Supporto per la gestione dei buoni pasto
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Questo articolo esplora l’evoluzione normativa e i vantaggi fiscali legati ai buoni pasto, analizzando quando spettano ai lavoratori in contesti differenti, dal lavoro su turni allo smart working. Partendo dall’origine dei buoni pasto e dalla loro diffusione in Italia, l’articolo illustra i benefici fiscali per le aziende e le ultime decisioni della Cassazione che estendono i diritti dei lavoratori, inclusa la possibilità di ricevere buoni pasto anche durante le ferie. Un approfondimento dedicato non solo ai datori di lavoro ma anche ai dipendenti, per comprendere meglio l’importanza di questo benefit e i recenti orientamenti della nostra Suprema Corte.
L’origine dei buoni pasto risale al Regno Unito con il “Luncheon Voucher Scheme” del 1946, ideato per sovvenzionare i pasti dei lavoratori durante il razionamento alimentare post-bellico (si v. “A journey through time: the history of luncheon vouchers in the UK” di K. Harrington). Successivamente, nel 1954, John Hack perfezionò questo sistema, dando forma ai buoni pasto moderni.
In Italia, i buoni pasto iniziarono a diffondersi tra gli anni ’70 e ’80, per poi essere formalmente riconosciuti come benefit aziendali nel 2017 con il Decreto ministeriale n. 122, recentemente confluito nel D.Lgs. 36/2023. Oggi, il loro utilizzo si è ampliato, includendo anche contesti come lo smart working, andando oltre la tradizionale pausa pranzo.
Questi titoli di pagamento, dal valore predeterminato, sono destinati all’acquisto di cibo e bevande. Non sono trasferibili, né convertibili in denaro, e sono cumulabili fino a un massimo di otto. L’erogazione dei buoni pasto è generalmente a discrezione del datore di lavoro, salvo diversa previsione del contratto collettivo o individuale.
Dal punto di vista fiscale, i benefici per le aziende che adottano i buoni pasto sono notevoli. L’IVA sui buoni pasto elettronici è interamente detraibile con un’aliquota agevolata del 4%. Inoltre, i costi sostenuti per l’acquisto dei buoni sono completamente deducibili dal reddito d’impresa, a condizione che siano erogati alla generalità dei dipendenti o a specifiche categorie, permettendo così una riduzione della base imponibile e, conseguentemente, delle imposte sul reddito.
Un ulteriore vantaggio riguarda il trattamento fiscale per i dipendenti: i buoni pasto, entro i limiti di legge, non concorrono alla formazione del reddito imponibile e non sono soggetti a contributi previdenziali. Questo consente alle aziende di ridurre il costo del lavoro senza penalizzare il salario netto dei dipendenti. La mancanza di oneri contributivi rende i buoni pasto un’opzione economicamente vantaggiosa, soprattutto se confrontata con l’erogazione di bonus in busta paga, che comporterebbero una maggiore tassazione per entrambe le parti.
Per le aziende, dunque, adottare i buoni pasto non solo migliora il benessere dei dipendenti, ma rappresenta anche una strategia fiscale vantaggiosa sia dal punto di vista operativo che economico.
Una delle questioni più dibattute riguarda i lavoratori su turni, soprattutto in settori come la sanità pubblica, dove non sempre è possibile usufruire della pausa pranzo o del servizio mensa.
Un caso significativo è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21440 del 31 luglio 2024, che ha visto protagonista una dipendente turnista di un’azienda ospedaliera. La lavoratrice rivendicava il diritto ai buoni pasto per i turni serali, durante i quali non poteva accedere alla mensa aziendale, chiusa in quelle ore.
La Corte ha confermato il diritto ai buoni pasto come alternativa alla mensa, basando la propria decisione su due principi fondamentali: il diritto alla pausa pranzo e quello a un pasto adeguato. In linea con il D.Lgs. 66/2003, per turni superiori a sei ore è infatti obbligatorio garantire una pausa; se il servizio mensa non è disponibile, è necessario fornire i buoni pasto come sostituto.
Questa sentenza è importante perché riafferma che i lavoratori hanno diritto ai benefit aziendali anche quando l’organizzazione del lavoro non consente l’accesso alla mensa. Inoltre, i contratti collettivi nazionali (come il CCNL Comparto Sanità – si v. Contratti Collettivi Nazionali – Comparto della Sanità, su aranagenzia.it) spesso prevedono esplicitamente tali diritti, imponendo ai datori di lavoro il rispetto di queste norme.
Una svolta significativa è arrivata con l’ordinanza n. 25840 del 2024 della Cassazione, che ha riconosciuto il diritto ai buoni pasto anche durante i periodi di ferie. Prima di questa sentenza, l’erogazione dei buoni pasto veniva sospesa durante le assenze per ferie, poiché era associata alla presenza fisica del lavoratore sul posto di lavoro e alla pausa pranzo. Tradizionalmente, i buoni pasto sono stati considerati come benefit assistenziale, quindi esclusi dalla retribuzione feriale.
La nuova ordinanza modifica questa prassi, stabilendo che i buoni pasto fanno parte del trattamento economico del lavoratore e, come tali, devono essere riconosciuti anche durante le ferie. Questa decisione è coerente con la Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
Le implicazioni di questa sentenza sono rilevanti per entrambe le parti: i lavoratori possono ora richiedere i buoni pasto anche per i periodi di ferie, con possibilità di risarcimento per quelli non erogati in passato, mentre i datori di lavoro dovranno aggiornare le proprie politiche per rispettare questa nuova disposizione, con un potenziale incremento dei costi.
Il quadro normativo sui buoni pasto sta rapidamente evolvendo, consolidando i diritti dei lavoratori e imponendo alle aziende di affrontare nuove sfide. I buoni pasto restano comunque uno strumento strategico per le imprese, offrendo vantaggi fiscali e operativi. La giurisprudenza potrebbe continuare a espandere questi diritti, anche per categorie come i lavoratori in smart working, aprendo scenari futuri interessanti.
Debora Teruggia