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Nel mondo del lavoro, dove le promesse di successo si scontrano con le realtà quotidiane, c’è un aspetto spesso trascurato: il rendimento del lavoratore. Ogni giorno, i dipendenti si impegnano per raggiungere gli obiettivi assegnati, mentre i datori di lavoro valutano le performance dei propri collaboratori. Ma cosa succede quando il rendimento non è all’altezza delle aspettative?
Il rendimento del lavoratore pertanto diventa un tema centrale, suscitando spesso dibattiti e controversie giuridiche. Attraverso l’analisi della recente ordinanza n. 10640 del 19 aprile 2024 emessa dalla Corte di Cassazione, è possibile comprendere meglio i criteri e le condizioni che determinano la legittimità di tali licenziamenti.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il licenziamento per scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del dipendente. L’art. 1453 del Codice Civile prevede che: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento(1) o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”. Si tratta quindi di una forma di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 Codice Civile pienamente lecita in presenza di un grave inadempimento degli obblighi contrattuali ascrivibile al lavoratore.
Tuttavia, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato specifico, bensì alla messa a disposizione delle proprie energie nei confronti del datore di lavoro. Pertanto, il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé un inadempimento, a meno che non siano individuati parametri per accertare che la prestazione è eseguita con la normale diligenza e professionalità.
Il datore di lavoro si trova di fronte a un compito impegnativo: ha infatti l’onere probatorio di dimostrare la persistenza di un rendimento insoddisfacente nonostante un contesto lavorativo adeguato. Questo implica una valutazione accurata e oggettiva delle performance lavorative, che deve tener conto di una serie di criteri chiari e ben definiti.
Tra i criteri di valutazione del rendimento lavorativo, spiccano:
Ma è possibile misurare la qualità del lavoro? Quali sono gli obiettivi considerati raggiungibili e quali sono invece irraggiungibili? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che il datore di lavoro deve affrontare nel processo di valutazione delle performance dei dipendenti.
Inoltre, è fondamentale che i criteri di valutazione siano comunicati in modo chiaro e trasparente ai dipendenti, in modo che essi possano comprendere le aspettative e gli standard di performance richiesti. Solo in questo modo è possibile garantire una valutazione equa e oggettiva del rendimento lavorativo, che tenga conto sia delle esigenze aziendali sia dei diritti dei lavoratori.
La decisione di licenziare un dipendente a causa di eccessive assenze per malattia comporta considerazioni molto specifiche, distinte da quelle relative al licenziamento per scarso rendimento. Per i datori di lavoro, gestire frequenti assenze per malattia può rappresentare una sfida nell’assicurare standard continui di produttività e performance. Questo scenario richiede non solo una comprensione approfondita della normativa vigente, che regola le assenze per malattia e i c.d. “periodi di comporto”, ma anche un attento equilibrio tra le esigenze aziendali e il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Il “periodo di comporto” è un termine utilizzato nel diritto del lavoro italiano per indicare il periodo massimo di tempo durante il quale un datore di lavoro deve tollerare le assenze per malattia di un dipendente prima di poter procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cioè per l’impossibilità di mantenere ulteriormente il rapporto di lavoro a causa delle prolungate assenze del lavoratore.
Tuttavia, per i lavoratori, assenze giustificate per malattia non dovrebbero costituire una minaccia per la loro stabilità lavorativa o finanziaria come previsto dall’art. 2110 Codice Civile (per approfondire: “licenziamento per malattia: il no della Cassazione”). Le norme proteggono il lavoratore dall’essere penalizzato per condizioni di salute al di fuori del suo controllo, stabilendo che il licenziamento per “eccessiva morbilità” debba avvenire solo superando i limiti di tollerabilità definiti dalla legge o dai contratti collettivi.
A fronte di tale complessità, pertanto, è essenziale che il datore di lavoro adotti un approccio informato, avvalendosi dell’assistenza di avvocati qualificati, documentando accuratamente la propria decisione di interrompere il rapporto lavorativo. Il rispetto dei periodi di comporto e la giustificazione basata su una reale impossibilità organizzativa di mantenere il posto di lavoro sono fondamentali per evitare contenziosi e garantire che il licenziamento sia legittimo.
Alla luce dell’ordinanza della Corte di Cassazione 10640/2024, in caso di licenziamento per scarso rendimento, è opportuno valutare in modo oggettivo e documentare l’effettivo rendimento del dipendente, distinguendo tale caso da quello dell’eccessiva morbilità.
Prima di parlare di scarso rendimento, quindi, è indispensabile definire parametri di rendimento condivisi e ragionevoli, oltre a garantire ai dipendenti il supporto necessario e le risorse per migliorare le proprie performance. Resta inteso che, in caso di comprovabile scarso rendimento, sarà comunque necessario adottare misure drastiche come il licenziamento. Allo stesso tempo, però, i datori di lavoro devono essere consapevoli delle proprie responsabilità e dell’onere probatorio che incombe su di loro nel dimostrare la validità del licenziamento per scarso rendimento.
Antonella Marmo