacità distintiva dei marchi sia originariamente sia alla luce dell’uso e della fama acquisita. I giudici avrebbero, infatti, dovuto condurre un esame separato volto ad accertare la sussistenza di specifiche ipotesi di non registrabilità. 

Va ricordato, inoltre, che la capacità distintiva può anche essere acquisita attraverso investimenti pubblicitari che consentono al pubblico di riconoscere immediatamente il prodotto e ricondurlo a un determinato imprenditore. 

Ma come dimostrare l’acquisizione della capacità distintiva? 

Secondary meaning, elementi di prova e consulenza tecnica di Ufficio

La Corte di Cassazione aderendo alla linea giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea riferisce che “ai fini della valutazione dell’acquisizione di un carattere distintivo mediante l’uso occorre tener conto di fattori come, fra l’altro, 

  • la quota di mercato detenuta dal marchio, 
  • la frequenza, l’estensione geografica e 
  • la durata dell’uso di tale marchio, 
  • l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo e 
  • la percentuale degli ambienti interessati che identifica, grazie al marchio, il prodotto come proveniente da una determinata impresa”. 

In particolare, strumenti per valutare il carattere distintivo possono essere le dichiarazioni delle camere di commercio e industria nonché quelle di associazioni professionali. 

Ad avviso della Cassazione, la Corte d’Appello erroneamente riconosce, quale unico mezzo di prova della capacità individualizzante delle borse, l’indagine demoscopica. Tuttavia, l’indagine condotta da Hermès era stata dichiarata inutilizzabile in quanto richiesta tardivamente. 

La Corte di Cassazione ha, però, tenuto a precisare che le indagini demoscopiche possono anche essere acquisite d’ufficio dal giudice di merito, attraverso una CTU (consulenza tecnica d’ufficio). Ulteriormente, la Suprema Corte ribadisce che è possibile trarre elementi probatori del carattere distintivo del marchio anche da fonti diverse, non essendo l’indagine demoscopica, di per sé, decisiva. 

Concludendo, la Cassazione ritiene che i giudici d’Appello non abbiano preso in considerazione la grande mole di documenti presentati da Hermès a sostegno dell’acquisizione del carattere distintivo né tantomeno hanno spiegato le ragioni della mancanza di distintività. Pertanto, sono chiamati nuovamente a giudicare il caso. 

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 15 Novembre 2022
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Margherita Manca

Laureata presso l'Università Luigi Bocconi di Milano, appassionata di Proprietà Intellettuale.
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