Queste quote di eredità spettano ai cosiddetti eredi “legittimari”, primi fra tutti i figli e il coniuge. Solo se il caro estinto, nel redigere il testamento, dovesse aver violato queste regole, il testamento potrà essere impugnato in Tribunale.
Cosa succede però se il defunto dilapida il patrimonio prima della dipartita, trascurando le quote ereditarie. Cosa accade se la distribuzione avviene prima della morte?
La Legge prevede alcuni istituti giuridici finalizzati – in primo luogo – a proteggere il de cuius dal rischio di indigenza per eccessiva prodigalità, ma anche – indirettamente – a preservare il patrimonio ereditario: si tratta della curatela e, per i casi più gravi, della tutela.
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La curiosa vicenda di cui ci occupiamo oggi, regolata dalla Cassazione (Sezione I civile) con la Sentenza nr. 786/2017, si colloca in quest’ambito.
Tre figlie, preoccupate da alcuni atti di eccessiva generosità compiuti dal padre nei confronti di amici vari, decidevano di adire il Tribunale. Le figlie, per la precisione, chiedevano che il Giudice volesse dichiarare l’inabilitazione del genitore per prodigalità (ex Art. 415, secondo comma Codice Civile). Inutile dire, che in questi casi la preoccupazione è legata anche al futuro della propria quota di eredità.
Il Tribunale, accogliendo la richiesta delle figlie, aveva dichiarato inabilitato il genitore, affiancandogli un curatore.
In grado di Appello, però, la Corte aveva ribaltato il giudizio di primo grado.
In Appello fu escluso che l’uomo fosse affetto da malattie mentali o disturbi psichiatrici di sorta, ivi inclusi il deterioramento cognitivo e la prodigalità. Secondo la Corte, i disinvestimenti immobiliari e le spese del padre, tanto criticati dalle figlie, non erano frutto di prodigalità o, in generale, dell’incapacità di valutare i propri beni.
Essi sembravano invece perfettamente razionali e finalizzati al raggiungimento di scopi più che legittimi. L’ordinamento giuridico non può opporsi alla volontà di “compensare” – con un aiuto economico – l’affetto dimostrato al de cuius da una persona cara, sia pure estranea al nucleo familiare. Così come non può opporsi al desiderio di corteggiare una certa persona con regalie e via discorrendo.
La Corte d’Appello, sottolineava pure che, per quanto l’uomo avesse posto in essere atti di disposizione economicamente non trascurabili, detti atti erano stati sempre caratterizzati da lucidità e misura. Insomma, la Corte non aveva riscontrato particolari eccessi, anzi, gli atti sembravano proporzionati alle possibilità dell’uomo.
Se i Giudici d’Appello avevano sottolineato che le tre figlie si erano allontanate dal padre da circa vent’anni, anche la Cassazione ha finito per non trascurare la circostanza. L’improvviso riavvicinamento delle figlie sembrava, in effetti, finalizzato alla preservazione (egoistica) della futura eredità.
La Corte di Cassazione ha così confermato l’operato dei Giudici d’Appello. Non va dichiarato inabile per prodigalità l’anziano che decide di compiere atti di liberalità nei confronti di persone a lui care e vicine. Egli non è affatto tenuto a lasciare il patrimonio in eredità a figli assenti da anni nella sua vita.
La Suprema Corte, d’altro canto, non ha fatto altro che ribadire un orientamento consolidato: l’inabilitazione di una persona per prodigalità, come autonoma causa di inabilitazione, non deve scaturire per forza da malattia mentale.
La prodigalità può essere dichiarata soltanto sulla base di atteggiamenti “censurabili” da parte dell’Ordinamento (frivolezza, vanità, noncuranza per i vincoli di solidarietà familiare, eccetera).
Nel caso in questione, l’atteggiamento del padre si era rivelato naturalmente favorevole a persone a lui vicine, fra cui – in primis – l’unico figlio rimastogli accanto e una coppia di amici. In questo senso, gli atti compiuti dall’uomo si erano rivelati perfettamente coerenti con il tracollo di alcuni dei propri legami familiari.
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Avvocato Daniele Camaiora