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Nel mondo del cinema, l’integrazione di marchi attraverso il product placement rappresenta una sofisticata strategia di marketing che sfrutta la proprietà intellettuale per creare connessioni significative con il pubblico. Questo articolo esplora come i marchi sono stati storicamente incorporati nelle narrazioni cinematografiche e quali sono le normative attuali che regolamentano questa pratica.
Il product placement, letteralmente l’inserimento di prodotti all’interno di contenuti come film e programmi TV, è una pratica pubblicitaria che affonda le sue radici ben prima dell’avvento del cinema moderno, essendo presente già nelle opere letterarie e pittoriche del XIX secolo.
Charles Dickens, ad esempio, nel suo romanzo The Pickwick Papers (1836), inseriva riferimenti a veri marchi e prodotti, come nel caso della carrozza Pickwick. Il personaggio principale che viaggia su una carrozza di tale marchio, riflettendo così una forma primordiale di product placement. Questo tipo di inserimenti, all’epoca, non solo arricchiva il dettaglio narrativo, ma fungeva anche da promozione commerciale.
Analogamente, il pittore Édouard Manet spesso includeva nei suoi dipinti prodotti reali, come birra o champagne, e i relativi brand potevano essere identificati chiaramente nelle sue opere. Nel dipinto “Un bar aux Folies-Bergère” (1882), ad esempio, è chiaramente visibile una bottiglia di birra Bass. Questi riferimenti non erano solo dettagli, ma anche testimonianze delle abitudini e dei consumi dell’epoca, servendo sottilmente da endorsement per i prodotti ritratti.
L’esordio del cinema vide subito l’utilizzo del product placement, con i fratelli Lumière che nei loro primi film inclusero prodotto del marchio Lever Brothers – oggi Unilever – mostrando, per primo, il Sunlight Soap. Si tratta di uno dei primi casi documentati di product placement cinematografico.
La differenza fondamentale tra product placement e, il più recente, branded content risiede essenzialmente nel modo in cui il prodotto viene integrato nel contenuto. Nel product placement, il prodotto è inserito all’interno di un contesto già esistente, come un film, una serie o un videogioco, senza interrompere la narrazione. Il branded content è una forma immersiva di marketing in cui il contenuto stesso viene invece costruito intorno al marchio o al prodotto, con l’obiettivo di costruire un legame più profondo ed emotivo con il pubblico, offrendo un’esperienza che va oltre la semplice esposizione del prodotto.
Le aziende investono nel product placement cinematografico principalmente per il notevole impatto che questa forma di pubblicità può avere sulla percezione del loro marchio e sulle vendite dei loro prodotti. Attraverso il cinema, i prodotti possono essere mostrati in azione, inseriti in contesti desiderabili o associati a personaggi carismatici, influenzando così le decisioni di acquisto degli spettatori.
Uno dei casi più emblematici di successo del product placement è quello delle scarpe Nike Mag nel film “Ritorno al Futuro Parte II” (1989). Le scarpe, che presentavano un meccanismo di allacciatura automatica, erano pura fantascienza al momento dell’uscita del film (sono entrate in commercio solo recentemente). Tuttavia, il fascino e l’innovazione rappresentati hanno mantenuto alto l’interesse dei consumatori per decenni, portando Nike a realizzare e vendere versioni limitate delle scarpe nel 2011 e nel 2016, con un grande successo commerciale e mediatico.
Un altro esempio significativo è dato dai Ray-Ban Aviator nel film “Top Gun“ (1986). Dopo la sua uscita, le vendite di questi occhiali da sole sono aumentate del 40%. Il film ha contribuito a rilanciare il marchio Ray-Ban, che all’epoca stava attraversando un periodo di vendite stagnanti. Il posizionamento del prodotto in questo caso ha sfruttato l’immagine carismatica del protagonista, interpretato da Tom Cruise, per rivitalizzare l’immagine degli occhiali da sole.
La Mini Cooper nel film “The Italian Job” (2003) rappresenta un altro esempio di product placement di grande impatto. Le scene d’azione mozzafiato, che mostravano le Mini in inseguimenti ad alta velocità attraverso le strade strette di Los Angeles e nei tunnel della metropolitana, hanno non solo creato scene ad alta tensione, ma hanno anche rilanciato l’interesse globale per questa automobile, aumentandone sensibilmente le vendite.
Infine, il caso dei cioccolatini Reese’s Pieces in “E.T. l’extra-terrestre” (1982) è uno degli esempi più noti. Dopo il rifiuto da parte di Mars Inc. di usare gli M&M’s nel film, Hershey ha accettato di utilizzare i suoi Reese’s Pieces, risultando in un aumento delle vendite del 65% nelle tre settimane successive alla première del film.
Questi esempi dimostrano come il product placement, quando ben eseguito, possa trasformare il destino commerciale di un prodotto, sfruttando la vasta portata e l’impatto emotivo del cinema per raggiungere e influenzare un pubblico globale.
La regolamentazione del product placement in Italia si basa su una serie di normative che hanno letteralmente cambiato il settore.
La regolamentazione attuale si radica storicamente nella Direttiva UE 2010/13/UE, nota come “Direttiva sui Servizi di Media Audiovisivi” (AVMSD), che mirava a coordinare le disposizioni degli Stati Membri per i media audiovisivi, includendo sia le emittenti tradizionali sia i servizi digitali on demand.
La direttiva è stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 44/2010, noto come “Decreto Romani“, che ha introdotto norme specifiche per l’inserimento di prodotti nei media audiovisivi. Questo decreto ha definito il product placement come una forma di comunicazione commerciale audiovisiva che comporta l’inserimento o il riferimento a un prodotto, servizio o marchio, ottenendo in cambio un pagamento o un altro tipo di compensazione.
Il TUSMA (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici), introdotto con il Decreto Legislativo n. 208 del 8 novembre 2021, ha ulteriormente precisato e aggiornato la disciplina del product placement, attuando anche le disposizioni della Direttiva UE 2018/1808. Questo decreto ha stabilito che il product placement è ammissibile escludendo specifiche categorie di programmi, come quelli per bambini, notiziari, attualità, e programmi religiosi. Inoltre, ha vietato l’inserimento di prodotti come tabacco, e-cigarette e medicinali disponibili solo su prescrizione.
Le regole stabilite dal TUSMA richiedono che il product placement non influenzi il contenuto e l’organizzazione dei programmi in modo da compromettere l’indipendenza editoriale dei media. Inoltre, deve essere garantita la trasparenza attraverso chiari avvisi ai telespettatori sull’esistenza del product placement nei programmi. Testualmente l’art. 48 del TUSMA prevede che:
programmi per i consumatori, i programmi religiosi e i programmi per bambini.
Resta salva la previsione di cui all’art. 115, comma 5, decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219;
Difatti, il 6 giugno 2022, l’AGCOM ha emesso una comunicazione richiedendo agli operatori del settore di adeguarsi, inviando i propri documenti di autoregolamentazione entro trenta giorni. Questi documenti devono dettagliare come intendono applicare le regole del product placement, garantendo il rispetto delle normative vigenti.
Il fenomeno del product placement ha subito una significativa evoluzione, arrivando a trasformare i prodotti in veri e propri protagonisti delle narrazioni cinematografiche. Questo approccio, noto anche come “branded entertainment”, supera la tradizionale inserzione pubblicitaria, integrando il brand all’interno della trama in maniera così profonda da renderlo essenziale per il racconto stesso.
Un esempio di successo di questa strategia è “The Lego Movie” del 2014. In questo film, i mattoncini Lego non sono semplici comparse, ma elementi fondamentali che guidano l’intera storia, promuovendo valori di creatività e collaborazione. Il film non solo ha generato un incremento significativo delle vendite dei giocattoli Lego, ma ha anche espanso l’immagine del brand nel settore dell’intrattenimento, dando vita a una serie di sequel e spin-off che hanno consolidato ulteriormente la sua presenza nel mondo cinematografico.
Più recentemente, il film “Barbie” del 2023 ha trasformato l’iconica bambola in una protagonista di un’avventura cinematografica che ha catturato l’attenzione globale (ne ho parlato anche qui: “Quando marchi, brevetti e controversie legali contribuiscono a creare una redditizia icona pop: Barbie”).
Attraverso una trama che esplora temi di identità e autorealizzazione, il film ha rafforzato la percezione contemporanea del marchio Barbie, attirando un vasto pubblico e dimostrando la capacità del brand di adattarsi e innovarsi (per approfondire: “Barbie al cinema incassa 1 miliardo di dollari nel mondo. Tutti i numeri, anzi tre e due grafici”). Il successo del film ha avuto un impatto diretto anche sulle vendite dei prodotti correlati, evidenziando come il cinema possa essere un potente strumento di rilancio e rinnovamento (per approfondire: “Barbie, che affare per birkenstock! vendite aumentate del 110% grazie al film”).
Questi casi illustrano come, attraverso il cinema, i prodotti possano non solo aumentare la loro visibilità, ma anche arricchire la loro immagine, creando connessioni emotive forti con il pubblico. Il passaggio da una presenza passiva a un ruolo attivo nelle narrazioni rappresenta una frontiera avanzata del marketing, dove il product placement si trasforma in storytelling strategico.
Il product placement è una tecnica di marketing molto diffusa, ma il suo utilizzo nel cinema richiede particolare attenzione, soprattutto per evitare la pubblicità occulta, una pratica che può comportare sanzioni legali significative. Questa forma di pubblicità, se non adeguatamente segnalata, può ingannare il pubblico riguardo alla natura promozionale dei contenuti, portando a violazioni delle normative vigenti.
La legislazione europea, e di conseguenza quella italiana, richiede che il product placement nei media audiovisivi sia chiaramente identificato all’inizio e alla fine del programma, così come dopo ogni pausa pubblicitaria. Questo serve a garantire che il pubblico sia consapevole della presenza di contenuti promozionali, salvaguardando così la trasparenza e l’integrità del messaggio mediatico.
Con l’avanzamento delle tecnologie digitali e l’incremento della produzione di contenuti attraverso piattaforme di streaming come Netflix e Amazon, diventa ancor più importante monitorare e aggiornare continuamente le strategie di product placement. Le piattaforme digitali, con la loro capacità di raggiungere pubblici globali in modo diretto e personalizzato, offrono nuove opportunità per il product placement, ma anche nuove sfide in termini di conformità normativa.
È fondamentale, quindi, che i produttori e i marketer siano sempre informati sulle ultime disposizioni legislative e sull’applicazione delle sanzioni per la pubblicità occulta. Questo non solo per evitare le pesanti multe che possono derivare dalla non conformità, ma anche per mantenere la fiducia e il rispetto del pubblico. La trasparenza nell’uso del product placement contribuisce a costruire un rapporto di lealtà e fiducia con gli spettatori, elementi chiave per il successo a lungo termine di qualsiasi brand nel settore dell’intrattenimento.
Avvocato Arlo Canella