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Come difendersi da un licenziamento

Pubblicato in: Diritto del Lavoro
di Antonella Marmo
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Il lavoratore che è stato licenziato e che vuole far valere le sue ragioni deve sapere che si può difendere facendo però attenzione ai termini di impugnazione. Tali termini sono stringenti e rigorosi. In questo articolo:

Il licenziamento e l’obbligo di motivazione scritta

Il licenziamento individuale è l’atto unilaterale con il quale datore di lavoro decide di interrompere il rapporto di lavoro.

Al fine di tutelare il lavoratore il legislatore ha garantito a quest’ultimo la possibilità di conoscere le motivazioni poste alla base del recesso del datore (c.d. licenziamento) così da poter vagliare la fondatezza di tale decisione e contestarne eventualmente la legittimità.

Nel caso in cui la lettera di licenziamento non precisi quali sono i motivi del licenziamento quest’ultimo è, per Legge, inefficace.

L’obbligo di motivazione contestuale del licenziamento

Il datore di lavoro non può comunicare la motivazione successivamente alla lettera di licenziamento: la motivazione deve essere contestuale (art. 1, comma 37 della Legge Fornero).

Oltre ad essere scritte, le motivazioni poste a base del licenziamento, per essere valide devono coincidere con una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo o soggettivo. Ne abbiamo parlato in un articolo dedicato (Lettera di licenziamento e motivazioni legittime).

Vediamo ora quali sono i termini da rispettare.

Il termine da rispettare per l’impugnazione stragiudiziale

Dopo aver analizzato le motivazioni del datore di lavoro, il lavoratore deve da tenere a mente che ha solo 60 giorni dalla data in cui hai ricevuto la lettera di licenziamento per impugnare stragiudizialmente il licenziamento.

Questo termine è essenziale in quanto, se non rispettato, il lavoratore perde la possibilità di far valere ogni successiva tutela giudiziaria contro il proprio datore di lavoro.

L’impugnazione consiste in una lettera, scritta di solito con l’assistenza di un avvocato esperto, con la quale il lavoratore contesta la validità del licenziamento. Anche se la legge non richiede particolari formule è importante che questa contestazione indichi in modo chiaro e puntuale l’intenzione di opporsi al licenziamento.

Come evitare di finire in Tribunale

Solitamente, per impugnare il licenziamento, viene conferito mandato a un avvocato giuslavorista. 

L’avvocato, dopo essersi consultato con il cliente e dopo aver raccolto tutti gli elementi utili a valutare la situazione, potrà anche adottare gli accorgimenti utili (da inserire nell’impugnazione) per aiutare il lavoratore a conciliare la vertenza senza dover necessariamente far valere le proprie ragioni in Tribunale.

L’accordo conciliativo è, di fatto, uno strumento che chiude una controversia tra il lavoratore e il datore di lavoro, evitando la sua prosecuzione giudiziale. Si parla di conciliazione, infatti, ogni qualvolta le parti risolvono “amichevolmente” la controversia. 

Per essere valido, un accordo col lavoratore deve essere sottoscritto presso apposite strutture come la direzione territoriale del lavoro o i sindacati (sarà l’avvocato ad occuparsi di tali incombenze formali).

L’importanza della collaborazione con un avvocato esperto

È fondamentale, a seguito del licenziamento, raccontare i fatti rilevanti a un avvocato esperto e far valere le proprie ragioni in modo adeguato. 

Per accordarsi con il datore di lavoro, in modo da evitare i costi e le lungaggini di un contenzioso, occorre che l’avvocato sottolinei in fase stragiudiziale quali sono le ragioni del lavoratore e i rischi per la parte datoriale nel caso in cui si ostini a non venirgli incontro.

Nella strategia adottata è fondamentale la collaborazione tra legale e lavoratore e la condivisione di informazioni rilevanti. Tuttavia, il lavoratore è sempre protagonista: il lavoratore deve essere informato dal suo avvocato di quali sono i pro e contro del contenzioso e quali sono i risultati che può verosimilmente aspettarsi di ottenere.

In caso di esito favorevole delle trattative, il datore di lavoro che non vuole rischiare di soccombere in giudizio si impegna a corrispondere una somma a titolo di indennizzo e un contributo per le spese legali sostenute dal lavoratore. Di prassi, inoltre, le spese “amministrative” per la conciliazione in sede protetta sono sostenute dal datore di lavoro.

Cosa significa “conciliazione in sede protetta”?

L’accordo tra lavoratore e datore di lavoro per essere immediatamente efficace e non impugnabile, deve necessariamente essere firmato in una sede c.d. “protetta”, cioè idonea a tutelare la genuinità e spontaneità del consenso del lavoratore. L’avvocato, al fine di rendere valido l’accordo conciliativo concorda la sottoscrizione dello stesso innanzi ai sindacati o alla direzione territoriale del lavoro.

Nel diritto del lavoro, infatti, il lavoratore da sempre considerato come parte “debole” del rapporto di lavoro, viene tutelato grazie a questo tipo di procedura.

Tant’è che i semplici accordi transattivi tra le parti (non firmati in sede “protetta”), proprio perché potrebbero essere considerati accordi imposti dal datore di lavoro non sono reputati validi e sono impugnabili ai sensi dell’art. 2113 c.c.

La sottoscrizione di un accordo in sede “protetta” è quindi tutta a vantaggio del lavoratore, che viene meglio tutelato, e che dispone poi di un verbale avente valore immediato di titolo esecutivo.

Il termine per agire in giudizio

Nel caso in cui, nel frattempo, le parti non siano riuscite a trovare un accordo, il lavoratore rappresentato dal suo avvocato potrà agire in giudizio.

Dalla data di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (di cui abbiamo parlato sopra), il lavoratore potrà entro il termine perentorio di 180 giorni impugnare il licenziamento in Tribunale, in particolare dinanzi al giudice del lavoro competente per territorio.

Nonostante il lavoratore sia costretto a intraprendere una vertenza giudiziale, il legislatore tende sempre a tutelare il lavoratore. In prima udienza, il giudice deve procedere all’interrogatorio libero delle parti e verrà tentata nuovamente la conciliazione.

Questo significa che, il Giudice, anche in prima udienza caldeggerà un eventuale accordo delle parti, tanto che in caso di mancato accordo susseguente a una proposta conciliativa di una delle parti o del giudice, quest’ultimo potrebbe tenerne conto in sede decisionale, anche con riguardo al riparto delle spese di lite.

L’onere della prova (in giudizio) sulle motivazioni del licenziamento.

In caso di mancato accordo, la controversia procederà nelle forme ordinarie. Solo al termine del giudizio, con sentenza, il Giudice si pronuncerà sulla legittimità o sulla illegittimità del licenziamento.

Anche in questo caso, al fine di tutelare la parte debole, sarà il datore di lavoro a dover provare la legittimità del licenziamento e la fondatezza delle ragioni addotte a suo fondamento.

Gli strumenti legali a tutela del lavoratore, quindi, sono molti ma solo attraverso un avvocato esperto è possibile farsi valere. La strategia difensiva, inoltre, deve essere impostata correttamente sin dal principio, adottando gli accorgimenti giusti e rispettando i termini sopra indicati.

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 20 Gennaio 2023
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Antonella Marmo

Avvocato dello studio legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine di Milano, si occupa di Diritto Commerciale e del Lavoro.
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