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Quello strano diritto di proprietà (intellettuale) sugli Emoji

Pubblicato in: Autori e Copyright
di Maria Alessandra Monanni
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Gli emoji, quelle “faccine” che ci aiutano ad esprimere (digitalmente) emozioni, reazioni e sentimenti, costituiscono ormai un vero e proprio “codice di comunicazione” in uso. Basti pensare che è stata addirittura istituita una giornata ufficiale per celebrarli, il World Emoji Day, il 17 luglio di ogni anno.

Nonostante la leggerezza con cui tendiamo ad utilizzarli quotidianamente, questi simboli sono il frutto della creatività umana, progettati ed ideati da “qualcuno”.

Pertanto, in questo periodo di massima crescita e diffusione degli emoji, viene da domandarsi se… sia effettivamente possibile utilizzarli e sfruttarli commercialmente in modo libero, oppure no. Come al solito, analizzeremo il tema per punti.

Cosa sono gli emoji?

Dietro ad ogni emoji c’è una frase, un sentimento, un’emozione. Gli emoji si sostituiscono o si abbinano alle parole utilizzate per un messaggio digitale. Come accennato poco fa, essi costituiscono ormai un “codice di comunicazione” nutrito ed articolato.

Come accade nella vita reale, grazie agli emoji… a volte “sorridiamo” dicendo semplicemente “ok”, strizziamo l’occhio a qualcuno, ridiamo a crepapelle o corrucciamo lo sguardo…. Che rappresentino o meno il nostro reale stato d’animo, noi utilizziamo gli emoji per completare ciò che vogliamo comunicare, sfruttando un “codice di comunicazione” che è stato ideato da qualcuno proprio per potenziare/semplificare le nostre possibilità espressive in digitale.

Anche se molti ricorderanno romanticamente la penna ed il calamaio, è certamente più sbrigativo e divertente interagire digitalmente utilizzando questi “facilitatori della comunicazione.

Emoji Unicode ed emoji proprietari

Come forse tutti sanno, gli emoji sono icone, piccole figure per lo più statiche che vengono inserite in un messaggio per esprimere un’idea o un’emozione.

Meno conosciuta è la loro distinzione in due categorie:

  • Emoji definiti da Unicode il quale consente una standardizzazione degli stessi: da Google ad Apple, gli emoji sono riconosciuti su tutte le piattaforme (WhatsApp, Facebook, Hangout, etc.). Per cui un messaggio che contiene emoji può essere trasferito su diverse piattaforme senza alterarne la sostanza ma con una forma grafico/visiva leggermente diversa a seconda della piattaforma.
  • Emoji proprietari sono quegli emoji che funzionano solo su alcune piattaforme perché è proprio da queste specifiche piattaforme che sono stati creati. Pertanto, qualora un emoji proprietario venisse inviato a una piattaforma esterna, apparirà come un quadrato vuoto. Ciò significa semplicemente che il simbolo non è stato riconosciuto dalla piattaforma di destinazione.

Un piccolo appunto: spesso nel parlato si utilizzano i due termini, emoticon ed emoji, come sinonimi ma in realtà sono differenti: l’emoticon, più antico dell’emoji, è una rappresentazione grafica strutturata con l’ausilio dei caratteri della tastiera, quali due punti, linea e parentesi, con cui si può fare il faccino sorridente 🙂 o triste 🙁 e quindi esprimere uno stato d’animo. Mentre l’emoji è un’immagine vera e propria. E’ necessario  un software che sia in grado di leggerle per essere visualizzate.

Uso ed abuso degli Emoji

Ad alcuni risulta difficile qualificare l’emoji come bene giuridico meritevole di protezione legale poiché la forma espressiva risulta forse troppo semplice o comunque non sufficientemente originale/distintiva/individualizzante. Tuttavia, ciò che bisogna sempre tenere a mente è che, nonostante ciascun emoji rappresenti un’emozione molto semplice, sarà sempre possibile rappresentare quella stessa emozione con qualche piccolo elemento di differenziazione grafico-stilistica.

In altre parole, bisogna rammentare che dietro ad ogni emoji c’è il lavoro di un progettista (graphic designer) così come c’è il lavoro di un’impresa che punta sul loro utilizzo e sulla loro specifica affermazione sul mercato.

In pratica, ciascuna piattaforma ha sviluppato un proprio specifico “set proprietario” di faccine personalizzate, in modo da non rischiare di incappare nell’utilizzo di materiale grafico altrui. Ciò evidentemente per ridurre il rischio di contestazioni per violazione di copyright, di brevetti per disegni e/o per scansare altre possibili accuse di agganciamento…

Un’eccessiva diversificazione vezzosa degli emoji — tra le diverse piattaforme esistenti — rischierebbe di inficiare il ruolo di codice di comunicazione universale” che questi vanno assumendo. Forse proprio per questa ragione, pur nel rispetto dei principi di fondo dettati dalla normativa, gli emoji sembrano spingersi verso una tendenziale essenzializzazione e uniformità grafica.

Ciò evidentemente accade per poter garantire in modo efficace quel ruolo strumentale di facilitatori della comunicazione che essi hanno nell’ambito delle rispettive piattaforme. Molto diverso sarebbe invece il caso dello sfruttamento degli stessi (identici) emoji al di fuori delle piattaforme come, ad esempio, per la realizzazione di gadget, di prodotti di uso comune o addirittura come protagonisti di pellicole cinematografiche…

E’ chiaro che per realizzare un prodotto commerciale o un’iniziativa promozionale recante un emoji è necessaria una consulenza legale preventiva e specializzata per evitare di incorrere in violazioni, contraffazioni e usurpazioni di diritti di terzi (per maggiori informazioni è possibile visitare la sezione del sito www.canellacamaiora.it dedicata alla proprietà intellettuale).

Riproduzione riservata ©
Data di pubblicazione: 22 Agosto 2018
Ultimo aggiornamento: 7 Settembre 2023

Maria Alessandra Monanni

Copywriter appassionata di diritto, laureata in Scienze Politiche a ciclo unico e laurea triennale in giurisprudenza, Master in Proprietà Intellettuale de IlSole24Ore. Blogger per passione: sandyeilweb.com
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