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Diagnosi prenatale e sindrome di Down: la Cassazione torna sul diritto alla scelta abortiva

Pubblicato in: Famiglia
di Arlo Canella
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Con l’ordinanza del 27 giugno 2023, n. 18327, la Corte di Cassazione ha recentemente affrontato la questione della responsabilità civile del medico per negligenza informativa: il caso riguarda un errore nella diagnosi prenatale della sindrome di Down, un caso molto delicato che fa riflettere sul diritto alla libera determinazione nella scelta abortiva e sulle possibili conseguenze in termini di risarcimento del danno.

Il caso: l’errore diagnostico prenatale

I genitori di un bambino nato affetto da sindrome di Down chiedevano il risarcimento dei danni alla ASL, sostenendo di essere stati privati della possibilità di interrompere la gravidanza a causa di un errore commesso dal medico durante un esame prenatale. Utilizzando un software informatico per l’inserimento dei dati, il medico aveva indicato erroneamente la data di un esame, provocando un risultato distorto che indicava una bassa probabilità di presenza della sindrome.

I genitori, richiedendo un risarcimento di più di sette milioni di euro, sono stati protagonisti di due gradi di giudizio che hanno coinvolto non solo l’ASL e il medico, ma anche la società fornitrice del software e altri protagonisti della catena di elaborazione dei dati. I Giudici di primo grado e d’appello hanno rigettato la richiesta, sostenendo che i genitori non avessero fornito prove sufficienti che – se correttamente informati – avrebbero effettivamente interrotto la gravidanza.

Questa complessa vicenda giuridica solleva interrogativi profondi sulla responsabilità e l’etica nel campo medico, in particolare sul delicato equilibrio tra tecnologia, diagnosi e scelta personale. La Suprema Corte è stata quindi chiamata a fornire nuovamente la propria interpretazione dell’art. 6 della Legge 22/05/1978, n. 194 ovvero della legge sulla tutela della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Vediamo esattamente cosa dice la legge.

La privazione della possibilità di compiere una “libera scelta abortiva”

Abbiamo visto come, nella procedura di analisi, il medico avesse erroneamente inserito la data di un esame all’interno di un software informatico utilizzato per l’elaborazione dei dati. Questo sbaglio ha portato a un risultato distorto, che indicava una bassa probabilità della presenza della sindrome di Down. 

Nel pronunciarsi sulla vicenda, la Suprema Corte ha sottolineato preliminarmente che la richiesta di risarcimento del danno per la nascita con sindrome di Down, avanzata anche in nome e per conto del minore, è stata respinta fin dal principio, sulla base di una precedente sentenza che ha stabilito l’inesistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto a non nascere se non sano (Cass. Civ, SU, sent. n. 25767 del 2015). Questa domanda però, non essendo stata ulteriormente contestata in Cassazione, è dunque passata in giudicato. 

La Corte ha quindi concentrato l’attenzione sulla corretta applicazione della normativa che regola il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla privazione di una libera e consapevole scelta abortiva, considerando errato riferirsi a un “danno da nascita indesiderata.

Procedendo all’esame del ricorso principale, la Corte ha chiarito che il diritto da tutelare in questo caso è il risarcimento per la privazione della possibilità di effettuare una scelta consapevole riguardo all’aborto terapeutico, piuttosto che la nascita di un bambino menomato. 

La vicenda ruota quindi intorno a due norme. La prima è certamente l’art. 2043 del Codice Civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. 

La seconda è il già citato art. 6 della legge sull’interruzione di gravidanza: “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:

  • quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
  • quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

La Suprema Corte ha sottolineato la necessità di verificare, attraverso un accurato accertamento giudiziale, la sussistenza dei presupposti di legge per l’interruzione della gravidanza, quali la rilevanza delle malformazioni, il grave pericolo per la salute (anche psichica) della madre e la volontà di abortire. 

Si tratta, secondo gli Ermellini, di una valutazione imprescindibile da condurre con rigore e rispetto, tenendo conto delle specifiche circostanze del caso e della dignità delle scelte in gioco.

Falsa diagnosi e valutazione degli indizi

La Corte ha stabilito che la decisione dei giudici di merito è stata influenzata da gravi errori di diritto. La madre, a cui spetterebbe l’onere probatorio, può sostenere la sua posizione anche tramite presunzioni semplici, dimostrando che, se fosse stata adeguatamente informata, avrebbe probabilmente scelto di interrompere la gravidanza. Per contro, l’errore del medico, che non ha reso edotta la madre della situazione in atto, le ha impedito in concreto di prendere una decisione informata sulla gravidanza. 

Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla fattispecie, ha avuto modo di rilevare alcuni errori in diritto commessi dai giudici di primo e secondo grado.  Innanzitutto, la valutazione degli indizi deve essere bifasica: un’analisi dettagliata di ogni singolo indizio seguita da una valutazione globale. 

Le caratteristiche di precisione e gravità indiziaria sono cruciali: la precisione richiede certezza del fatto, mentre la gravità riguarda la forza dimostrativa dell’indizio. La concordanza tra gli indizi, sebbene non debba essere assoluta, deve comunque avere una prevalenza logica.

Nel caso specifico, l’errore del medico (nell’inserimento dei dati) ha portato a una falsa diagnosi. Nonostante ciò, la Corte d’Appello ha escluso il diritto al risarcimento sostenendo che non fosse provato che la paziente avrebbe interrotto la gravidanza. 

Tuttavia, la Suprema Corte ha identificato storture nel ragionamento probatorio del giudice di merito, rilevando l’eccessivo peso dato a una scelta omissiva della madre (non eseguire anche l’amniocentesi), condizionata peraltro dall’errore diagnostico del medico che aveva già dichiarato poco probabile la sindrome di Down. La corretta analisi degli indizi e la loro valutazione si dimostrano quindi essenziali per giungere a una conclusione equa e fondata.

Le linee guida della Suprema Corte sul risarcimento del danno in caso di errore

Tornando all’art. 6 della legge n. 194 del 1978, la Suprema Corte ha evidenziato un secondo errore dei giudici di primo e secondo grado. L’errore chiave evidenziato dalla Corte riguarda la valutazione del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

La Corte ha sottolineato l’importanza del giudizio ex ante, ovvero valutando la situazione di pericolo basata sulle circostanze di fatto che caratterizzano il momento in cui la decisione sulla gravidanza deve essere presa. Nel dettaglio, la Corte ha criticato l’approccio ex post adottato dalla sentenza impugnata, che aveva valutato la situazione basandosi sulla reazione emotiva della donna dopo la nascita del bambino. 

Tale valutazione, secondo la Corte, equivale a negare il diritto alla legittima interruzione della gravidanza nei casi previsti dalla legge, in particolare quando ci sono rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che possano determinare un grave pericolo per la salute (anche psichica) della donna.

Infine, la sentenza ha chiarito le linee guida per la valutazione del danno potenziale e l’eventuale diritto al risarcimento. L’accertamento del potenziale grave pericolo deve essere effettuato in concreto e in anticipo, mentre l’accertamento del danno effettivo, sia patrimoniale che non patrimoniale, deve essere condotto successivamente

Questa decisione, che ha portato alla cassazione della sentenza impugnata, fornisce un’interpretazione chiara e rigorosa della legge sull’interruzione di gravidanza, stabilendo principi fermi che dovranno guidare i futuri giudizi in materia.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 29 Agosto 2023
Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre 2023

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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