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Negli ultimi anni, alcune startup tecnologiche hanno introdotto un nuovo modello di licenza IP (software), chiamato “fair source“, che cerca di combinare i principi delle licenze open source con una protezione commerciale più marcata. Questo articolo esplora cos’è la Fair Source, i suoi possibili rischi e opportunità, e come potrebbe evolvere il panorama tecnologico se questo modello prendesse piede.
La Fair Source è stata introdotta da Sentry nel 2023. Sentry, una startup da 3 miliardi di dollari, ha adottato questa licenza per proteggere il proprio software utilizzato per il monitoraggio delle prestazioni delle applicazioni (si v. Some startups are going ‘fair source’ to avoid the pitfalls of open source licensing | TechCrunch, TechCrunch, 2024). Tra i suoi clienti ci sono giganti come Microsoft, Disney e Airbnb. Anche altre aziende, come GitButler (co-fondata da uno dei creatori di GitHub) hanno scelto la Fair Source per proteggere il proprio software da un uso commerciale concorrente (si v. “GitButler is now Fair Source” su blog.gitbutler.com).
La principale motivazione dietro l’adozione della Fair Source è risolvere un problema che le licenze open source tradizionali, come la MIT e la GPL, non riescono a gestire bene: la monetizzazione degli sforzi di sviluppo. Sebbene l’open source promuova la collaborazione e la diffusione gratuita del software, non sempre consente agli sviluppatori di recuperare i costi degli investimenti.
La Fair Source cerca di colmare questa lacuna. Con questa licenza, gli sviluppatori mantengono l’esclusiva del codice per un determinato periodo di tempo, dopo il quale il software diventa completamente open source.
Questo modello consente di bilanciare trasparenza e protezione commerciale, offrendo agli sviluppatori il tempo necessario per monetizzare il proprio lavoro.
La licenza Fair Source si pone come una soluzione intermedia tra il software proprietario e le licenze open source tradizionali, come la MIT e la GNU GPL.
La Fair Source cerca di offrire una via di mezzo, combinando apertura e protezione temporanea. I vantaggi che essa offre rispetto alla MIT e alla GPL sono molteplici:
Questo approccio permette alle aziende di beneficiare di un ritorno economico iniziale e, allo stesso tempo, di contribuire alla comunità open source nel lungo periodo. A differenza della GPL, non c’è l’obbligo di condividere tutto, subito e irreversibilmente, offrendo così maggiore flessibilità alle aziende, contribuendo alla sostenibilità delle stesse, sia nello sviluppo che nel ritorno economico dei loro sforzi di ricerca.
Ma come è nata questa opzione? Tra poco vedremo le origini della Fair Source e il contesto in cui è stata introdotta.
La licenza Fair Source introdotta da Sentry nel 2023 si inserisce in un panorama già caratterizzato da modelli ibridi come le licenze source-available e fair code, entrambe nate dall’esigenza di bilanciare apertura del codice e protezione economica.
Le licenze source-available, come la Business Source License (BUSL), permettono la visualizzazione e la modifica del codice sorgente, ma limitano il suo uso commerciale per un determinato periodo o per determinate categorie di utilizzatori. Sentry aveva adottato la BUSL già nel 2019 per proteggersi da aziende che utilizzavano il loro codice open source per creare prodotti concorrenti.
Anche le licenze Fair Code. Introdotte per la prima volta da Keygen, nascono dall’esigenza di proteggere gli sviluppatori. Queste licenze permettono l’uso del codice a fini di studio o miglioramento, ma impongono severe restrizioni commerciali. Il termine “fair” riflette il tentativo di bilanciare l’accessibilità del codice con la necessità di protezione economica.
In pratica, chi utilizza codice con licenza Fair Code può studiarlo e modificarlo, ma non usarlo per creare prodotti che competano direttamente con l’azienda sviluppatrice.
Il panorama delle licenze software è in continua evoluzione, e la Fair Source rappresenta una delle possibili strade per bilanciare apertura e protezione commerciale. Tuttavia, resta da vedere se questo modello riuscirà ad affermarsi su larga scala. Molto dipenderà dalla capacità delle aziende di trovare un equilibrio tra trasparenza e tutela dei propri interessi, e dalla risposta della comunità open source.
Alcuni esperti, come Amanda Brock di OpenUK, temono che l’aggiunta di nuove categorie di licenze possa complicare ulteriormente il quadro, creando confusione tra sviluppatori e aziende (si v. Some startups are going ‘fair source’ to avoid the pitfalls of open source licensing | TechCrunch, TechCrunch, 2024). La Fair Source potrebbe diventare una delle tante sfumature che rendono difficile la scelta del giusto modello di licenza.
Nonostante queste preoccupazioni, l’adozione di licenze ibride sembra destinata a crescere. Le aziende continueranno a sperimentare nuovi modelli per proteggere il proprio capitale intellettuale, pur partecipando all’ecosistema collaborativo dell’open source. In futuro, potremmo vedere la nascita di organismi di governance che regolamenteranno meglio questi modelli, come fece l’Open Source Initiative (OSI) per l’open source.
Infine, la sfida maggiore riguarda la gestione della proprietà intellettuale in un mondo dove l’intelligenza artificiale e lo scraping di dati e codici sono all’ordine del giorno. La spinta verso l’open source a tutti i costi ha rischiato di apparire ipocrita: sebbene fosse utile per sviluppare software senza costi aggiuntivi, diventava complicato giustificarla quando si trattava di vendere il prodotto e assicurare al cliente una qualche forma di esclusiva.
In definitiva, la Fair Source offre una soluzione pragmatica per un’epoca in cui i confini tra accessibilità e protezione legale sono sempre più sfumati. Sta diventando evidente che il compromesso tra condivisione e protezione non è solo una scelta, ma un’ovvia necessità per garantire la sostenibilità economica e l’innovazione nel mondo del software.
Avvocato Arlo Canella